Occhi puntati soprattutto su grano tenero, mais e olio di girasole di cui l’Ucraina e la Russia sono importanti esportatori. Nel breve termine si possono valutare nuovi canali di approvvigionamento per mais e frumento e prodotti alternativi all’olio di girasole, ma la tensione sui prezzi dipenderà molto dalla durata del conflitto. Facciamo il punto con l’esperta.
Non solo l’emergenza umanitaria, non solo l’emergenza energetica. L’invasione russa dell’Ucraina sta scombussolando anche il settore agroalimentare europeo. La disponibilità di cibo non è in pericolo, visto che l’Europa è diventata una “superpotenza” agricola (per usare le parole del commissario per l’Agricoltura Janusz Wojciechowski). Tuttavia, il conflitto tra Russia e Ucraina, che sono due tra i principali fornitori a livello globale di cereali e oli vegetali, ha determinato una fase di forte tensione e incertezza sui mercati.
Basti ricordare che il settore deve ora fare i conti con un sensibile aumento dei prezzi dei mangimi, ma anche dell’energia, dei fertilizzanti e del gasolio agricolo. Non a caso, lo scorso 23 marzo la Commissione europea ha presentato un pacchetto di misure volte proprio a salvaguardare la sicurezza alimentare e a sostenere consumatori e agricoltori.
Non mancano le polemiche, con diverse ong che vedono in questa manovra della comunità europea un allontanamento dagli obiettivi del Green Deal. Bruxelles ha infatti già dovuto cedere alle richieste degli agricoltori ammettendo, per esempio, una deroga per consentire la produzione di colture per scopi alimentari e mangimi su terreni lasciati a riposo.
Ma torniamo al punto centrale, ovvero le conseguenze che sta provocando la guerra in Ucraina: quanto e come sta incidendo sui prezzi dei generi alimentari, e quali potrebbero essere i prossimi passi da fare per cercare di attutire il colpo? Per fare maggiore chiarezza abbiamo interpellato Annachiara Saguatti, senior market analyst di Areté s.r.l. – The Agrifood Intelligence Company.
Innanzitutto, perché l’Ucraina viene definita il “granaio d’Europa”?
Un tempo, l’Ucraina era il granaio dell’Unione Sovietica per l’estensione delle sue terre fertili. Negli ultimi venti anni l’Ucraina ha accresciuto notevolmente la sua capacità di esportare cereali sul mercato mondiale. Mais e grano tenero, in particolare. Di conseguenza si è anche affermata come un importante partner per le importazioni di queste materie prime da parte dell’Unione Europea.
Quali sono le industrie che stanno risentendo maggiormente degli effetti della guerra tra Russia e Ucraina?
Sicuramente, quella dei mangimi, che utilizza in larga misura il mais, ma anche quella del bakery (panificazione, pasticceria eccetera), che impiega molto frumento tenero. Le ripercussioni, più in generale, vanno a impattare su tutto il comparto agroalimentare perché anche molte altre materie prime hanno visto un’impennata dei prezzi, senza dimenticare i rincari sul carburante, sul costo dell’energia e del packaging, sui fertilizzanti, che hanno aggravato una congiuntura rialzista che durava già da mesi. Per passare al capitolo relativo agli oli vegetali, l’Ucraina è il primo esportatore al mondo di olio di semi di girasole, la Russia è il secondo. Si capisce allora perché un evento come la guerra tra queste due nazioni crei un problema molto importante a livello di offerta.
Come si reagisce di fronte a questo shock sui mercati?
Quando si parla delle conseguenze del conflitto sul comparto cerealicolo, si parla della necessità di trovare nuovi canali di approvvigionamento. Nel caso dell’olio di semi di girasole, si prospetta invece un problema di reperibilità del prodotto stesso. Per cui la domanda tende a rivolgersi su altri oli. Si assiste per esempio a un ritorno a quello di palma (da cui c’era stato un fuggi fuggi generale da parte dell’industria alimentare italiana), ma anche a una crescita degli oli di soia, di colza e in parte di oliva.
Quali potrebbero essere questi nuovi canali a cui fa riferimento per le importazioni?
Quello italiano è un mercato deficitario di cereali. Per quanto riguarda il frumento, i nostri principali fornitori sono in realtà altri Paesi dell’Unione Europea. Ma comunque la prima alternativa, per i Paesi che importavano di più dall’Ucraina, è costituita dal Nord America. Chiaramente quando ci si deve approvvigionare da origini più lontane, aumentano i costi logistici. Per quanto riguarda il mais, anche in questo caso la principale origine alternativa sono gli Stati Uniti, che vantano uno stock tale da poter far fronte all’uscita di scena dell’Ucraina come esportatore.
Il punto è che gran parte del mais americano è OGM. Non è di per sé vietato importarlo: ci sono specifici regolamenti che disciplinano varietà per varietà la possibilità di acquisirlo da oltreoceano, e proprio pochi giorni fa la Commissione europea ha fatto sapere di voler rendere meno stringenti i requisiti per le importazioni. Ma qui si solleva un altro tema, ovvero come si muove la domanda. Perché negli anni all’interno dell’Unione Europea è diventata sempre più forte la richiesta anche di mangimi provenienti da un’agricoltura non geneticamente modificata.
Che cosa ci possiamo aspettare nelle prossime settimane?
Moltissimo dipenderà dalla durata del conflitto e dalla possibilità, al termine della guerra, di ripristinare rapidamente l’operatività dei porti. Se nel breve termine si possono cercare origini alternative, nel medio termine è chiaro che viene a mancare un player importante sul mercato internazionale. Il frumento in Ucraina è stato seminato lo scorso autunno e quindi arriverà a piena maturazione in estate per la raccolta. Nel periodo primaverile bisognerebbe sottoporre le piante a dei trattamenti, ma sarà molto difficile farli a causa della mancanza di forza lavoro, mezzi tecnici e carburanti. Questo avrà un impatto soprattutto sulle rese produttive; e poi non è detto che in molte aree si potrà andare a raccogliere a causa del contesto bellico.
Per il mais e l’olio di girasole il discorso è ancora più complicato, perché il periodo di semina è imminente e c’è ancora grande incertezza sul fatto che si riuscirà a portarla a termine. Alcune stime parlano di un calo delle semine del 40% in Ucraina, ma sono previsioni che possono cambiare nel giro di una settimana. Garantire la semina e la raccolta è di importanza strategica per il governo di Kiev, non solo per assicurare derrate alimentari a un Paese in guerra, ma anche perché quella delle esportazioni di materie prime agricole è una voce di rilievo nel bilancio ucraino.
Infine, c’è un’ultima variante che potrebbe aggravare ulteriormente la situazione: il cambiamento climatico.
Certamente. In una situazione del genere è quanto mai importante che gli altri grandi Paesi produttori di grano e mais abbiano delle buone rese. Quest’anno, per esempio, ha avuto una buona produzione l’Australia. La siccità però sta causando un notevole calo di produzione in Sudamerica. Per non parlare degli Stati Uniti, dove oltre il 70% dei terreni coltivati a frumento è in condizioni di siccità. E l’assenza di precipitazioni si sta facendo sentire anche in Europa.