In collaborazione con |
La Politica Agricola Comune (Pac), nata con l’obiettivo di sfamare la popolazione europea nel Dopoguerra, oggi punta sempre di più sul tema della sostenibilità, raggiungibile solo grazie all’innovazione tecnologica. Facciamo il punto con l’eurodeputato Paolo De Castro
Istituita nel gennaio 1962, la Pac è uno strumento fondamentale per la costruzione nei Paesi Ue di un sistema agricolo resiliente, fondato sull’equità e sulla sicurezza alimentare. Fin dalla sua nascita, il fine principale della Pac è stato quello di sovvenzionare gli agricoltori europei – parliamo di circa 10 milioni di aziende agricole e 22 milioni di persone che lavorano regolarmente nel settore – permettendo loro di essere competitivi sul mercato e di produrre cibo di qualità a prezzi contenuti.
Per capire l’importanza della Pac bisogna risalire agli albori della Comunità Europea. Usciti da un conflitto mondiale che li aveva ridotti in macerie, i Paesi membri si erano prefissati come obiettivo principale quello dell’autosufficienza alimentare. La produttività al primo posto, come indicato anche nell’articolo 39 del TFUE, il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea. In questo modo l’Europa è riuscita addirittura a diventare un esportatore netto di prodotti alimentari.
Ma qualcosa nel frattempo è cambiato. Le campagne sono passate sempre più in secondo piano rispetto alle città: occorreva mantenere in vita il tessuto sociale nelle aree rurali per limitarne lo spopolamento. Inoltre, si è affacciata una questione epocale come la crisi climatica. Adesso la sfida numero uno da raccogliere per il comparto agroalimentare europeo è coniugare la produttività alla sostenibilità ambientale. Ma andiamo a vedere più nel dettaglio in che cosa consiste la Pac.
Significato e obiettivi della Pac
Pac è l’acronimo di Politica Agricola Comune. In sintesi, rappresenta l’insieme delle regole e dei meccanismi che l’Unione Europea ha deciso di adottare riconoscendo la centralità del settore agricolo per lo sviluppo dei Paesi membri. La Pac si pone diversi obiettivi. Innanzitutto, come abbiamo accennato nell’introduzione, quello di incrementare la produttività dell’agricoltura garantendo da una parte la sicurezza degli approvvigionamenti e dall’altra un reddito equo agli agricoltori. Quest’ultimo punto è particolarmente importante. Finanziando direttamente le aziende agricole, la Pac ha sempre contribuito a dare una direzione all’agricoltura incentivando determinate pratiche agricole e premiando chi è più virtuoso.
Con il passare del tempo l’Europa si è trasformata, e non poco. La popolazione rurale è diminuita sempre di più, a vantaggio di quella urbana. Ma soprattutto è cresciuta l’attenzione per la questione ambientale. Per questi motivi alle sfide economiche si sono affiancate delle sfide ambientali e sociali. Da una parte, tra gli obiettivi della Pac c’è quello di aiutare il settore agricolo ad affrontare i cambiamenti climatici e gestire in maniera più sostenibile le risorse naturali, tutelando gli habitat e la biodiversità. Dall’altra, l’Unione Europea si impegna a mantenere in vita l’economia rurale, promuovendo l’occupazione nel settore agricolo e nelle industrie agroalimentari (e non a caso sono previsti sussidi ad hoc anche per i giovani agricoltori).
Quanti sono i contributi della Pac
La Pac è una delle politiche comunitarie più importanti. Nel 2021 ha rappresentato il 33,1% del bilancio dell’Unione Europea a 27, per una cifra complessiva di 55,71 miliardi di euro. “La Pac è la seconda voce di bilancio dell’Unione europea, con 387 miliardi di euro messi sul piatto per il settennato 2021-2027, includendo i fondi del Next Generation EU”, sottolinea Paolo De Castro, eurodeputato e vicepresidente della Commissione Agricoltura del Parlamento europeo. Di questi sono circa 34 i miliardi di euro destinati all’Italia.
Tuttavia, bisogna dire che da diversi anni ormai la percentuale delle spese agricole nel bilancio dell’Unione europea sia in continuo calo. Basti pensare che agli inizi degli anni ’80 la Pac rappresentava il 66% del bilancio Ue, mentre nel periodo 2014-2020 questa percentuale è scesa al 37,8%, fino ad arrivare nel periodo 2021-2027 al 32%.
Come vengono erogati i fondi della Pac
La nuova Pac entrerà in vigore ufficialmente a partire dal 1 gennaio 2023, anche se il budget complessivo fa sempre riferimento a un periodo di sette anni, cioè 2021-2027. La Pac è finanziata tramite due fondi: il Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA), fissato a 291,1 miliardi di euro, e il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR), che ammonta invece a 95,5 miliardi di euro.
Essi vengono rispettivamente definiti come il primo e il secondo pilastro della Pac. Il “primo pilastro” della Pac, interamente finanziato dall’Unione Europea, fornisce sostegno agli agricoltori attraverso pagamenti diretti e finanzia una serie di misure per stabilizzare il mercato agricolo e ridurre la volatilità dei prezzi.
I pagamenti diretti, erogati con la Pac tramite le autorità nazionali (in Italia l’ente di riferimento è l’Agea, ovvero l’Agenzia per le erogazioni in agricoltura), sono soggetti a un meccanismo di condizionalità ambientale. Spiegato in breve, per accedere ai finanziamenti gli agricoltori devono rispettare le cosiddette buone pratiche agro-ambientali (GAEC), che con la nuova Pac sono passate da 7 a 9 con l’aggiunta della rotazione colturale e dell’obbligo del 4% di aree ed elementi non produttivi.
Le misure di mercato invece prevedono, per esempio, lo stoccaggio dei prodotti in eccesso oppure degli interventi a sostegno di determinate filiere come risposta a una crisi o come incentivo alla produzione di specifici prodotti.
Passiamo ora al “secondo pilastro”. Quest’ultimo è finanziato in parte dall’Unione Europea e in parte dagli Stati membri. Raccoglie le misure per lo sviluppo rurale, ossia sono volte a migliorare:
- la redditività delle piccole e medie aziende;
- l’inclusione sociale delle comunità agricole;
- la sostenibilità della produzione alimentare;
- l’innovazione in agricoltura.
I paesi dell’Ue attuano i finanziamenti del FEASR attraverso i programmi di sviluppo rurale (PSR). Mentre la Commissione europea approva e vigila sui PSR, le decisioni relative alla selezione dei progetti e alla concessione dei pagamenti vengono prese dalle autorità di gestione a livello nazionale o regionale. Questo vuol dire che agli Stati membri vengono affidate maggiori responsabilità.
Lo strumento di programmazione introdotto dalla nuova Pac è il Piano Strategico Nazionale (PSN), che poi deve essere declinato nelle varie aree. Il PSN italiano, per esempio, contiene 76 diversi interventi, di cui 4 attuati direttamente dal Ministero delle politiche agricole e gli altri affidati alle Regioni e alle Province autonome. Il documento elaborato dal nostro Paese è stato inviato a Bruxelles alla fine del 2021 ed è ora in attesa di conferma.
Insieme alla condizionalità ambientale di cui abbiamo parlato prima è stata introdotta anche la condizionalità sociale, che è stata identificata come il “terzo pilastro” della Pac e che diventerà obbligatoria per tutti i Paesi membri a partire dal 2025. Che cosa prevede? Semplice, le aziende agricole che non dovessero rispettare determinati standard minimi di tutela dei lavoratori verranno escluse dall’accesso ai fondi della Pac.
Pac, Green Deal e Farm to Fork
L’ultima riforma della Pac in ordine di tempo è stata quella portata avanti da Phil Hogan, commissario europeo per l’agricoltura e lo sviluppo rurale nella commissione Juncker dal 2014 al 2019. “Una riforma che ha seguito le volontà dei cittadini-consumatori in fatto di sensibilità ambientale”, commenta De Castro. “Il sostegno al reddito degli agricoltori rimane il punto centrale della Pac, ma viene dato anche ampio spazio a tematiche importanti come la lotta ai cambiamenti climatici e il benessere animale”.
Nel frattempo, con la Commissione von der Leyen è arrivato anche il Green Deal europeo a cercare di imprimere un cambio di passo sulla sostenibilità, anche nel settore agroalimentare. Il target più importante, ricordiamolo, è il raggiungimento entro il 2050 della carbon neutrality, ovvero delle zero emissioni nette di CO2.
Al Green Deal si deve aggiungere anche la strategia Farm to Fork (F2F), presentata dalla Commissione europea nel maggio 2020. Anche in questo caso si tratta di target ambiziosi dettati dalla pressione dell’opinione pubblica europea, sempre più attenta all’impatto che l’industria del cibo ha sull’ambiente. Tra gli obiettivi di F2F, fissati al 2030, troviamo:
- la riduzione del 50% dell’uso dei fitofarmaci;
- il taglio del 20% dell’uso dei fertilizzanti;
- la riduzione del 50% del consumo di antibiotici per gli allevamenti e l’acquacoltura (per diminuire i rischi legati all’antibiotico-resistenza);
- il raggiungimento del 25% della superficie agricola europea (SAU) coltivata a biologico.
La naturale conseguenza di tutto ciò è che la dimensione ambientale della Pac è stata ulteriormente rafforzata. Per esempio, con l’introduzione dei cosiddetti ecoschemi, ovvero un insieme di pratiche agricole attente all’ambiente e al benessere animale. Possono essere adottati in maniera volontaria dall’agricoltore e ad ognuno di essi è associato un premio in denaro. Agli ecoschemi è destinato il 25% delle risorse per i pagamenti diretti (ricordate il primo pilastro?).
Come sempre quando c’è di mezzo la politica, si tratta di un compromesso che soddisfa alcuni e lascia delusi altri. “Ma è un dato oggettivo che ci sia un avvicinamento della Pac al Green Deal”, aggiunge De Castro, che di una cosa è fermamente convinto: gli obiettivi fissati dal Green Deal e dalla strategia Farm to Fork potranno essere raggiunti soltanto con l’innovazione.
“Un esempio? La riduzione della chimica in agricoltura. Come facciamo a combattere le malattie delle piante se dobbiamo ridurre la quantità di prodotti fitosanitari? Qui l’innovazione ci dà una risposta. Si chiamano TEA (Tecniche di Evoluzione Assistita), e sono le nuove innovazioni genetiche non OGM che permettono di creare nuove varietà che possono resistere alle malattie senza il ricorso alla chimica”, spiega De Castro.
Ci sarebbe poi tutto il capitolo dell’agricoltura 4.0: il precision farming, l’Internet of Things, la tecnologia blockchain, l’utilizzo dei big data e via discorrendo. Digitalizzazione, sostenibilità, etica sono solo alcuni dei pilastri su cui si deve poggiare non solo l’agricoltura del futuro, ma anche quella del presente.