Intervista esclusiva al Rettore dell’Università Bocconi: «La sfida è sulle competenze. Il modello Milano è una garanzia. D’altronde il mondo è anche qui: abbiamo 2600 studenti stranieri». Ne parleremo proprio con Gianmario Verona allo StartupItalia! Open Summit del 17 dicembre
«Il gioco di squadra è sempre fondamentale, ma se non hai undici campioni al top la partita non la vinci. E la sfida ogni volta che scendi in campo te la giochi sui dettagli».
La metafora del calcio giocato per raccontare che in fondo la chiave è puntare sempre all’eccellenza, valorizzando talenti. Così racconta Gianmario Verona, Rettore dell’Università Bocconi, intervistato a pochi giorni dal riconoscimento del Financial Times: il sesto posto al mondo tra i migliori corsi di management. Ne parleremo proprio con Verona allo StartupItalia! Open Summit del 17 dicembre prossimo (registrati al più presto)
Bocconi nella classifica del Financial Times
Un’esperienza internazionale completa per gli studenti e un ragguardevole progresso per i laureati in termini di salario e carriera: sono questi gli aspetti principali che spingono la laurea specialistica in inglese in management della Bocconi a salire di quattro gradini nella classifica dei migliori global master in management pubblicata dalla testata anglosassone. Già a giugno 2018 la Bocconi si era confermata anche nella top 10 dei migliori master in finance, classificandosi all’ottavo posto. Un punto d’orgoglio per l’ateneo milanese nato oltre un secolo fa e che oggi conta 14.000 iscritti, di cui il 17% stranieri.
L’intervista
Professore, quel +4 scritto anche sulla lavagna nel suo ufficio che cosa racconta?
È estremamente complesso misurare la qualità dell’intangibile e dell’education perché operiamo in un settore con strumenti di misurazione spesso imprecisi e approssimativi. Ma il fatto che Bocconi negli ultimi anni cresca trasversalmente in tutti i ranking racconta di un investimento nel tempo che sta portando i suoi frutti.
Su cosa avete scommesso?
Su due dimensioni: abbiamo creduto nel corpo docente, che è il traino di una università, perché qualifica la ricerca oltre che la didattica. Siamo impegnati ad evitare il brain drain, ossia la cosiddetta fuga dei cervelli, e a stimolare il brain gain, ovvero il rientro dei talenti nei vari campi disciplinari, cosa che è successa. Questo anche perché siamo un laboratorio di ricerca importante nelle scienze sociali. L’altra dimensione è quella dei sevizi che offriamo agli studenti: strategici come quelli del processo di apprendimento. Ma anche tattici, perché l’offerta deve essere finalizzata verso chi ha necessità di quei profili.
Cosa ha distinto il suo arrivo nell’offerta formativa?
Ci siamo concentrati su ciò che porta sempre di più a valorizzare una serie di attività apprezzate dalle imprese, ovvero le parti comportamentali o soft skills. E poi abbiamo investito nel coding, quindi nella conoscenza analitica, nella programmazione. Quando sono diventato rettore ho preso una misura draconiana: fare coding per tutti. Il coding non può essere una opzione. Programmare è fondamentale, diventa uno stimolo.