Il rapporto di Alma Laurea certifica che anche i laureati in materie umanistiche trovano lavoro. Il nodo resta lo stipendio ma esempi illustri dimostrano che studiando le disicpline letterarie è possibile fare carriera nel digital
Se lo spettro delle lauree umanistiche è sempre stato il “dopo”, inteso come sbocco per reali opportunità lavorative, è arrivato il momento – forse, finalmente – di andare oltre. E di sdoganarle una volta per tutte.
I laureati in discipline classiche – da Lettere a Filosofia, da Storia a Lingue e Letterature Straniere – trovano infatti lavoro, soffrendo, nel caso, di tassi di disoccupazione simili a quelli degli altri dipartimenti.
Parola del Consorzio Almalaurea: se, sul tema stipendi, i laureati in materie umanistiche percepiscono un reddito più basso rispetto ai colleghi di ingegneria o di economia, il grado di soddisfazione è però identico (7,5 su 10). Un dato che si inserisce, a livello più macro, nel Rapporto AlmaLaurea 2017 sulla condizione occupazionale dei laureati in Italia, che si è concentrato sui laureati (triennali e magistrali) nel 2015 intervistati a un anno dal titolo, e sui laureati del 2011, intervistati dopo cinque anni. Ad un anno dalla laurea il 68% dei triennali e il 71% dei magistrali è occupato: un dato non ottimale ma confortante, destinato a migliorare. A 5 anni dalla laurea, infatti, il tasso di disoccupazione scende al 9%, con una media leggermente più elevata tra i laureati di Lettere e Filosofia (15%), Legge e Biologia (14%), Scienze Politiche e Sociologia (11%).
Il vero nodo è lo stipendio
Una situazione, quella dell’occupazione dei laureati in Italia, assolutamente democratica, in cui le facoltà economiche premiano maggiormente (arrivando ad un tasso di disoccupazione inferiore al 5%) ma non spiccano nettamente. Qualcosa di molto simile avviene oltreoceano: negli Stati Uniti un report dell’ American Academy of Arts and Sciences rivela che gli studi nelle “arti liberali” garantiscono margini di entrate e soddisfazione in linea agli altri corsi di studio.
Se i laureati in materie umanistiche, dopo il titolo magistrale, non arrivano a percepire gli stipendi dei laureati in ingegneria (82 mila dollari all’anno), si attestano comunque ad una media di 72mila dollari l’anno. Un dato, ma soprattutto un reddito, in grado di garantire stabilità economica e stili di vita soddisfacenti.
Non mancano ovviamente casi di percorsi manageriali di successo, provenienti proprio dalle humanities: come in Silicon Valley, dove il fondatore della software company Slack, Stewart Butterfield, è laureato in filosofia, e la Ceo di Youtube Susan Wojcicki è laureata in storia e letteratura ad Harvard, con un dottorato in economia.
La carriera nel management
Anche in Italia il successo è a volte umanistico: oltre a Sergio Marchionne, laureato in filosofia e in legge, anche due fondatori su tre di We Are Social Italia, Gabriele Cucinella e Stefano Maggi, sono laureati allo Iulm di Milano in comunicazione (il terzo, Ottavio Nava, è invece laureato in materie economiche).
Gli esempi nostrani sembrano concretizzare i risultati della ricerca dell’ American Academy of Arts and Sciences, secondo cui l’11% dei laureati in materie umanistiche fa carriera nel management, nell’Ict, ma anche nella finanza e nei servizi. Non solo: il digital ha sempre più fame di laureati flessibili, come spesso lo sono gli ex studenti di lettere e filosofia. Abituati, un po’ da sempre, a reinventarsi in un ambito diverso da quello dei loro studi, dove la duttilità di pensiero si è trasformata, col tempo, da necessità in virtù.