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Con la pandemia lo smart working ha ampliato i luoghi di lavoro, trasformando le case di molti di noi nelle estensioni virtuali del proprio ufficio. Ma alla comodità di lavorare da casa si aggiunge come contraltare il rischio di dover lavorare sempre. Ecco perché sempre più Paesi introducono nel proprio ordinamento norme a tutela del diritto alla disconnessione. L’ultimo in ordine di tempo è stato l’Australia. In Europa la situazione appare invece più frammentata.

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Cos’è il diritto alla disconnessione?

Il Parlamento europeo che ha iniziato a interessarsi della questione proprio in piena pandemia, lo definisce un «diritto fondamentale che costituisce una parte inseparabile dei nuovi modelli di lavoro della nuova era digitale».

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Dal momento infatti che essere costantemente connessi col proprio capo ufficio o coi propri colleghi di lavoro, senza avere più distinzione tra ore di lavoro e ore per sé alza i livelli di stress e comporta rischi (anche psico-sociali) per la salute e la sicurezza, il diritto alla disconnessione sancisce il principio che, in determinati momenti della giornata ciascun lavoratore deve essere irraggiungibile telefonicamente, per chat e per mail.

Tutto ciò naturalmente evitando le ripercussioni da parte delle aziende che vorrebbero tutti sempre connessi, ovvero che siano vietati la discriminazione, il licenziamento e altre misure sfavorevoli adottate dai datori di lavoro nei confronti di lavoratori che abbiano esercitato o tentato di esercitare il diritto alla disconnessione.

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In quali Paesi c’è il diritto alla disconnessione?

Il tema del diritto alla disconnessione trattato in sede europea è già presente nell’ordinamento di vari Paesi membri, in tutto nove, con la Francia a essersi mossa per prima, seguita da Belgio, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Portogallo, Slovacchia e Spagna.

Quali norme tutelano il diritto alla disconnessione in Italia

Nel nostro Paese fungono da cornici l’art. 19 della l. 81/2017 sul lavoro flessibile che «disciplina l’esecuzione della prestazione lavorativa svolta all’esterno dei locali aziendali, anche con riguardo alle forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro ed agli strumenti utilizzati dal lavoratore – individua altresì i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro».

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Sul diritto alla disconnessione è poi intervenuto anche la l. 61/2021 che all’art. 2, comma 1-ter prevede che «è riconosciuto al lavoratore che svolge l’attività in modalità agile il diritto alla disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche e dalle piattaforme informatiche, nel rispetto degli eventuali accordi sottoscritti dalle parti e fatti salvi eventuali periodi di reperibilità concordati. L’esercizio del diritto alla disconnessione, necessario per tutelare i tempi di riposo e la salute del lavoratore, non può avere ripercussioni sul rapporto di lavoro o sui trattamenti retributivi».

E, ancora, l’articolo 3 del Protocollo nazionale sul lavoro agile nel settore privato del 7 dicembre 2021 prevede per esempio che vadano adottate specifiche misure tecniche e/o organizzative per garantire la fascia di disconnessione e che, salvo esplicita previsione dei contratti collettivi, durante le giornate in cui la prestazione lavorativa viene svolta in modalità agile non possono essere di norma previste e autorizzate prestazioni di lavoro straordinario.