Un’indagine di Jobtech fornisce un quadro grave della disparità salariale e approfondisce le discriminazioni subite dalle donne già in fase di colloquio e ricerca di un impiego
Il “gender pay gap”, la disparità salariale fra uomini e donne, è purtroppo più vivo che mai sulla pelle di chi, in questo periodo, sta cercando un lavoro. Lo conferma un’indagine di Jobtech, agenzia per il lavoro digitale, che ha chiesto a un panel di mille utenti in ricerca attiva di lavoro in quanti avessero affrontato il problema e quale fosse il livello di fiducia nel Testo unificato sulla parità salariale, approvato dalla Commissione lavoro del Senato il 26 ottobre scorso.
Cosa prevede il Testo unificato sulla parità salariale
La nuova legge prevede anzitutto l’istituzione della certificazione della parità di genere a partire dal primo gennaio 2022. Si tratta di unn documento che attesti le politiche e le misure concrete adottate dai datori di lavoro per ridurre il divario di genere circa le opportunità di crescita in azienda, la parità salariale a parità di mansioni, le politiche di gestione delle differenze di genere e la tutela della maternità. Prevede poi sgravi contributivi per chi rispetta la parità di livello retributivo fra uomini e donne, premialità nei bandi, obbligo di redigere un rapporto biennale sulla situazione nelle aziende pubbliche e private sopra i 50 dipendenti e ancora introduce tra le fattispecie discriminatorie anche gli atti di natura organizzativa e oraria nei luoghi di lavoro che mettano la lavoratrice in una situazione di svantaggio. Concludono il pacchetto le prescrizioni per le aziende partecipate dallo Stato: devono approvare uno statuto che preveda una ripartizione degli amministratori in base a un criterio di equilibrio fra i generi.
Per quasi quattro donne su dieci la disparità salariale è la regola
Tornando all’indagine – e a conferma di quanto fosse urgente un simile testo – per il 34% la disparità salariale tra uomini e donne è una prassi comune, mentre è accaduta almeno una volta nell’esperienza del 22% del campione. Queste percentuali, però, salgono al 37% e al 25,5% se si isolano le risposte delle donne. Gli uomini, di contro, negano (quelli che dicono che non gli è mai capitato di assistere a simili prospettive sono al 45,7%) o non sanno (32,3%).
Una situazione che non è migliorata troppo, negli ultimi anni. La percentuale sale infatti al 38% tra i Millennials – tra i 25 e i 40 anni – e fino al 41% tra gli appartenenti alla Generazione X (41-55 anni). Non solo: il problema è fortemente sentito proprio laddove si lavori in contesti lavorativi a maggioranza femminile, dove sale al 42%. Il soffitto di cristallo sembra esistere anche dove al lavoro ci sono più donne che uomini.
Oltre la disparità salariale, manca il supporto a figli e carriera
Al di là del compenso, il problema più ricorrente secondo il campione intervistato è la mancanza di supporto per chi ha figli: il 48,6% degli intervistati ha infatti menzionato questioni relative al bisogno di asili nido, part-time e flessibilità lavorativa. Segue, con il 36,7% delle menzioni, il problema delle interruzioni di carriera delle donne, spesso non una scelta ma un obbligo surrettizio per potersi occupare dei figli o dei genitori anziani in qualità di “caregiver” esclusive. La disparità di stipendio tra uomini e donne è infatti solo la terza questione in classifica, indicata nel 33% delle risposte. Colpiscono poi nel segno anche le questioni del cosiddetto “lavoro invisibile” – in casa, con i figli, gli anziani – delle donne, che non ha alcun tipo di retribuzione ma che grava quasi esclusivamente su di loro (30,3%). Chiudono, tra le risposte più menzionate, la mancanza di donne ai vertici aziendali (29,4%) e la più bassa partecipazione femminile al mercato del lavoro (20,2%).
Le domande personali (e vietate) su famiglia e figli
I fenomeni di discriminazione delle donne sul lavoro iniziano spesso prima della loro assunzione, appunto in fase di ricerca. Domande personali su famiglia e figli, in fase di colloquio, continuano per esempio a essere una realtà frequente nonostante siano espressamente vietate. Le riceve sempre il 30.3% del campione, e spesso il 12%. Non sorprende che queste percentuali salgano al 34% e al 16% quando a rispondere sono solo le donne.
Nonostante un quadro pessimo, il 52% di chi cerca lavoro ha fiducia nella nuova legge, ma non sa quando e come si applicherà nelle aziende italiane. Solo per l’11% del campione non cambierà assolutamente nulla. “La disparità salariale tra uomo e donna è, al contempo, causa ed effetto della minore partecipazione femminile nel mondo del lavoro – spiega Angelo Sergio Zamboni, cofondatore di Jobtech – nonostante sia incostituzionale, questa diversa valorizzazione del lavoro femminile è una prassi così diffusa da scoraggiare le donne in cerca, col risultato che spesso, soprattutto in presenza di bambini, molte scelgano di dedicarsi alla loro cura in maniera esclusiva perché normalmente il loro lavoro viene pagato meno di quello degli uomini. Lavorando nel mondo della somministrazione di lavoro crediamo che un costante impegno per migliorare l’accesso delle donne a posti di lavoro dignitosi debba rappresentare non solo un imperativo morale, ma anche una concreta opportunità per promuovere uno sviluppo sostenibile e inclusivo del sistema lavoro italiano. In questo momento, la maggioranza di chi cerca lavoro in Italia è donna: occorre guardare a questa forza lavoro preparata, competente e motivata come una vera risorsa da cogliere per dare spinta allo sviluppo del paese”.