L’allarme lanciato dal Sole 24 Ore: molte misure restano appese a norme future. Per i sostegni alle startup servono 4 decreti attuativi entro 60 giorni
Decreto Rilancio, altri problemi. Dopo lo sprint notturno di ieri per evitare che il testo definitivo vedesse la luce a una settimana esatta dall’annuncio in pompa magna di Giuseppe Conte (sprint che ha portato a una serie di conseguenze peculiari, a iniziare dal fatto che il testo non è presente sul sito della Gazzetta Ufficiale se non sotto forma di immagine-PDF e da diverse ore inaccessibile), un’altra grana incombe sul dl Rilancio. Perché funzioni servono 98 decreti attuativi.
Il Sole: 98 decreti attuativi per lanciare il dl Rilancio
“Contro la rapidità dell’emergenza il Dl Rilancio – si legge oggi sul quotidiano di Confindustria – si presenta con un profilo dal passo lento. L’esperienza insegna, infatti, che il cammino dell’attuazione delle riforme è, solitamente, faticoso”. La materia riguarda anche le startup: il pacchetto a sostegno delle realtà innovative è legato a quattro venturi decreti attuativi del Ministero dello Sviluppo Economico che dovranno arrivare entro 60 giorni dall’entrata in vigore del Dl Rilancio. Il timer è già iniziato a ticchettare.
L’elenco dei commi che rimandano a norme ancora da stendere è lungo. Ci affidiamo ai calcoli del collega del Sole 24 Ore che ha passato la notte spulciando l’intero testo. Gli interventi a sostegno delle imprese richiedono la maggior parte di decreti attuativi: 18 (14, scorporando le startup dalla materia), fisco e lavoro 10 a parimerito, turismo e cultura ben 14…
Gli altri intoppi sulla via del Rilancio
Ma i 98 decreti attuativi rischiano di essere solo la punta dell’iceberg di un corpus di norme che ha avuto una vita travagliata fin dalla sua gestazione. Non dimentichiamo, infatti, che in origine si chiamava decreto Aprile e sarebbe dovuto arrivare entro Pasqua. “Chiuderemo il Decreto entro i primi dieci giorni di aprile, in modo di poterlo varare tra il 12 e 13, prima però dobbiamo tornare in Parlamento per chiedere nuovamente di scostarci dai saldi di finanza pubblica”, scriveva all’inizio del mese scorso su Facebook il viceministro dell’Economia, Laura Castelli. Poi il decreto da 55 miliardi di euro, al pari del post, è sparito nel nulla. Quindi il dl Aprile per qualche settimana è stato soprannominato dai media, per sberleffo, “decreto Maggio” in attesa che il Governo lo battezzasse “Rilancio”.
Ora però il decreto Rilancio è atteso alla sua prova più difficile: l’esame delle Camere. Le opposizioni sono ansiose di intervenire sul testo con una valanga di emendamenti. Il rischio, però, è di non stare nei 55 miliardi di spesa pubblica, che poi è quasi tutto debito. Se la Ragioneria dello Stato ha impiegato sei giorni per bollinare le misure varate nel Consiglio dei Ministri, vuol dire che reperire le coperture per tutti i 266 articoli che lo compongono è stata una impresa. Difficile, quindi, che ci siano margini di manovra per ulteriori interventi sul testo. Molto più facile che, al pari di quanto fatto col Cura Italia, si prosegua blindando il testo con la fiducia. Un modus operandi che esclude il Parlamento dalla possibilità di intervenire, ma che potrebbe finalmente far tirare un sospiro di sollievo al Paese, che attende quei soldi da tanto, troppo tempo.