I comparti più colpiti ristorazione e ricettività. Il settore turistico alberghiero si contrae di oltre il 52%. Sono soprattutto le regioni del Centro Nord a mostrare le contrazioni maggiori nelle assunzioni
Il Coronavirus ha aggredito l’economia e ora si iniziano a vedere le ricadute sul mercato del lavoro. Era inevitabile. I più esposti sono naturalmente i contratti a termine, perché se i provvedimenti del governo impediscono i licenziamenti, non possono certo rinnovare contratti giunti alla scadenza naturale. La fotografia scattata dall’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (ANPAL) è eloquente e purtroppo si riferisce solo alla fase iniziale della pandemia: dati peggiori sono facilmente pronosticabili nei prossimi bollettini.
Il tonfo dei contratti a termine
“I contratti a tempo determinato – si legge sullo studio dell’Agenzia governativa -, dopo la brusca inversione di tendenza registrata tra la fine del mese di febbraio e i primi giorni di marzo, vedono precipitare, dal 9 marzo in poi, le relative posizioni lavorative nette a quasi -200mila unità”.
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I settori che non assumono
Ampliando lo sguardo oltre i contratti a termine, il report individua anche le fasce produttive maggiormente in sofferenza. Ovviamente c’è corrispondenza tra i settori maggiormente colpiti dalla crisi economica e dal lock down (per esempio, indicati nello studio odierno di Confcommercio) e i comparti in cui le assunzioni sono drasticamente crollate. “In termini settoriali – si legge nel report dell’ANPAL – sono le attività legate ai servizi e alla ristorazione a presentare, relativamente alle attivazioni contrattuali, la variazione più marcata nel periodo. A causa dell’interruzione della coda della stagione turistica invernale, e il mancato avvio delle assunzioni per la fase primaverile, il settore turistico alberghiero si contrae di oltre il 52%. Si tratta di un deficit prossimo alle 300 mila unità rispetto allo scorso anno, vale a dire quasi il 40% del totale della contrazione dei nuovi contratti rilevati nel periodo”.
Le Regioni che hanno smesso di assumere
Altro profilo interessante è il dato territoriale. Sono soprattutto le regioni del Centro Nord a mostrare le contrazioni maggiori nei flussi di assunzione, con Toscana, Liguria, le Provincie Autonoma di Trento e Bolzano e il Veneto che segnano riduzioni superiori al 30% e prossimi o superiori (come nel caso della P.A. di Bolzano e della Toscana) al 60% se si guarda ai flussi dal 23 febbraio in poi.
Il Nord è stato colpito maggiormente per via dell’impatto del Coronavirus, ma poi con la quarantena nazionale anche il resto d’Italia non è scampato alle ricadute occupazionali. “Territorialmente l’andamento delle variazioni tendenziali giornaliere delle attivazioni cumulate mostra come la contrazione delle attivazioni abbia interessato progressivamente l’intero territorio nazionale. In realtà l’intera area centro settentrionale del Paese stava conoscendo, nella prima fase dell’anno, flussi di assunzioni contrattuali leggermente inferiori all’anno precedente. Al 22 febbraio del 2019, il volume di attivazioni nel Nord Italia era stato del 5,5% inferiore a quanto registrato nello stesso periodo dell’anno precedente, contrazione che per le regioni centrali si assestava all’1,9%. Al contrario, il Mezzogiorno, alla stessa data, segnava una crescita dei contratti attivati del 3,1%. Dopo il DPCM del 23 febbraio e, soprattutto, quello del 9 marzo, i valori decrescono per tutte le ripartizioni, con le regioni meridionali che, nell’ultima decade di marzo, invertono il segno della crescita e si avviano, come il resto del Paese, verso variazioni tendenziali fortemente negative”.