A rischio il gioco della concorrenza all’interno dell’Unione europea. E infatti la Germania è il Paese che spende di più
C’è un motivo per il quale l’Unione europea, da quando è stata fondata, vede come fumo negli occhi il tema degli aiuti di Stato. Non si tratta solo di liberismo spinto oltre ogni eccesso e di evitare che i Paesi si indebitino per sorreggere carrozzoni privati (in Italia ne sappiamo qualcosa). Gli aiuti di Stato minano le basi del gioco della libera concorrenza: gli Stati ricchi hanno più risorse per aiutare le imprese presenti sul proprio territorio che potrebbero, in un mercato comune, finire per divorarsi tutte le altre che invece non hanno alle spalle mecenati altrettanto potenti. Con il Patto di stabilità messo per il momento nel congelatore e l’inedita possibilità autorizzata dalla Commissione europea di aiutare le imprese con finanziamenti pubblici, ora si sta verificando proprio questo scenario. La Germania, che è lo Stato più ricco dell’Ue, ha già erogato ingenti capitali per sorreggere le proprie industrie. Gli altri Paesi che non dispongono delle medesime risorse rischiano dunque di uscire dalla crisi sanitaria con un tessuto produttivo indebolito dai lock down e impoverito nel confronto con le competitors tedesche. Se ne è accorta anche l’Ue. O meglio, mr. PESC.
Aiuti di Stato, Berlino è mecenate indiscusso
A lanciare l’allarme, nonostante sia un settore che formalmente non gli competa, è stato l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza comune (mr. PESC), Josep Borrell: “Finora metà degli aiuti pubblici alle imprese autorizzati dalla Ue sono stati decisi dalla Germania, gli aiuti vengono dati da chi lo può fare: se qualcuno può darne di più stiamo falsando le condizioni di concorrenza e il mercato unico ne sarà fortemente condizionato dal modo in cui gli aiuti di Stato saranno accordati”.
Josep Borrell
Il politico spagnolo ha di fatto dato voce al malcontento crescente soprattutto nell’Europa mediterranea per lo scarto tra la capacità finanziaria di reazione alla crisi degli Stati membri. Da giorni sia il responsabile dell’industria e del Mercato interno, Thierry Breton, sia il commissario all’Economia, Paolo Gentiloni mettono l’accento su tale sproporzione e indicano la necessità di decidere rapidamente sul Recovery Fund e sulla definizione del bilancio Ue 2021-2027 per fronteggiare il rischio di fratture economiche e sociali tra gli Stati più profonde di quelle esistenti prima del Coronavirus.
Gentiloni: “Crisi disomogenea, a rischio l’Ue”
Ancora quest’oggi, in una intervista rilasciata alla Stampa, Gentiloni si è espresso circa la necessità di un Recovery fund “da almeno mille miliardi” con fondi già dai “prossimi mesi per fermare la spirale del debito”. Il commissario all’Economia poi sollecita un nuovo strumento per consentire, attraverso l’uso dei fondi Ue, investimenti privati per sostenere le aziende in difficoltà. Gentiloni spiega che quella attuale è una recessione dal “carattere disomogeneo” e sarà tale anche la ripresa. Ed è questa disparità che è “una minaccia esistenziale alle fondamenta dell’Unione”. Il portavoce della Commissione ha però negato che esistano divergenze di opinione nell’esecutivo sul fatto “che esista questo rischio” per il quale la presidente Ursula von der Leyen “è molto preoccupata”.