In collaborazione con |
Spesso chi parla è convinto di utilizzare un tipo di comunicazione volta a “motivare” mentre, invece, sta esprimendo messaggi utili per “informare”. Questione di tono, ma non solo
I tuoi collaboratori ti ascoltano?
Quando hai bisogno di loro sono ricettivi e disponibili oppure eseguono i compiti che gli assegni come un’altra delle voci di una to do list infinita?
E tu, credi di essere capace di trascinarli?
La differenza tra un “capo” e un leader sta nella capacità di motivare i propri dipendenti. Se il primo dà ordini e genera paura, il secondo è in grado di creare entusiasmo, rendendo il lavoro dell’organizzazione piacevole, spedito e proattivo.
Motivare i dipendenti passando dalle parole ai fatti
Gli studi rivelano che uno dei problemi principali che ogni azienda affronta riguarda la comunicazione. Eppure, interagire con gli altri sembra un’attività così scontata. La realtà è decisamente più complessa.
Fin dall’antichità è noto il potere della parola per spronare all’azione. Grandi leader politici hanno costruito le proprie carriere, restituito morale ma anche trascinato i propri paesi in guerra grazie a discorsi carichi di pathos.
Certo, in azienda i rischi sono minori rispetto a quelli che un paese corre quando si impegna in un conflitto. Ma fare caso ai “dettagli” della relazione comunicativa può marcare la differenza tra un posto di lavoro piacevole, e un luogo sgradevole che, invece, tuttalpiù si sopporta.
Se sembra che i nostri messaggi non siano raccolti, proviamo a considerare il modo in cui ci poniamo quando vogliamo chiedere qualcosa. Non sempre il problema è in chi ascolta.
Motivare i collaboratori significa spiegarsi
Ogni discorso può avere quattro finalità fondamentali: intrattenere, informare, convincere e motivare all’azione. Spesso chi parla è convinto di utilizzare un tipo di comunicazione volta a “motivare” mentre, invece, sta esprimendo messaggi utili per “informare”. Questione di tono, certo, ma non solo. Conta il contenuto: contestualizzare le indicazioni che forniamo aiuta a caricarle di senso, e le rende più digeribili. Tutta un’altra musica.
Un esempio pratico, tratto dall’esperienza. Spesso, come manager, troviamo in squadra profili estremamente qualificati e ricchi di esperienze pregresse: felici di collaborare con una nuova realtà, hanno nondimeno una storia professionale di peso.
Gestire queste persone può non essere facile senza fare ricorso all’empatia: figure senior probabilmente non hanno bisogno di sentirsi dire “come fare le cose” – la loro expertise le rende perfettamente autonome -: l’aspetto su cui puntare è, piuttosto, quello motivazionale, mostrare, cioè, perché il loro contributo è necessario, e in che modo il loro lavoro si inserisce in un disegno più complesso.
Se riusciremo a calarci nei panni di chi, legittimamente, aspira a una crescita e a capirne il sentimento, riusciremo a coinvolgere tutti in maniera veramente efficace.
E tu, sei sicuro di conoscere la differenza tra i quattro stili di comunicazione?
Nel book allegato potrai scoprire come distinguerli e scegliere quello più adatto ad ogni situazione.