Tempo di maturità. Se ci fate caso, ormai sono quasi spariti gli annunci di lavoro in cui le aziende richiedono il voto come requisito base. Restano, certo, i concorsi pubblici, le Poste, alcune aziende padronali o quelle che vogliono darsi un’aura di esclusività.
Ma il voto, inteso come numero, ha finalmente perso molto del suo appeal nel mondo del lavoro. E per fortuna. Aspetta! A questo punto, proprio come in un recente video su TikTok, il mondo dei genitori si indigna:“Come? Disdegni l’impegno? Il voto è la parte attiva del lavoro!”
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Eh no. La parte attiva non è il voto. È la complessità di una persona, e soprattutto la comprensione che ha di sé stessa. Sì, il voto esiste. Ma conta anche tutto ciò che lo circonda: abitudini, relazioni, esperienze, intraprendenza. Sono questi gli elementi che rendono una persona unica nel suo percorso. Durante la mia carriera scolastica ho sempre puntato al massimo. All’università, raggiungere il 30 era diventato quasi un’ossessione, uno sport competitivo in cui l’obiettivo era colpire il docente, impressionarlo. Ero molto brava, sì, ma credo di essere stata soprattutto brava a ripetere ciò che il professore voleva sentirsi dire.

Forse è anche per questo che, dopo la laurea, mi sono sentita per anni “inadatta al lavoro”. Così ho deciso di continuare con un dottorato. Essere diligente e determinata mi ha dato tratti caratteriali che ancora oggi, da libera professionista nella content economy, mi aiutano a navigare in un mare spesso incerto. Tuttavia, il viaggio verso la sicurezza di sé, l’equilibrio mentale e la consapevolezza personale è stato lungo.
L’esame di maturità è obsoleto?
Qualche giorno fa sono stata ospite a Connessi, su SkyTG24. La domanda era:
“Ma quindi, l’esame di maturità è obsoleto?” La mia risposta è no. Il suo valore simbolico di passaggio resta fondamentale.
Come ricordava Giorgio Amendola in una traccia della maturità del 1984 (l’anno di Notte prima degli esami di Venditti),

“È una prova di carattere e di volontà, come la vita esige fuori dalla scuola e in ben più severe condizioni e con maggiori ingiustizie”. Il voto, però, fotografa solo un frammento del presente. Non è una previsione del futuro.
Cosa cercano oggi le aziende?
Se sei all’inizio della carriera Le multinazionali parlano sempre di “talento”, ormai quasi una buzzword. Ma con “talento” non si intende solo il candidato geniale o il “portento”: si intende la persona nella sua unicità e consapevolezza.
Per questo, se sei alle prime esperienze, ciò che sarà apprezzato sarà la capacità di raccontare il tuo percorso, qualunque esso sia, come una serie di scelte consapevoli.
Evitare: “So che avrei dovuto fare altro…”
Meglio: creare un filo conduttore tra le esperienze, valorizzare ogni tappa come parte della tua storia.
La formazione è importante, ma lo è anche ciò che sta al di fuori del percorso accademico. Non è un caso che in molti annunci si chiedano interessi, passioni, esperienze extracurricolari.
Questo perché:
- Ti permettono di parlare di ciò che ti piace. È qui che spesso emerge la tua zona di genio, per usare le parole di Gay Hendricks (“The Big Leap”), cioè quelle attività in cui eccelli e che ti danno energia.
- Dimostrano competenze relazionali, capacità di negoziazione e leadership: aspetti ancora oggi poco riproducibili anche dalle migliori tecnologie, inclusa la GenAI.
Un buon CV oggi lascia spazio (in maniera equilibrata) anche a:
- Hobby e interessi
- Valori personali (la sezione che adoro chiamata anche “Not my cup of tea”)
- Progetti personali
- Volontariato
- Attività associative
Un recruiter competente saprà leggere tra le righe e individuare le tue competenze trasversali, le vere game-changer. Guarda, qui sono assolutamente sicura di quello che dico: le eccezioni ci saranno sempre, ma come ci saranno sempre anche persone meno competenti.

Quando hai già esperienza?
Anche qui, il focus è sulle competenze. In molti settori, il titolo di studio sta perdendo rilevanza, per motivi come:
- Mismatch di competenze: la domanda supera l’offerta, soprattutto negli ambiti STEM (Fonte: OECD Skills Outlook, 2023).
- Apprendimento esperienziale: molte skill si sviluppano sul campo, indipendentemente dal percorso formativo originario (vedi Lifelong Learning secondo l’UNESCO).
Uno degli errori più comuni è fermarsi alla mera descrizione operativa delle attività svolte, come se fosse un annuncio.
Cosa invece fa la differenza? Come si esprime la seniority?
1. Complessità
La tua azienda è grande, piccola, artigianale? Uno stesso può avere uno spessore molto diverso in questi contesti.
Indica numeri, volumi, strumenti usati, tipologia di clienti, paesi coinvolti. Es: “Gestione di un team cross-funzionale in 3 paesi europei con budget di 500.000€”.
2. Gerarchia
A chi rispondi? Hai risorse a carico? Ti occupi di formazione o selezione?
3. Autonomia
Hai margine decisionale? Su quali aspetti? Gestisci budget o progetti in autonomia?
4. Impatto
Qual è il valore del tuo lavoro? Che risultati ottieni? Usa numeri e percentuali indicative, mai usare dati riservati. E se è stato un lavoro di team, racconta con episodi al colloquio il tuo contributo specifico.
5. Crescita e Formazione
Aggiorna sempre i corsi recenti, ma anche i tempi di evoluzione nei ruoli.
E se vuoi inserire le tue soft skills mai come elenco puntato nel cv o con vuoti aggettivi ad un colloquio. Un trucco utile è parlare con gli occhi degli altri:
“Le persone con cui lavoro mi riconoscono capacità di…”
Conclusione
Checché ne dicano alcune persone indignate sui social, il fatto che i voti stiano perdendo valore non è un male. Viviamo in un’epoca in cui abbiamo finalmente più spazio per raccontarci, per offrire agli altri una chiave di lettura del nostro valore.
Secondo il World Economic Forum (Future of Jobs Report 2023), la “influence sociale” – ovvero la capacità di influenzare positivamente gli altri – è tra le competenze chiave per il futuro prossimo. Fuffa a parte (che viene comunque sgamata), a me sembra una grande opportunità.