Diversi studi dimostrano che aumenta la produttività e la felicità dei lavoratori. Gli esperimenti in giro per il mondo
Lavorare meno, lavorare meglio. Da anni, quando ci si interroga sull’evoluzione delle modalità di lavoro, si discute della riduzione delle ore passate in ufficio a favore di una gestione più personalizzata delle proprie mansioni. Bisogna però fare molta attenzione, perché il cosiddetto smart working non è sempre così positivo come si pensa. Il prezzo da pagare per non essere fisicamente in ufficio può essere infatti più alto del previsto, con smartphone e pc che ci inchiodano al lavoro praticamente 24 ore su 24, a scapito della libertà personale e del tempo libero.
4 day work week
È però indubbio che si tratta di una tendenza irreversibile del mondo del lavoro. L’ultima forma di smart working di cui si sta discutendo porterebbe a settimane lavorative di soli 4 giorni: è la cosiddetta 4-day work week. Secondo CNBC è il futuro, neanche troppo lontano, verso cui stiamo andando. Molte aziende, soprattutto americane, hanno già sperimentato soluzioni in questo senso, spesso con risultati molto soddisfacenti. Il salario del lavoratore non cambia, a cambiare sono l’efficienza e la felicità degli impiegati, che sfruttano al meglio il tempo a propria disposizione e portano a termine meglio le proprie funzioni.
Uno studio dell’Università di Auckland ha dimostrato che i lavoratori, meno stressati dalla presenza in ufficio, ne guadagnano in passione e voglia di fare, oltre ovviamente ad avere più tempo libero da dedicare alla famiglia. Lo studio è stato condotto su un’azienda neozelandese, la Perpetual Guardian, in cui si è sperimentata la settimana corta per 2 mesi di fila. Al termine di questo periodo, non solo i dipendenti ma anche i dirigenti dell’azienda hanno chiesto al CEO di adottarla in maniera permanente. Quasi tutti hanno riscontrato un miglioramento nelle performance, maggior focus sul proprio ambito di competenza e un beneficio nei rapporti tra colleghi. Dall’altra parte, ovviamente, hanno dichiarato di aver goduto al meglio della propria dimensione privata.
Resta da capire se si tratta di una soluzione adottabile in maniera permanente, o se alcuni di questi benefici verrebbero meno una volta che la settimana corta diventasse la regola e non l’eccezione. Bisogna anche fare attenzione ai casi in cui si vuole applicare lo smart working: uno studio dell’Università di Oxford ha dimostrato che, soprattutto in Paesi dell’Asia e dell’Africa, tale sistema è equiparabile ad uno sfruttamento vero e proprio, soprattutto in settori particolari come quello informatico.
“Da quanto emerge appare chiaro che l’autonomia lavorativa all’interno della gig economy spesso è ottenuta al prezzo di orari di lavoro lunghissimi, irregolari e anti-sociali, che possono portare a stress, privazione del sonno ed esaurimento nervoso” spiega Alex Wood, co-autore della ricerca dell’Università di Oxford.
In certe zone del mondo la strada per arrivare a lavorare meno e meglio, ma soprattutto con gli stessi diritti, è ancora lontana.