Il test a Chicago si allarga, nel mirino le tradizionali agenzie interinali che secondo l’azienda non offrono trasparenza sulle condizioni né ai candidati né ai datori di lavoro
Mentre rilancia la sua applicazione principale all’insegna dell’integrazione fra i diversi servizi – cibo e mezzi ecologici su tutti – e della maggiore sicurezza, Uber prova un piccolo test che dovrebbe farci pensare. E molto. Si chiama Uber Works ed è un’applicazione che il gruppo guidato da Dara Khosrowshahi (nella foto in basso) sta per sperimentare a Chicago. Né più né meno che un’estensione del tanto contestato paradigma della gig economy – e nella battaglia la società è immersa fino al collo viste le cause con gli autisti che chiedono di essere riconosciuti come dipendenti – anche ai settori diversi da quelli delle corse in auto e del cibo a domicilio.
Come funziona
Uber Works incrocerà domanda e offerta per lavori e lavoretti temporanei, favorendo l’incontro fra chi cerca e chi offre. Certo, di app per il recruiting ce ne sono molte, ma qui – a quanto pare – non si tratterà di scovare l’impiego della vita. Piuttosto, di trovare qualcosa da fare anche per una volta o per pochi giorni di fila. Una mossa che non pochi hanno definito provocatoria, proprio per le tante pendenze in tribunale, specialmente in quelli californiani dove c’è anche una legge a stringerla all’angolo, sullo status giuridico dei propri autisti e fattorini. Tuttavia, con Uber Works il gruppo spiega di voler provare a “eliminare i colli di bottiglia nella ricerca di un posto di lavoro”.
Un nuovo approccio guidato dalla tecnologia
A occuparsi della parte burocratica (paghe, benefit, tasse e altro) saranno agenzie specializzate, come TrueBlue mentre Uber Works si occuperà di quello che sa fare: mettere in moto i suoi algoritmi per far incontrare le persone e le loro necessità. Oltre a monitorare le attività – orari, pause, pagamenti – effettuerà una selezione di persona e una serie di verifiche sui candidati, prima di proporli a chi ha bisogno dei lavoretti più disparati. “Crediamo che un nuovo approccio guidato dalla tecnologia possa produrre modi più semplici e veloci per le persone aiutandole a trovare lavoro – ha spiegato l’azienda in una nota – e al contempo offrire una fotografica più chiara e profonda delle tante opportunità che ci sono là fuori”.
Il test in corso da un anno
In realtà Uber Works sta già funzionando, su scala molto piccola, a Chicago da un anno ed è destinata appunto ad allargare il tiro. C’è stato anche un beta test a Los Angeles. Un passo verso l’impoverimento del lavoro o un modo come un altro, ma più efficiente, per trovare un impiego – anche temporaneo – a chi ne ha disperatamente bisogno? Come sempre quando si parla di Uber, le tesi si contrappongono ferocemente. Nel mirino, vale la pena ricordarlo, Uber piazza tuttavia le agenzie di lavoro e agenzie interinali, usate da milioni di americani “anche se la situazione non è ideale né per i lavoratori né per i datori di lavoro”, come spiega un post sul blog ufficiale. “Crediamo che trovare lavoro non dovrebbe essere un lavoro di per se stesso – aggiunge l’azienda – per posizioni molto diverse come cuochi, magazzinieri, operatori di pulizia o addetti per gli eventi Uber Works vorrebbe rendere tutto più semplice”. Vedremo se, almeno a Chicago, ci riuscirà.