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Il vaccino anti-Covid19 ha riacceso il dibattito sui brevetti. Ma come si pone l’Italia nei confronti di questo strumento di crescita e innovazione per le aziende? Un’analisi data-driven propone una riflessione sulla proprietà intellettuale nell’ambito del progetto “Biotech, il futuro migliore”, promosso da Assobiotec
Da un lato, ci sono i sostenitori di una scelta stra-ordinaria per garantire l’immunizzazione globale. Dall’altro lato, ci sono invece i difensori della proprietà intellettuale, vista come garanzia di innovazione. C’è uno scontro di opinioni contrastanti quando si parla di brevetti per i vaccini anti-Covid19.
“La sospensione dei brevetti nel caso dei nuovi vaccini contro Covid-19 sarebbe un errore tragico”, sostiene Lucio Rovati, Presidente e direttore scientifico di Rottapharm Biotech. “I comparti farmaceutico e biotech si basano sul sistema dei brevetti. La proprietà intellettuale garantisce la protezione dell’invenzione e del suo sfruttamento, ma attrae anche gli investimenti di soggetti privati. Inoltre, è capace di generare ritorni che possono essere reinvestiti nelle medesime attività di innovazione”.
Nei 20 anni di esclusiva, il brevetto offre al titolare la possibilità di recuperare le spese di ricerca e sviluppo e quelle per la brevettazione. Inoltre, consente di ottenere ulteriori capitali da reinvestire in nuove attività di ricerca e sviluppo. La collettività, invece, non è penalizzata da un brevetto. L’esclusività conferita da un brevetto non impedisce ad altri di condurre attività sperimentale a fini non commerciali sull’oggetto dell’invenzione.
“Il brevetto permette di mantenere la propria posizione sul mercato, impedendo l’utilizzo dell’invenzione da parte di terzi, ma è anche una difesa per le aziende, in quanto con la sua pubblicazione evita che terzi possano ottenere brevetti su tecnologie e know-how di interesse aziendale. Inoltre, il possesso di un brevetto è senza dubbio un salto qualitativo per un’azienda”, aggiunge Giovanna Barchielli, Consulente in Proprietà Industriale e docente presso il Corso di Perfezionamento in Gestione della Proprietà Industriale dell’Università Statale di Milano.
Brevetti: l’Italia vista dall’Europa
Purtroppo, l’Italia non sembra sfruttare al massimo le tutele e le opportunità conferite da un brevetto. Nella classifica riportata dal report Patent Index 2020, l’Italia è ultima per numero di brevetti su milione di abitanti.
Cosa occorre per migliorare? È necessario considerare sia la componente umana che quella economica per spingere il miglioramento.
“Per arrestare la fuga dei cervelli e potenziare la ricerca italiana, occorre ottenere le risorse, logistiche e finanziarie, perché gli scienziati possano organizzare la loro attività in Italia. Poi, se lo desiderano, devono poter essere avviati a un sistema imprenditoriale che favorisca la nascita, ma soprattutto lo sviluppo di start-up. Perché ciò accada, gli scienziati devono anche ricevere un’adeguata educazione imprenditoriale, una visione industriale spesso colpevolizzata dalla nostra università”, spiega Rovati.
Dal punto di vista economico “sono da caldeggiare gli investimenti basati sul merito e rivolti anche a singoli individui o gruppi. Per ottenere investimenti, occorre cioè superare la necessità del consorzio, nata per contrastare il meccanismo dei “finanziamenti a pioggia”. Infine, vanno anche stimolate le collaborazioni pubblico-privato, che oggi sono quasi inesistenti in concreto”.
E infine Rovati conclude: “Serve anche un’educazione sul tema dei brevetti. Molto spesso, intuizioni scientifiche di enorme rilevanza e che vengono pubblicate ai massimi livelli, non vengono prima brevettate. Così è vanificato il loro sfruttamento che, prima di generare un beneficio economico, può generare un beneficio in termini di salute pubblica”.
Più sostegno agli innovatori
Perché il meccanismo dell’innovazione e della richiesta di protezione della proprietà intellettuale si inneschi è importante che ci siano anche le condizioni di contorno.
“Gli uffici brevetti italiani necessitano di modernizzazione e digitalizzazione. La burocrazia cartacea, tutt’ora diffusa nel nostro paese, non solo rallenta le pratiche, ma spesso rende inaccessibili informazioni importanti anche per soggetti terzi”, racconta Barchielli. “Perché il cambiamento possa verificarsi, è necessario formare il personale con maggiori competenze digitali. Inoltre, sarebbe importante rendere più fruibile la brevettazione per tutte le PMI e le università, fornendo un supporto concreto e informativo”.
Un’altra cosa da valutare è il tasso di successo delle richieste di brevetto. Oggi l’Italia ha raggiunto una quota pari all’80% delle richieste approvate a livello europeo. Il trend è in miglioramento rispetto al passato, come riportano i dati della European Patent Organization (EPO).
“Oggi c’è un buon supporto per la ricerca brevettuale”, spiega Barchielli. “L’ufficio brevetti europeo valuta le domande italiane ed emette un rapporto di ricerca a un costo irrisorio. Il parere dell’Ufficio Brevetti Europeo esplicita le criticità della domanda di brevetto e le obiezioni rispetto alla brevettabilità”. Questo passaggio rende molto più solide le domande di brevetto e quindi aumenta le possibilità di successo.
Il mondo delle PMI e i brevetti
Dalle analisi della EPO, il 74% delle richieste di brevetto in Europa proviene dalle grandi imprese, il 21% dalle piccole e medie imprese, il 5% dalle università e dagli enti di ricerca pubblici.
L’Italia è costellata di piccole e medie imprese che spesso hanno proprio i brevetti come unico strumento per competere con le grandi multinazionali. Anche il comparto biotech è costituito per l’80% da imprese di piccola e micro-dimensione, oltre che dalla ricerca privata, dal no profit e dalle università e centri di ricerca.
“I brevetti sono linfa vitale per le PMI dal momento che rappresentano il vero patrimonio su cui crescere. È la maggiore differenza rispetto ai grandi gruppi farmaceutici che possono contare su altre fonti di reddito, che derivano loro dal mercato di prodotti e servizi consolidati”, dice Rovati.
“Bisogna far passare l’idea che il brevetto non è un costo, ma un guadagno per l’azienda che riesce a competere molto di più sul piano internazionale”, aggiunge Giovanna Barchielli.
Affacciarsi sul mercato estero con un brevetto però ha costi molto elevati. “Vanno promosse tutte le iniziative che prevedono finanziamenti non solo per la ricerca, ma anche per la brevettazione”, sostiene Barchielli. “Poi l’entrata in vigore del Brevetto Unitario Europeo e del Tribunale Unificato dei Brevetti potrebbe contribuire ad abbassare i costi. Oggi per ottenere un brevetto europeo bisogna convalidarlo in tutti gli stati dell’Unione, con relative tasse di mantenimento e costi di traduzione per ogni paese in cui il brevetto è depositato. Anche i costi per le cause di contraffazione si abbatterebbero, perché le decisioni del Tribunale Unificato dei Brevetti saranno valide in tutti gli stati Europei che hanno aderito all’accordo”.
I brevetti e i Paesi più poveri
Mentre le opportunità offerte dai brevetti appaiono sempre più chiare, resta il dubbio se fosse possibile introdurre una maggiore flessibilità sui brevetti.
“Per sua natura il brevetto non è flessibile, ma deve proteggere senza tentennamenti i diritti (e i doveri) di implementazione e sfruttamento da parte dell’inventore”, sostiene Rovati. “Se non ci fossero stati i brevetti, non si sarebbero realizzati gli oltre 950 progetti di ricerca su vaccini e trattamenti – inclusi i biologici – contro Covid-19. Il 70% di essi, infatti, è stato promosso da aziende medio-piccole”.
Resta la necessità di rendere i brevetti utilizzabili anche a favore dei paesi meno abbienti, forzando collaborazioni e forniture a condizioni favorevoli per questi paesi. “Questo è ciò che le autorità dovrebbero fare di concerto con le aziende, che comunque nel frattempo stanno facendo del loro meglio”, commenta Rovati. “Nel settore della produzione di vaccini sono già state avviate oltre 250 collaborazioni”.
Tuttavia, per rendere applicabile un brevetto servono impianti, personale specializzato e know-how.
“L’aspetto più pericoloso della discussione sui vaccini è che essa rappresenti un grimaldello per scardinare il sistema dei brevetti in generale. Sarebbe un disastro nel settore biotech e in altri settori, dal momento che l’innovazione verrebbe irrimediabilmente persa. Il profitto esagerato e ingiustificato è esecrabile, ma il profitto sano che genera innovazione, va difeso con decisione”, conclude Rovati.