La realizzazione di successo fatta da PagoPA, il team digitale e l’intuizione vincente per provare ad “hackerare” la relazione all’epoca obsoleta tra cittadino e Pubblica Amministrazione. Intervista a Paolo Barberis, che otto anni fa ha teorizzato in un digital act nel suo ruolo di Consigliere per l’innovazione a Palazzo Chigi l’app della PA oggi scaricata da oltre 30 milioni di italiani e vincitrice del Compasso d’Oro 2022
Chi l’avrebbe mai detto. O invece sì. Perché in fondo la storia che stiamo per raccontare affonda le radici nel lontano 2014 e si declina sin da subito in un mix vincente di ingredienti. Stiamo parlando della nascita dell’app Io, il punto unico di accesso per i servizi digitali della Pubblica Amministrazione, realizzata da PagoPA guidata da Giuseppe Virgone. La scorsa settimana l’app, utilizzata ogni mese da oltre 6 milioni di utenti e con oltre 30 milioni di download, si è aggiudicata un riconoscimento inusuale per il mondo digitale: il prestigioso Compasso d’Oro, il più autorevole e antico premio esistente nell’ambito del design e che fa salire sul podio progettisti e produttori di prodotti e di servizi che si sono distinti sul territorio nazionale. Tutto nasce nel 1954 da un’idea di Gio Ponti. La premiazione si è svolta nella cornice dell’ADI Design Museum di Milano. «Con l’app Io tutto è partito quando sono stato chiamato a fare il Consigliere per l’Innovazione nel governo Renzi e mi sono messo al lavoro per la nuova Italia digitale. È un progetto plurale che si è arricchito del contributo di tanti professionisti e che ha superato nel corso degli anni più compagini governative fino al Ministro dell’innovazione tecnologica e transizione digitale, Vittorio Colao. Questo è un valore perché ci si è messi a lavorare insieme in un passaggio di testimone che si è rivelato vincente», racconta Paolo Barberis, fondatore di Nana Bianca e ancora prima di Dada, da una vita impegnato nel digitale e di fatto il papà dell’app Io. Barberis sarà con noi domani a #SIOS22 Summer Edition (qui per registrarsi all’evento e partecipare alla festa).
“Questo è un progetto plurale che si è arricchito del contributo di tanti professionisti e che ha superato nel corso degli anni più compagini governative. Questo è un valore perché ci si è messi a lavorare insieme in un passaggio di testimone che si è rivelato vincente”
«Ricordo che questo nome è stato scelto su una rosa di due. Ho sempre creduto al nome Io, tant’è vero che ancora oggi è la mia parte iniziale della mail. Nel documento originario le ipotesi erano Casa.italia.it o Io.italia.it. L’obiettivo sin dagli esordi è stato quello di far sentire i cittadini a proprio agio nella relazione con la Pubblica Amministrazione», precisa Barberis. Tutto parte da un’intuizione vincente per provare ad “hackerare” la relazione all’epoca obsoleta tra cittadino e pubblica amministrazione. Alla base di tutto c’è stata anche l’idea di costruire una community di Designer e una di Developer che portassero avanti un progetto aperto. E poi il progetto del Team Digitale voluto da Barberis e dal Governo, guidato con grande successo da Diego Piacentini. L’idea parte da una sana ossessione per l’ascolto dei bisogni digitali dei cittadini e utenti connessi. Facile a dirsi, più difficile a farsi. Ma in questa ricetta c’è un altro elemento che diventa rilevante. Ed è il fattore tempo. Partiamo proprio da qui per descrivere le 5 lezioni che hanno portato l’app Io ad essere vincente.
Lezione 1: arrivare prima, ma non troppo
«Gli smartphone più evoluti erano già tra le mani di milioni di utenti, arrivati nel 2007, ma non erano ancora indirizzati per dialogare con la PA. C’era molta disomogeneità tra i servizi basici offerti dalle differenti amministrazioni. Però il momento era quello giusto. L’idea era stata sin dall’inizio quella di offrire linee guida per il design e per lo sviluppo del software, realizzando una app nativa che è diventata col tempo un polo aggregatore su cui sono saliti e saliranno a bordo tutti i servizi seguendo regole precise», dice Barberis.
Lezione 2: saper leggere il proprio tempo
Ma c’è di più. Il tema del tempo si traduce anche nella necessità di leggere i bisogni contemporanei degli utenti, mettersi nei loro panni, nella loro testa, nei loro smartphone. «Il successo passa anche dal tempo. I download sono cresciuti negli anni, ma il posizionamento si è sedimentato nel tempo», dice Barberis. Quindi il messaggio è imparare a gestire la complessità comprendendo che non si può avere “tutto e subito”: il successo passa sì dall’idea wow, ma che va metabolizzata, compresa, tradotta dai più, oltre le tribù degli smanettoni.
“Bisogna saper leggere i bisogni contemporanei degli utenti, mettersi nei loro panni, nella loro testa, nei loro smartphone”
Lezione 3: il successo dal lavoro di squadra
I risultati passano dal lavoro di squadra, che si esplicita in questo caso nella community di designer impegnati a gettare le basi della user experience e nella community di developer al lavoro per realizzare il kit per le interazioni. «Ma la forza era dettata dal fatto che in campo erano scesi sin dagli esordi più squadre di professionisti con competenze differenti e trasversali. Una lezione che abbiamo poi imparato a comprendere soprattutto in questo tempo segnato dall’ibridazione delle competenze», dice Barberis.
Lezione 4: lavorare… al contrario
Può sembrare un paradosso, ma il successo di Io sta anche nell’approccio controcorrente, ossia nell’idea disruptive di far salire a bordo ministeri, regioni, comuni con i vari servizi della PA soltanto una volta disegnato il paradigma centrale, con una guida importante e con un ruolo di mediazione. «Poi ovviamente avrebbero avuto accesso ai servizi all’interno dell’app, che però sin dall’inizio era centralizzata come nucleo portante, flessibile, innovativo. È una regola aurea dello stream di aggiornamento della programmazione: tutto in un unico spazio in un’idea di progressione, in un aggiornamento continuo», ricorda Barberis.
“L’app sin dall’inizio è stata centralizzata come nucleo portante, flessibile, innovativo. È una regola aurea dello stream di aggiornamento continuo”
Lezione 5: l’usabilità prima di tutto
C’è un concetto che negli anni è diventato un mantra per designer e sviluppatori: mobile first. Bene, bravi, bis. Ma poi dentro quella centralità dell’esperienza in mobilità i servizi vanno resi accessibili, usabili, coinvolgenti, friendly. «Anche il nome ha la sua rilevanza, eccome. Dare il giusto naming non è operazione di marketing, ma la promessa di un’esperienza che si avvera. In ballo all’inizio c’era la parola “Casa”, poi siamo passati a “Io”. Invertendo così il paradigma: non ero più io come cittadino che dovevo sbattermi per andare a caccia del servizio da usufruire, ma anche a livello architetturale quel servizio diventava facile da raggiungere, a portata di clic. Con Io si conferma il concetto di accesso, che si esplicita con Spid, login per entrare in un sistema snello che consente anche il pagamento via smartphone per la PA grazie a quel gioiello che oggi è PagoPA», conclude Barberis. In fondo i numeri sono la cartina di tornasole del successo: oggi l’app permette ai cittadini di fruire di 88mila servizi pubblici erogati da oltre 7mila amministrazioni locali e centrali. Tanta roba davvero.