Quasi cento miliardi di euro l’anno, 1700 euro in capo a ogni italiano e italiana, una cifra da capogiro che il Paese risparmierebbe se gli uomini fossero meno virili – virili in che senso lo vedremo poi – e si comportassero come le donne. Messa così, suona come una battuta paradossale, una zampata generata a effetto, ma a seguire lo snocciolarsi del ragionamento di chi l’ha messo in campo – le autrici di un libro che ha fatto parecchio discutere – emerge un rigoroso lavoro di ricerca e una conclusione efficace.
Tra donne e uomini, un abisso di differenze
Tutto comincia dall’osservazione che compie l’economista italiana Ginevra Bersani Franceschetti dei dati Istat 2020 sui comportamenti antisociali degli italiani. Scopre, la studiosa, che nel nostro Paese sono uomini l’82,41% dei 500mila autori di reati per i quali è stata aperta una procedura penale nel corso di un anno. Risultano, nel dettaglio, uomini l’85,1% delle persone condannate dalla giustizia, il 92% degli imputati per omicidio, il 98,7% degli autori di stupri, l’83,1% degli autori di incidenti stradali mortali, l’87% dei responsabili di abusi su minori e il 93,6% degli imputati per pornografia minorile. Sono uomini anche il 95,5% della popolazione mafiosa, l’87,5% degli imputati per rissa e il 76,1% per furto, così come il 91,7% degli evasori fiscali e l’89,5% degli usurai, il 93,4% degli spacciatori e il 95,7% della popolazione carceraria.
I danni passati al microscopio
I numeri della virilità antisociale e quel che ne consegue sono la materia calda del saggio, che l’economista ha scritto insieme alla storica dell’economia Lucile Peytavin, Il costo della virilità, quello che l’Italia risparmierebbe se gli uomini si comportassero come le donne (Il Pensiero Scientifico Editore). Fatta la fotografia di questo abisso statistico tra uomini e donne, le due autrici valutano che i comportamenti virili maschili assorbono “10,12 miliardi di euro sui 15,6 miliardi del bilancio totale delle forze dell’ordine dei differenti ministeri – Carabinieri, Polizia, Guardia di Finanza -, 6,25 miliardi di euro sugli 8,45 miliardi di euro del bilancio della Giustizia, di cui 3,58 miliardi per la giustizia e 2,67 miliardi per l’amministrazione penitenziaria, 9,9 miliardi di euro del bilancio totale delle emergenze e dei ricoveri ospedalieri. A ciò, continuano le autrici, si aggiunge il costo umano e sociale, il costo delle vite spezzate, delle sofferenze fisiche e psicologiche che inducono cali della produttività e via di questo passo, in una ricaduta a cascata di conseguenze capace di produrre danni per 98,78 miliardi di euro totali. Una perdita di ricchezza nazionale ingentissima.
Perché nessuno mai arriva al punto?
Più che l’esattezza del calcolo, secondo le autrici importa realizzare che nessuno mai – autorità e individui – approfondisce la matrice maschile dei reati, come se il fatto che ci siano uomini dietro la stragrande maggioranza dei reati sia un aspetto del tutto insignificante. Perché il sesso di appartenenza non viene riconosciuto come causa determinante del comportamento antisociale?, si chiedono. Gioca il fatto che gli uomini sono da sempre percepiti come rappresentanti dell’intero genere umano (con la parola uomo non si designa forse anche la persona?), il che rende le loro azioni rappresentative dell’intera popolazione e non specifiche del loro sesso. E poi, conta pure che siano percepiti come turbolenti di natura – dicono le autrici -, quasi che le condotte aggressive siano insite nella biologia, e perciò in qualche modo legittime e non rimediabili.
Violenti/e (o pacifici/che) non si nasce: lo si diventa
Per le due autrici è proprio questo il punto: l’origine biologica dell’aggressività maschile è stata ormai sconfessata dalla scienza: se un uomo è violento non è perché è nato tale, ma perché lo è diventato. La violenza maschile, riportano le due autrici, è conseguenza dell’educazione, dei retaggi culturali, degli stererotipi di genere, di modelli che, ispirati dal mito della mascolinità, si ostinano a trasmettere e legittimare l’idea dell’uomo forte, molto virile, audace, a contrasto di quanto succede per la femminilità, associata all’idea della maternità accogliente, alla dolcezza, all’accudimento (perché, allo stesso modo, non si nasce donna pacifica, lo si diventa).
Il costo della virilità non è una fatalità
Per fermare i comportamenti virili bisogna agire sugli schemi culturali, sostengono le autrici. “L’educazione data ai ragazzi è veramente insensata: da un lato si insegnano loro i principi democratici di uguaglianza, di fraternità e di parità; dall’altro, sono condizionati – quasi sistematizzati consapevolmente e/o inconsciamente – alla virilità e ai suoi corollari:
valorizzazione del dominio sugli altri, della forza e mancanza di empatia”.
E se la virilità perversa fosse anche donna?
La virilità, aggiungono le autrici, è un nemico difficile da riconoscere e afferrare. Può anche assumere le sembianze di un volto maschile, ma è chiunque, uomo o donna, faccia sua la virilità perversa che aggredisce, umilia, picchia, che punta, coscientemente o meno, a sopraffare. Perché la virilità tossica può appartenere a chiunque.