Torniamo a “A lezione di fallimento” con l’economista Francesca Corrado. Attraverso il racconto di persone, aziende e prodotti proveremo a individuare gli errori, le trappole del successo e le lezioni che possiamo apprendere. Questa settimana voliamo in America con l’inciampo della nota marca di fast food
Febbraio 2018. Kentucky Fried Chicken è costretta a chiudere oltre 600 degli 870 ristoranti nel Regno Unito e in Irlanda. Sapete perché? A causa di una carenza di…pollo. Qualche mese prima la catena di fast-food aveva scelto di recedere dal contratto con lo specialista della consegna alimentare Bidvest Logistics, preferendo la concorrente DHL. Una partnership, quella tra KFC e DHL, così strategica da promettere che insieme avrebbero rivoluzionato la catena di fornitura del servizio nel Regno Unito. In particolare, la loro attenzione si sarebbe concentrata su 3 aspetti specifici «innovazione, qualità e affidabilità».
Nel giro di poche settimane dalla presa in carico della gestione delle consegne, il sistema però ha iniziato a mostrare qualche imperfezione. Evidenziando i segni di una cattiva pianificazione. DHL, dal proprio centro operativo situato in un unico magazzino a Rugby, faticava a soddisfare gli ordini just-in-time degli affiliati sparsi ovunque sul territorio. L’hashtag #ChickenCrisis. diventa in breve virale. DHL si affretta a dichiarare che un certo numero di consegne è stato incompleto o ritardato a causa di non meglio specificati problemi operativi. La decisione di operare avendo un unico magazzino può essere un errore per alcune tipologie di prodotti, in particolari quelli deperibili come il cibo. E ancora, che «DHL non è l’unico responsabile della catena di approvvigionamento di KFC». Come dire, abbiamo un problema ma non è (solo) colpa nostra.
Come rimediare all’errore?
Il reparto marketing di KFC tenta di stemperare la tensione usando una battuta che apparve per la prima volta in un’edizione del 1847 della rivista newyorkese The Knickerbocker per mostrare un tipo di finale di battuta non proprio divertente. «Come mai il pollo ha attraversato la strada?». «Per arrivare dall’altra parte». Nella versione di KFC la battuta finale viene cambiata in «Non ne abbiamo idea, ma certamente non per raggiungere un ristorante KFC». La battuta venne accolta con lo stesso livello di divertimento dell’originale, se non peggio. I clienti si erano visti chiudere le porte del ristorante dopo essere usciti appositamente per andare a mangiare l’inconfondibile pollo fritto del colonnello Sanders. A Bristol, la clientela più affezionata arrivò perfino a creare un movimento per nazionalizzare la catena. Così da essere sicuri di non rimanere mai più senza pollo. Il punteggio di gradimento del marchio tra i consumatori, già basso, scese in breve tempo di nove punti.
La chiave dello storytelling: la vulnerabilità
KFC ricorre ai ripari pubblicando una campagna a pagamento a tutta pagina sul Sun e sulla free press distribuita in tutte le metropolitane. Nell’immagine a sfondo rosso, compare il tipico bucket di KFC in cui è normalmente servito il pollo. Il cestino però è senza pollo. Sulla scatola compaiono le lettere del logo in ordine diverso (FCK) che suona come una classica imprecazione anglosassone. L’immagine era accompagnata da un messaggio. «Un ristorante di pollo senza pollo. Non è l’ideale. Scuse enormi ai nostri clienti, in particolare a coloro che hanno fatto di tutto per scoprire che eravamo chiusi. E grazie infinite ai membri del nostro team KFC e ai nostri franchise partner per aver lavorato instancabilmente per migliorare la situazione. È stata una settimana infernale, ma stiamo facendo progressi e ogni giorno sempre più pollo fresco viene consegnato ai nostri ristoranti. Grazie per la vostra pazienza». Una campagna efficace nella sua semplicità e certamente coraggiosa che ha fatto guadagnare a KFC popolarità. A tal punto da spopolare sui social riconquistando la fiducia della clientela più affezionata e attirando l’interesse di una nuova clientela.
“L’onestà è il modo più veloce per impedire che un errore si trasformi in un fallimento”. J. Altucher
La campagna sortisce gli effetti sperati. Il gradimento dei consumatori sale di 11 punti. E se all’inizio della crisi, il 7% di persone era attratto dal fast-food, dopo il lancio della campagna la percentuale arrivò al 29%. «Penso che abbiano svolto un lavoro fantastico», ha affermato l’esperto di pubbliche relazioni Rupert Younger, direttore dell’Oxford University Center for Corporate Reputation. La campagna era infatti improntata alle tre H: humility, humour e honesty. «Sono stati aperti, trasparenti e incredibilmente autentici», continua Younger. L’ ammissione degli errori e l’autoironia sono un mix vincente per uno storytelling autentico in situazioni di errori e incidenti di percorso. E poi KFC non ha mai citato DHL. Non ha mai attribuito pubblicamente al fornitore alcuna colpa sebbene fossero i principali responsabili della #ChickenCrisis. L’ economista comportamentale Dan Ariely ha dimostrato che i comportamenti ritenuti scorretti sono puniti dai consumatori. Se il reclamo è dovuto a un bug, a difetti del prodotto o ancora a un errore di progettazione, questi sono gli ingredienti di una buona comunicazione: ammissione dell’errore, spiegazione di cosa è andato storto, riconoscimento di responsabilità, dichiarazione di pentimento, offerta di riparazione e richiesta di perdono.
Le scuse soddisfano la necessità di rispetto, senso di responsabilità e di attenzione ai bisogni di clienti e a quello che è accaduto. Se le scuse sono sincere aumentano la reputazione aziendale. E se non avete una soluzione per rimediare all’errore, chiedete supporto alla vostra community. Se scusarsi è d’obbligo, farlo troppo spesso ha però effetti controproducenti. Fare errori non deve essere una prassi, ma soprattutto bisogna evitare di reiterare lo stesso errore. L’invito è di fare errori migliori.
Le 3 regole d’oro
La prima regola è fare promesse che siete sicuri di poter mantenere. Pianificate bene e pianificate anche il peggio. Il premortem di un progetto è un ottimo strumento. La seconda regola da non dimenticare è mostrare la vostra vulnerabilità perché è la chiave dello storytelling. I consumatori consumano non solo il prodotto, ma anche la sua storia di creazione e di fallimenti. Uno storytelling autentico e sincero che contiene sbagli e cantonate rafforza i successi della vostra storia. Infine mai dimenticare che l’onestà paga più della non onestà. Se non nel breve, certamente nel lungo periodo. E tu che lezione hai appreso? Se vuoi raccontarmi la tua storia, scrivimi qui: redazione -chiocciola – startupitalia.eu