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La ricerca clinica in Italia ha potenzialità inespresse. Occorre lavorare su alcuni punti per stare al passo con l’Europa. Aspirare a una più efficiente ricerca clinica significa innovare, sostenere e rigenerare la sanità del nostro Paese.
La ricerca clinica è una risorsa che, in primo luogo, ha la possibilità di offrire una speranza di poter beneficiare di trattamenti innovativi a chi è affetto da malattie finora incurabili. Ed è un bene per la società intera che può usufruire dei risultati positivi di questi studi. Non solo in termini di disponibilità di nuovi farmaci o nuova conoscenza clinica, ma anche in termini di miglioramento della qualità delle cure nei centri partecipanti alla ricerca. Vi sono quindi ricadute etiche e scientifiche anche indirette legate alle sperimentazioni cliniche.
La ricerca clinica in Italia è caratterizzata da alcuni aspetti che la rendono forte e solida e da altri elementi che costituiscono invece punti di debolezza.
Ripercorrendo tali fattori e caratteristiche proviamo a immaginare un futuro che sappia sfruttare appieno le opportunità legate ai finanziamenti del PNRR e sia in grado di proporre un’innovazione che investe tutta la Sanità.
La ricerca clinica è uno dei temi da affrontare perché è un valore legato alle sfide del futuro della salute. Per questo sarà al centro dell’incontro “La salute, oltre gli Slogan”, che si terrà a Roma il 29 novembre, un evento organizzato da Federchimica Assobiotec all’interno del progetto “Biotech, il futuro migliore”.
Le luci della ricerca clinica in Italia
Quando parliamo di sperimentazioni cliniche, l’Italia è riconosciuta a livello internazionale come un’eccellenza scientifica. “I nostri ricercatori sono terzi per premi ERC (European Research Council) ottenuti, dopo Germania e Gran Bretagna. L’Italia si conferma primo Paese nel mondo per numero di citazioni e per produttività della ricerca scientifica in termini di pubblicazioni, soprattutto per le aree di oncologia, cardiologia ed endocrinologia”, conferma Barbara Capaccetti, Medical & Regulatory Director Italia di Takeda e coordinatrice del Gruppo di Lavoro su Ricerca e Sviluppo per Federchimica Assobiotec.
A ciò occorre aggiungere che l’Italia rappresenta un potenziale bacino di pazienti per diverse aree terapeutiche consentendo elevati tassi di arruolamento negli studi clinici anche internazionali con conseguente riduzione dei tempi di realizzazione degli studi. Tra le maggiori cause di perdita di anni di vita sana, nel nostro Paese secondo il rapporto I-COM 2022, si trovavano le neoplasie, le malattie cardiovascolari, i disturbi muscoloscheletrici e i disturbi neurologici e mentali. Intanto, si diffondono le patologie croniche, la popolazione progressivamente invecchia, mentre la presenza simultanea di più patologie riguarda il 13% della popolazione over 75.
Inoltre, un altro aspetto positivo nel nostro Paese è la presenza dell’industria. Secondo i dati AIFA, infatti, il 77% delle ricerche condotte in Italia nel 2019 sono di natura profit: l’investimento annuale da parte delle sole aziende del settore è stimato pari a 700 milioni di euro. Per le aziende è un meccanismo virtuoso che genera un controvalore di 2,5 € per ogni euro investito, un valore che dovrebbe essere colto anche nel settore pubblico. “La ricerca rappresenta, dunque, un investimento più che un costo per il nostro Paese. Rappresenta un valore”, ha sottolineato Annalisa Iezzi, coordinatrice del Gruppo di Lavoro su Ricerca e Sviluppo per Federchimica Assobiotec, durante l’incontro “Clinical trial: roadblocks e proposte per una ricerca clinica nazionale di successo”, organizzato da Federchimica Assobiotec.
Le ombre della ricerca clinica in Italia
L’altra faccia della medaglia è rappresentata da una sempre più sottile quota di finanziamenti pubblici per la ricerca scientifica. I-COM 2022 riporta che la quota italiana di spesa per ricerca e sviluppo rispetto al PIL è dell’1,86%. È un valore decisamente inferiore rispetto al Belgio (3,68%), alla Germania (3,64%), alla Francia (2,59%) e ai Paesi Bassi (2,46%). Queste criticità si riflettono sul numero di sperimentazioni cliniche condotte sul territorio nazionale. Secondo i dati OMS, l’Italia è tra gli ultimi paesi in Europa con 3,14 trial clinici avviati per 100.000 abitanti nel 2021, nettamente al di sotto della media EU27 (5,43).
Ma la scarsa capacità di attrarre studi clinici nel nostro Paese ha anche altre radici che vanno oltre gli aspetti economici.
“L’Italia, talvolta, non ha potuto partecipare a sperimentazioni internazionali, perché in genere si basano su arruolamenti competitivi”, spiega Stefano Vella, Docente di Salute Globale presso l’Università Cattolica di Roma, di Metodologia della Ricerca Clinica, presso l’Università di Tor Vergata e Docente di Health Policies in Europe, presso l’Università LUISS di Roma. “Purtroppo, le esclusioni si sono verificate soprattutto a causa dei tempi troppo lunghi per l’approvazione dei contratti tra sponsor, sia privati che pubblici, con le strutture cliniche. Inoltre, ci sono stati ritardi anche a causa della lentezza nella valutazione degli aspetti etici”.
La stesura dei contratti tra centri di ricerca e partner pubblici e privati avviene tramite un format nazionale, un sistema adottato a livello europeo. Sebbene l’introduzione di tale format sembrasse la soluzione di tutti i problemi legati alla contrattualistica, a due anni dall’introduzione del modulo esistono ancora modelli troppo variabili. “È importante sottolineare che il modello pubblicato dal Centro di Coordinamento dell’AIFA è un contenuto minimo della contrattualistica che è possibile integrare ma non cambiare”, ha sottolineato Agostino Migone De Amicis, Avvocato e Componente di Coordinamento Nazionale dei Comitati Etici Territoriali durante l’incontro “Clinical trial: roadblocks e proposte per una ricerca clinica nazionale di successo”.
Solo se l’Italia si focalizzerà sull’accelerazione della ricerca clinica le sarà possibile partecipare in modo competitivo agli arruolamenti che coinvolgono tutta l’Europa.
Una competitività che riguarda anche la capacità di attuare un efficiente sistema di trasferimento tecnologico. “In Italia la capacità di trasformare la scienza in impresa, infrastrutture e in prodotto rappresenta ancora un limite enorme. Riuscire a unire la componente scientifica con quella imprenditoriale è un fattore chiave”, ha commentato Capaccetti.
La rincorsa dell’Europa
“Un grande freno allo sviluppo della ricerca clinica nazionale è certamente rappresentato dai ritardi nell’implementazione del Regolamento Europeo sui Clinical Trial”, aggiunge Capaccetti. “Il Regolamento è stato sviluppato con l’obiettivo di creare un ambiente favorevole alla conduzione delle sperimentazioni cliniche. Tale obiettivo verrà raggiunto attraverso l’armonizzazione di regole e processi di valutazione e la supervisione delle stesse con l’introduzione di un portale unico per le sperimentazioni di nuovi farmaci nella UE”.
Il Regolamento Europeo 536/2014 è operativo per tutti gli Stati Membri dell’UE dal 31 gennaio 2022, anche se è previsto un periodo di transizione al 31 gennaio 2023.
“Il Regolamento nasce per favorire la circolazione della conoscenza. Introduce un promotore unico a livello europeo, una valutazione unica degli aspetti scientifici dei protocolli, un database unico europeo e l’obbligo di trasparenza e di rendere noti gli esiti di ogni sperimentazione”, sottolinea Vella.
L’introduzione di un regolamento unico è un sistema di garanzia per i pazienti e un mezzo di confronto tra i ricercatori per accelerare i risultati della ricerca, in un campo che molto spesso si deve affidare alla disponibilità di pochi pazienti. Se l’Italia non si allineerà a tale sistema in tempo sarà esclusa dal sistema di sperimentazione europea. “A partire dal 2023 tutte le sperimentazioni in corso saranno convertite automaticamente al nuovo sistema e, a partire dal 2025, le sperimentazioni potranno essere presentate solo sul portale unico”, spiega Capaccetti.
Per partecipare alle sperimentazioni internazionali sarà fondamentale accorciare i tempi di approvazione nazionale. E ciò si traduce in un grande lavoro per i Comitati Etici che sono responsabili delle approvazioni degli studi clinici. “Il Comitato Etico del Centro “principale” avrà solo 45 giorni per l’approvazione di nuove sperimentazioni. Entro tale tempo, si dovrà coordinare con gli altri Comitati Etici dei centri satelliti, che verranno ridotti a 40 nel nostro Paese”, sottolinea Vella.
La riduzione dei Comitati Etici in Italia è un punto su cui si sono battute anche le Associazioni industriali. “La riduzione del numero dei Comitati Etici, che oggi ammontano a 90, e lo snellimento della burocrazia sono fondamentali per eliminare i roadblock che oggi impediscono alla ricerca clinica di procedere spedita”, aggiunge Capaccetti.
Infine, l’ultimo elemento da considerare per poter stare al passo con l’Europa è il digital gap, cioè la nostra arretratezza nell’applicazione delle tecnologie digitali a supporto dell’innovazione del sistema sanitario.
Le tecnologie ci servono per partecipare alla ricerca europea nell’ottica della condivisione dei dati e della valutazione di protocolli, implementazioni e esiti degli studi. La Strategia europea per i dati, lanciata nel febbraio 2020, ha espresso la volontà di creare uno spazio unico europeo dove i dati personali e non personali, compresi i dati aziendali sensibili, siano sicuri e le imprese possano avere un facile accesso a una quantità quasi infinita di dati industriali di alta qualità. All’istituzione delle infrastrutture atte a gestire questa mole di dati fa seguito la necessità di assicurare privacy e sicurezza. Mentre in Europa prende forma il regolamento del Data Governance Act in Italia si cerca di tenere il passo, cercando di armonizzare il diritto alla ricerca, con il diritto alla salute e con il diritto alla privacy.
Le terapie avanzate
L’introduzione delle terapie avanzate o ATMP (Advanced Therapy Medicinal Products) è la punta di diamante della ricerca clinica. Si tratta di terapie personalizzate, spesso risolutive perché somministrate in un unico trattamento. L’innovazione terapeutica serve a rispondere a bisogni terapeutici insoddisfatti per malattie ad oggi incurabili. Inoltre, è utile a introdurre nel sistema di cura farmaci inediti per meccanismo di azione e formulazione.
“I costi di investimento sono elevati, ma anche notevoli benefici in termini clinici, terapeutici, sociali ed economici per i sistemi sanitari e la salute dei pazienti. Pensiamo al recupero della produttività sul lavoro, per lunghi periodi della vita, che risulta migliorata nei suoi aspetti psicologici, relazionali e sociali. È un recupero di redditività e sono evidenti i risparmi diretti e indiretti per il sistema sanitario.”, ha commentato Vella.
“Richiedono un lungo processo di preparazione, rispetto ai farmaci tradizionali e possono essere somministrate solo in centri qualificati e specializzati, su piattaforme estremamente complesse, che devono essere aggiornate”.
Le terapie avanzate richiedono capacità di seguire il paziente, di trattare e conservare il materiale di partenza della terapia che spesso è rappresentato dalle cellule stesse del paziente e da competenze specifiche.
Secondo Capaccetti, perché le terapie avanzate possano davvero radicarsi nel nostro Paese occorre pensare a livello di ecosistema, perché ricerca, produzione e accesso all’innovazione sono tasselli imprescindibili e direttamente interconnessi. “Per scoprire, sviluppare, produrre e rendere disponibili queste nuove soluzioni è necessario elevare le competenze, soprattutto nei giovani e nelle materie STEM; incentivare e finanziare la creazione e lo sviluppo di start-up innovative; rendere semplice ed efficace la collaborazione tra pubblico e privato; rendere disponibili le nuove terapie in modo rapido ed ampio; garantire regole certe e stabili nel tempo; avere sempre come obiettivo finale il paziente e comprenderne tutte le esigenze”.
Occorre una sintesi di interessi e prospettive diverse nell’interesse del Paese. “L’idea di una cabina di regia sulle biotecnologie, coordinata dalla Presidenza del Consiglio, potrebbe essere un primo passo nella giusta direzione”, conclude Capaccetti.
I temi della ricerca clinica e dell’accesso alle cure saranno anche al centro del convegno “La salute, oltre gli slogan”, organizzato da Federchimica Assobiotec, con il supporto di StartupItalia, il 29 novembre a Roma, nell’ambito della terza edizione del progetto “Biotech, il futuro migliore”.
La nuova edizione è promossa da AbbVie, AGC Biologics, Alexion, Biosphere, Chiesi, DiaSorin, Evotec, Genenta Science, Genextra, Gilead, IRBM, Miltenyi, Novartis, Rottapharm Biotech, Sanofi, Takeda, UCB, Zcube.