Il CFO di Riso Gallo International: «Le imprese dovrebbero avvalersi di un mentor o una persona di fiducia che le guidi verso l’innovazione. Si dovrebbe anche agevolare a livello fiscale l’inserimento di queste figure in azienda»
CFO e board member di Riso Gallo International, Emanuele Preve dirige le finanze di un’azienda che ha saputo innovare passando attraverso ben 6 generazioni. Un esempio di crescita, perseveranza e lungimiranza che hanno fatto di una tra le più antiche industrie risiere italiane una storia imprenditoriale internazionale. Nata a Genova nel lontano 1856, Riso Gallo ha iniziato l’ascesa sul mercato con un primo stabilimento di produzione che lavorava risone importato. Contemporaneamente, per far fronte alle necessità del mercato sudamericano, aprì un altro stabilimento in Argentina. Ma il successo ottenuto e la crescente esperienza nel settore indussero l’azienda a concentrare l’attenzione sulle coltivazioni italiane e fu così che lo stabilimento genovese si trasferì nel 1926 a Robbio Lomellina, nel cuore del Pavese, una tra le più rinomate zone risicole. Da allora, di strada Riso Gallo ne ha fatta davvero tanta.
Negli anni ’40, un’intuizione segna la svolta nella storia dell’azienda. Nasce il marchio del gallo, che rappresenta la migliore qualità di riso. I primi fornitori di riso in Italia, le campagne televisive su Carosello, il successo internazionale segnano la storia di una delle più antiche imprese d’Italia. Emanuele Preve, attuale CFO e board member di Riso Gallo International, sarà ospite al nostro SIOS23 Summer #INSIEME, in main partnership con SACE, il 27 giugno all’Università Luiss di Roma. Preve sarà anche l’inspirational speaker di EdenredLAB, la call aperta a startup, freelance e liberi professionisti per l’e-commerce e le gift card del futuro. Abbiamo colto l’occasione per fare un’analisi del panorama delle PMI italiane e scoprire come poterle rendere ancora più innovative.
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Emanuele, tu sei anche business angel, hai investito in oltre 15 startup e sei mentor di diverse startup del programma di accelerazione Plug&Play. Come analizzi il panorama delle PMI italiane oggi?
Credo che in Italia non siamo messi così male, le startup e le PMI sono molto evolute e l’innovazione, almeno per quelle più recenti, è insita nel loro stesso DNA. Allo stesso tempo, però, credo che abbiano ancora tanta strada da fare tanto nel campo dell’innovazione. Si tratta di un comparto che non è per niente marginale ma per cui si richiedono tempo e risorse: due elementi che, a mio avviso, spesso mancano alle aziende italiane. Credo anche che sia troppo scarso il tempo in cui pensano alla corporate venture; altro elemento, invece, centrale.
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Come si potrebbero colmare queste lacune?
Sicuramente avvalendosi di un mentor o di una persona di fiducia che riesca a seguirle, a capire come integrare i progetti, ad accettare anche una nuova struttura. Ci vuole tempo per fare questo lavoro, richiede una fase di conoscenza, di confronto, di ideazione, di brainstorming a cui non ci si può sottrarre.
Quanto è importante il rapporto con le startup?
Molto. Anzi, si dovrebbe agevolare da un punto di vista fiscale l’introduzione di figure che facilitino in azienda il dialogo e i rapporti con le startup, permettendo di far cadere una barriera che, inspiegabilmente, spesso si erge. La mia stessa azienda, per la messa a punto di nuovi prodotti innovativi, possibili acquisizioni e aumento del range dei prodotti da vendere, collabora con varie startup per avere sempre un punto di vista quanto più innovativo possibile.
Il networking è, quindi, fondamentale?
Senza dubbio. Eventi come SIOS, momenti di confronto, workshop e lavoro in team building sono un patrimonio da preservare e una vera ricchezza per startup e PMI che guardano non solo al presente ma anche al futuro. L’innovazione la si fa quotidianamente, con un impegno costante, giorno dopo giorno, passo dopo passo.