Ogni anno, le famiglie italiane gettano nella spazzatura 1.000 euro di cibo. Strategie, piattaforme e possibili soluzioni: ecco cosa ci dicono gli studi e gli esperti
Lo spreco alimentare inquina. Fa male al pianeta. Fa male a noi. Se durante la pandemia abbiamo acquisito maggiore consapevolezza del fenomeno, con il passaggio al Next Normal e la ripresa della vita sociale, siamo tornati a disperdere beni alimentari, danneggiando ambiente e portafogli. Grazie alle piattaforme anti-spreco qualcosa sta cambiando, ma la strada è ancora lunga e passa per un fattore chiave: l’educazione dei consumatori.
Spreco alimentare nel mondo: i dati
Secondo i dati della Fao, nel mondo circa un terzo del cibo prodotto per il consumo umano viene disperso. Bisogna però fare una distinzione preliminare. Lo spreco alimentare si compone di due momenti. Il primo è definito perdite alimentari. Sono legate al campo, al post raccolta e alla trasformazione. Il secondo è lo spreco vero e proprio, quello che avviene nelle fasi finali della filiera, cioè distribuzione e consumo, sia domestico sia Ho.Re.Ca.. Le perdite alimentari pesano per il 14% sul dato globale, mentre lo spreco di cibo equivale al 17% delle dispersioni. Quest’ultimo dato si può scomporre con un 2% legato alla vendita al dettaglio, il 5% legato alla ristorazione e l’11% al consumo alimentare domestico.
«Il problema è ancora qui, tra le mura delle nostre case – spiega Ludovica Principato, ricercatrice in gestione sostenibile d’impresa a Roma Tre – causato da comportamenti e abitudini errate». Si calcola che nel mondo si gettano via 74 kg di cibo pro capite, più del peso medio di una persona adulta. «La perdita è su più fronti: economico, ambientale e sociale, un colpo per l’intera etica alimentare». Andando a calcolare il valore di questo spreco, ogni anno il mondo sperpera 2,6 trillioni di dollari, generando emissioni di CO2 che piazzano il fenomeno al terzo posto tra i più grandi emettitori, cioè Cina e Stati Uniti.
I dati italiani
Guardando all’Italia, i dati sono allineati a quelli mondiali. Lo spreco alimentare è generato per il 70% dal consumo domestico e da quello fuori casa, il 20% dalla distribuzione e vendita al dettaglio, il 10% dal comparto agricolo tra post raccolta e trasformazione (dati Crea, 2020). Per il nostro Paese equivale a 3 miliardi euro a livello di perdite, mentre 6,5 miliardi di euro sono legati agli sprechi lato consumer. Totale: circa 10 miliardi. In più, ogni famiglia butta letteralmente nella spazzatura 1.000 euro di cibo all’anno.
Cosa succede al pianeta
Gli effetti dello spreco alimentare sul pianeta sono numerosi e rischiosi. La sola coltivazione e allevamento di cibo e animali producono emissioni di gas serra e utilizzo di acqua e suolo. Ciò alimenta i cambiamenti climatici, danneggia la biodiversità e comporta conseguenze per la salute umana. «Possiamo dire che, a conti fatti, lo spreco alimentare ci fa male. Ridurlo è un win-win per tutti. Ci guadagnano gli agricoltori che possono essere pagati il giusto prezzo, le imprese e noi stessi».
Ecco perché sprechiamo a casa
Quanto spreca la ristorazione
Gli spechi prodotti dalla ristorazione pesano ancora molto sul bilancio mondiale. Con le riaperture, il loro contributo è diventato sempre più grande. Il cibo va perduto nelle tre fasi principali. Approvvigionamento e stoccaggio del cibo, spesso errati perché non tarati sula domanda. Preparazione degli alimenti, perché si cucina ancora più del necessario. E poi ci sono gli avanzi lasciati dai clienti.
«Proporre la doggy bag non deve più essere un’opzione. In più, il ristorante può mettere in carta le mezze porzioni e addestrare il personale di sala a suggerire una sequenza di piatti che non rischi di sovraccaricare il tavolo di avanzi.
Gli effetti positivi del Covid-19
Ma qualcosa è cambiato. Costringendo l’umanità in casa, il Covid ha insegnato a sprecare meno, a pianificare meglio la spesa e i pasti. Secondo lo studio Caring more about food: The unexpected positive effect of the Covid-19 lockdown on household food management and waste, condotto da Principato e pubblicato su Elsevier, abbiamo mangiato di più, ma abbiamo sprecato di meno. «Abbiamo fatto più attenzione, siamo stati più consapevoli e abbiamo dedicato maggior tempo alla cucina».
I più attenti? I giovani tra i 25 e i 34 anni, più attenti al fattore ambientale. I senior, ovvero le persone sopra i 75 anni, continuano a sprecare poco, grazie alla loro esperienza storica, legata ai conflitti mondiali. Utilizzano skill sensoriali, assaggiando e odorando il cibo prima di gettarlo via, anche se è scaduto. I boomer invece appaiono ancora poco attrezzati sul fronte anti-spreco.
Spreco alimentare: qualche previsione
Ma, come spesso accade, queste buone pratiche sono finite nel dimenticatoio non appena abbiamo riconquistato un po’ di libertà. «Il Covid e la guerra in Ucraina hanno messo in evidenza un fatto importante: i nostri sistemai alimentari non sono pronti a resistere agli shock. Interruzione degli approvvigionamenti, blocco ai trasporti, guerra portano a cibi prodotti e lasciati in campo. Bisogna imparare a prevedere gli shock».
Secondo alcuni dati italiani rilevati nel 2022, lo spreco alimentare è tornato a crescere del 15%. «La socialità e la voglia di uscire sono aumentate, c’è la propensione a provare cibi nuovi, che spesso non piacciono e vengono lasciati nei piatti».
Le soluzioni da mettere in campo
Contro lo spreco alimentare c’è molto lavoro da fare. Sul fronte perdite legate a campi agricoli, raccolta e trasformazione, occorre migliorare le infrastrutture dei Paesi in via di sviluppo, in modo da non disperdere alimenti nei trasporti. Inoltre, bisogna migliorare le storage facilities, implementando catena del freddo e stoccaggio.
Occorre ragionare sul food recovery hierarchy, che inizia dalla prevenzione dello spreco, passa per la ridistribuzione del consumo umano quando ci sono gli avanzi, e arriva alla redistribuzione per uso animale, realizzando un vero schema circolare. Ne è un esempio l’azienda Orange fiber, che utilizza scarti di sottoprodotti agrumicoli per fare tessuti pregiati.
Un altro elemento chiave nella lotta allo spreco alimentare è la regolamentazione. Il decisore pubblico italiano è attento al fenomeno. La Legge Gadda del 2016 è stata una delle prime leggi sul tema nel mondo. «Ma se il legislatore ha fatto attenzione al problema della redistribuzione, prevedendo incentivi fiscali per chi ricolloca e dona cibo, non ha preso in considerazione la prevenzione».
Infine, c’è il consumatore. Lo studio The household wasteful behaviour framework: A systematic review of consumer food waste, condotto da Principato e pubblicato su Elsevier, sostiene che il consumatore deve modificare la dimensione dei piatti nel food service. In questo modo si può arrivare a ridurre lo spreco fino al 57%. Le campagne informative producono un calo delle dispersioni fino al 28%.
Inoltre, un cambiamento delle linee guida alimentari nelle mense scolastiche avrebbe effetti enormi sull’intero fenomeno. La scarsa qualità del cibo, la poca educazione alimentare e il mal servizio, producono un enorme spreco di cibo, che non può essere distribuito. «La Food Policy di Milano elaborata in questo ambito deve diventare un esempio. Grazie agli hub di quartiere è oggi possibile redistribuire questo cibo ai più bisognosi».
Tutte le app contro lo spreco alimentare
Dove non arrivano le nostre buone abitudini, arriva la tecnologia. Negli ultimi anni le piattaforme e le app contro lo spreco alimentare si sono moltiplicate. Si dividono in due grandi categorie: quelle utili a creare una relazione tra il cliente e il commerciante, e quelle che mettono in rete produttori, distributori ed enti caritatevoli. In entrambi i casi si salva cibo dalla pattumiera.
Too Good To Go è la più diffusa al mondo. Oggi la piattaforma arriva a toccare 15 Paesi europei, Stati Uniti e Canada, coinvolgendo 56 milioni di utenti e più di 114 mila negozi aderenti. Dal 2015, anno di nascita, sono state vendute 130 milioni di Magic Box, che hanno permesso di evitare l’emissione di oltre 325 milioni di chili di CO2e. In Italia è presente in 600 comuni con 22 mila negozi aderente e 5,5 milioni di utenti registrati. Oltre ad incentivare un consumo consapevole, Too Good To Go ha l’obiettivo di riavvicinare le persone agli esercizi commerciali di prossimità.
Bringthefood è una web app utilizzata da diversi enti e reti di raccolta per gestire le eccedenze dalla ristorazione, quelle degli esercizi commerciali (piccola e grande distribuzione) e delle organizzazioni dei produttori. Il vantaggio garantito dall’app è legato alla scalabilità delle operazioni (comprese quelle legate allo scarico dell’Iva per i prodotti donati e all’accesso alla scontistica Tari), l’aumento delle capacità di recupero e la semplificazione dei contatti con i volontari e la gestione dei dati. Tutte le donazioni transitano su reti private e sono visibili esclusivamente ai diretti interessati e, cioè, agli enti e ai volontari collegati ad ogni specifico donatore.
MyFoody è una app che permette di trovare le offerte dei supermercati più vicini, producendo un risparmio che può arrivare fino al 50% sulla spesa e riducendo lo spreco alimentare. La piattaforma agisce, proponendo i prodotti prossimi alla scadenza, ma ancora perfettamente commestibili, beni con difetti di confezionamento e alimenti stagionali che rischiano di finire nella spazzatura.
Svuotafrigo è l’app disponibile per iOS e Android che agisce a valle della catena, cioè in casa. Suggerisce oltre 25mila ricette per cucinare con quel che c’è nel frigo, anche se poco, evitando sprechi. Si può scegliere tra primi, secondi, dolci e, inserendo il nome dell’ingrediente che vogliamo utilizzare o di una ricetta che abbiamo in mente, si avranno in pochi secondi le istruzioni per salvare il cibo in frigo.
SpesaSospesa è una piattaforma che utilizza la blockchain, fornendo ad organizzazioni benefiche beni di prima necessità in eccesso o in scadenza a prezzi molto bassi. Il sistema monitora la consegna dei pasti generati. Si calcola che dopo il 2020, sono stati distribuiti 1,3 milioni di pasti distribuiti, producendo un risparmio di 370 tonnellate di CO2.