Nessuno si aspettava che il nuovo amministratore delegato di Starbucks, Brian Niccol, chiamato in fretta e furia ai vertici per far uscire il Gruppo dalla crisi (e subito finito bersaglio delle polemiche degli ambientalisti) facesse il miracolo in così poco tempo. Ma è chiaro che l’ultima trimestrale certifica le difficoltà in cui versa l’azienda.
Starbucks in numeri
Starbucks ha avuto un calo delle vendite in negozio del 7 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente e contestualmente i ricavi netti hanno perso il 3 per cento assestandosi attorno i 9,1 miliardi di dollari. Il fatturato per l’anno fiscale appena concluso è stato di 36,2 miliardi di dollari: l’1 per cento in più dell’anno precedente ma assai meno rispetto a quanto l’azienda avesse previsto.
Il crollo cinese
E se negli USA, principale mercato della catena, il calo delle vendite si assesta attorno al 6 per cento, è in Cina che si consuma il dramma dato che nel Paese su cui Starbucks puntava moltissimo nell’ultimo trimestre si è verificato un crollo del 14 per cento.
Colpa, dicono dall’America, delle tante catene simil – Starbucks nate sulla scia dell’entusiasmo cinese per questo brand tutto statunitense. In molti casi si affidano ai medesimi loghi e colori distintivi. Ma è difficile trovare giudici locali che diano ragione agli americani.
Per Niccol insomma «è chiaro che occorre cambiare radicalmente la nostra strategia». Ma non ha detto su quali leve intende fare affidamento. Per il momento, per via della situazione di crisi, sospenderà le previsioni finanziarie dell’azienda per il prossimo anno.