Intervista a Michele Grazioli, fondatore e presidente di Vedrai, che ha appena raccolto oltre 40 milioni di euro. «Dobbiamo aggregare diverse realtà italiane ed europee e metterci insieme». È la prova che sta emergendo una nuova generazione di imprenditori che escono dal proprio perimetro per confrontarsi col mondo intero
C’è un giovane diventato imprenditore sin dai banchi di scuola. Un talento ancorato ai fatti, al metodo, all’analisi, ma con lo sguardo in grado di andare oltre, fiutando quei segnali deboli di un mercato fragile e volatile. Lui è Michele Grazioli ed è il fondatore e presidente di Vedrai, startup protagonista negli ultimi giorni di un importante aumento di capitale da 40 milioni di euro. A guidare l’operazione è stata Azimut e il nuovo aumento si aggiunge al Club Deal di luglio 2021, con cui Vedrai aveva già raccolto 5 milioni di euro da trentadue investitori d’eccezione. Dietro a questo ennesimo traguardo, che per Michele è un punto di partenza e va declinato necessariamente al plurale, c’è la storia di un ragazzo di ventisei anni – anzi, 26 anni e mezzo, come sottolinea nell’intervista lui stesso – imprenditore e globetrotter nato nella frazione di Gallignano, meno di mille anime nel comune di Soncino, nell’estesa provincia di Cremona. Michele si definisce autodidatta. In tasca ha un diploma conseguito al liceo scientifico e una laurea presa all’Università Bocconi. E ha iniziato prestissimo, bruciando le tappe. «Ho fatto l’imprenditore sin da quando andavo al liceo e quando ho cominciato l’università avevo già aperto alcune aziende. Sin dall’inizio ho capito che per fare l’imprenditore non devi essere necessariamente specialistico, ma devi saper parlare tanti linguaggi diversi», racconta Grazioli.
L’intuizione con la pandemia
La sua creatura, nella quale ha messo tutto se stesso, è Vedrai, realtà italiana specializzata in Intelligenza Artificiale con un focus particolare su soluzioni a supporto del processo decisionale delle piccole e medie imprese. Questa SpA, che in due anni ha scalato interesse e fatturato, sviluppa e commercializza tecnologie che permettono alle organizzazioni di simulare l’impatto delle decisioni sui risultati aziendali, tenendo in considerazione anche milioni di variabili di mercato. Tutto nasce nel 2020 in piena pandemia, tra lockdown e restrizioni. Oggi Vedrai conta nella squadra oltre 80 persone. «Il nostro piano – testimoniato dalla raccolta importante – è crescere velocemente per linee esterne. Non possiamo fare tutto all’interno e dobbiamo riuscire ad aggregare diverse realtà italiane ed europee che fanno diversi prodotti complementari e mettersi insieme, per esempio su sviluppo dati e rete commerciale», precisa Grazioli. In fondo è la prova che sta emergendo una nuova generazione di nuovi imprenditori che sanno uscire dal proprio perimetro per confrontarsi con un ecosistema grande quanto il mondo intero. Un gioco di squadra tra squadre diverse, potremmo dire. «Quando si sostiene che il piccolo è bello è una bufala colossale e non funziona. Certo, puoi lavorare su una nicchia, ma quando devi innovare per forza devi osare e devi crescere. D’altronde quando sei piccolo uno sbaglio rischia di essere insostenibile. Invece condividere gli errori ti dà forza», dice Grazioli. D’altronde “nessuno si salva da solo”, come ha messo nero su bianco il World Economic Forum in quell’edizione di Davos 2021 segnata da una pandemia che ancora oggi fatica ad allontanarsi. Così da soli si va più veloci, ma insieme si va più lontano.
La forza del gioco di squadra
Oggi Vedrai conta più di 80 persone, con una prevalenza di under 30. Il capitale raccolto servirà per incrementare la crescita in termini di organico, guardando anche oltre l’Italia. «C’è ancora tanta strada da fare, ma due fattori hanno aiutato in particolar modo e sono risultati vincenti. Il primo è il timing: abbiamo avuto la fortuna di aver visto crescere esponenzialmente l’ecosistema italiano delle startup negli ultimi due anni. Se si arriva a queste cifre è anche grazie a chi ha aperto la strada prima di noi. Penso a Casavo, Scalapay, Planet farm. L’altro è legato all’impatto dell’AI: abbiamo un’applicazione pratica portata avanti grazie ad investitori italiani che hanno creduto in noi sin nel primo. D’altronde il prodotto è spiegabile in modo concreto, in qualche modo consente di toccare con mano l’intelligenza artificiale», puntualizza Grazioli. L’obiettivo è sfidante: democratizzare l’AI e renderla facilmente adattabile e accessibile alle piccole e medie imprese. Un AI su misura, quasi personalizzata.
L’intervista al founder di Vedrai: AI per comprendere il mercato
Michele, proponete di simulare l’impatto delle decisioni sui risultati: in questo tempo imprevedibile in che modo l’approccio predittivo permette di vincere le sfide del mercato?
Diciamo subito che questa startup la stavo immaginando da tempo. Nel 2020 ci siamo trovati a dover approvare i bilanci di società paradossali per via dell’emergenza e vedevamo aziende che non esistevano più nel mondo reale. Da lì ho capito che gestire un’azienda guardando solo indietro non era corretto. Analizzando i dati bisogna puntare su una visione programmatica
Restiamo sul prodotto. Come lo definisci?
La nostra AI è performante, immediata, usabile. È un servizio pronto all’uso. Si tratta di un prodotto predittivo con poche configurazioni e con prezzi accessibili. Così l’AI entra nell’azienda per comprendere meglio cosa potrebbe succedere e quindi valuta potenziali scenari. Offre scenari per orientarsi in un mondo difficile.
Mi ha colpito un’affermazione che hai fatto: “vogliamo ridare il tempo a chi deve prendere le decisioni”. D’altronde aziende e professionisti vivono nella dittatura del fattore tempo, con una spada di Damocle sulla testa. Come uscire da questo vincolo?
Le soluzioni create da Vedrai permettono di supportare gli imprenditori nel processo decisionale, reso difficile negli ultimi anni dal rapido cambiamento dei mercati. La dinamicità dei contesti macroeconomici ha reso necessario adattare le strategie rispetto ai cambiamenti esterni, rendendo indispensabile considerare anche le variabili di contesto per poter prendere decisioni efficaci.
Siete nati nel pieno dell’emergenza pandemica, con la fase discendente della prima ondata nel maggio 2020. Cosa ha rappresentato quel periodo sospeso ma per voi molto accelerato?
La pandemia ha tirato una riga tra un prima e dopo. Ha segnato la nostra crescita. Siamo usciti da quello che era un progetto e abbiamo fatto un primo club deal, raccogliendo 5 milioni di euro. È stato il miglior riconoscimento, arrivato peraltro da trentadue eccellenze italiane in diversi settori che hanno deciso di metterci i soldi e la faccia. Lo ricorderò per sempre.
Sul fronte AI contano di più il capitale umano o le tecnologie predittive?
Dietro i numeri ci sono le persone. Tra tecnologia e capitale umano non c’è partita. Conta enormemente quest’ultimo. D’altronde la tecnologia ha dei cicli così rapidi che per tre o cinque anni il prodotto si può vendere, ma il successo di un’azienda lo decreta la capacità di attrarre persone. Se riusciamo a coinvolgere in questo progetto i migliori talenti ce la faremo. Altrimenti faremo ottimi numeri, ma non riusciremo a stare al passo con l’innovazione. Peraltro da noi tutti sono azionisti. C’è un piano di incentivazione azionaria che vede in fondo l’azienda di tutti.
Come si diventa leader nell’AI anche in Europa?
Il nostro obiettivo è uscire già quest’anno in Spagna e poi in altri tre paesi europei entro la fine dell’anno. Ma siamo tutti interconnessi: ripeto, se non ci fossero state altre realtà antesignane noi non avremmo potuto affrontare certi numeri.