Classe ’87, Alessandro Crescenzio, psicologo, divulgatore e autore, conosciuto come @Psycool è tra gli esperti di benessere mentale più seguiti su Instagram. «Il mio approccio con i social è iniziato mentre stavo facendo il tirocinio per l’abilitazione psicologica – racconta a StartupItalia – Ho sempre creduto che sia un mezzo incredibile per arrivare al maggior numero di persone possibile». Nato ad Anzio, nel Lazio, è esperto di problematiche legate all’ambito relazionale, ansia, stress e depressione e compare spesso anche in diverse trasmissioni radio e televisive. «Sulle piattaforme, con un linguaggio semplice parlo di tematiche molto comuni in modo pratico, fornendo qualche consiglio per cercare di trovare soluzioni», spiega il dottore. Nella Giornata mondiale della salute mentale lo abbiamo incontrato per farci raccontare come è riuscito a conquistare i social e su quali temi oggi, da un punto di vista psicologico e relazionale, in Italia siamo ancora indietro.
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Dottor Crescenzio, come è stato il suo primo approccio al mondo social?
Ho iniziato a usare i social già da quando stavo facendo il tirocinio per conseguire l’abilitazione professionale. Mi sono impegnato per fa sì che proprio tramite le piattaforme potessi far conoscere i problemi legati a una serie di disturbi di cui mi occupo quotidianamente come l’ansia, lo stress, la depressione. Ci ho messo un po’ di tempo per capire come funzionasse questo mondo, e l’ho imparato seguendo soprattutto alcune pagine Instagram – come @notjustanalytics – che mi ha fornito una buona base di consigli pratici. Poi mi sono divertito un po’ a miscelare i messaggi che volevo far passare con le richieste che provenivano dagli utenti. Oggi utilizzo soprattutto le Stories e Direct per cercare di rispondere alle domande di tutti.
C’è stato un momento in cui ha avuto un “boom” sui social?
La pandemia è stato, sicuramente, un momento di crescita per le piattaforme. Ma oggi non cerco più la crescita, bensì l’engagement. Sono quasi 5 anni che esercito questa professione e per me non c’è mai stato un vero e proprio momento di “boom”, ma una crescita graduale. Mi sono reso conto che quando il pubblico è troppo ampio è difficile targetizzarlo, ma oggi mi rivolgo a nicchie specifiche con bisogni specifici.
I social la aiutano anche a trovare pazienti…
Si, è proprio così. Credo, anzi, che la maggior parte dei miei pazienti mi abbia conosciuto, prima di tutto, sui social, tramite la mia pagina Instagram, o su Google o come scrittore. Anche l’aspetto editoriale trascina molto, penso che circa il 30% delle persone che seguo venga da me perché ha letto almeno uno dei miei libri. E poi credo che la chiave del successo sia abbastanza semplice: se sei in grado di rispondere a determinate esigenze, allora arrivano anche le richieste.
Quali sono gli argomenti che tratta più spesso online?
Come accennato, parlo soprattutto di rapporti interpersonali, relazioni tossiche, stress, problemi legati all’ansia, depressione. Da diverso tempo noto una certa difficoltà nel riconoscere le proprie emozioni. Più nello specifico, l’emozione, che è un’attivazione psicofisica, dovrebbe avere un comportamento adattivo. Ma se, per esempio, reagisco alla rabbia con la tristezza, non sto rispondendo in maniera adattiva.
In che senso?
Quando siamo arrabbiati, a livello fisiologico, il corpo si disattiva, aumenta il battito cardiorespiratorio e ci sono una serie di sintomatologie che contraddistinguono quell’emozione. Se io non sono in grado di gestire quel conflitto, il corpo somatizza la sensazione e questo porta a una serie di problemi in ambito relazionale, sociale, affettivo.
Come si potrebbe cercare di ridurre quindi questi problemi?
Partendo dalla scuola, dove manca un’educazione emotiva. Al contrario di quanto si potrebbe pensare comunemente, più siamo piccoli e meglio gestiamo le emozioni. La morale viene acquisita col passare degli anni. Se il bambino si arrabbia, manifesta questa emozione e da un punto di equilibrio psico-fisico si sente meglio di un adulto che non la manifesta ma la somatizza. Quindi credo che si dovrebbe sensibilizzare di più su questo tema.
Ma c’è un’età in cui si potrebbe lavorare in modo più proficuo sulle emozioni?
Si, teniamo presente che fino a 25-26 anni il nostro livello sinaptico è molto più ampio, e l’apprendimento, che permette di creare sinapsi tra una zona e l’altra del cervello, è più veloce. Le emozioni fanno parte delle zone centrali del cervello ma comunicano con altre sfere. Intervenire, quindi, in questa età sarebbe importante per aiutare i ragazzi a costruire relazioni sane.
Quand’è, invece, che nascono relazioni non sane?
Ci possono essere tante variabili, ma una delle più comuni è quando si è convinti di aver trovato dei compromessi per stare bene con un’altra persona e poi ci si rende conto che non è così perchè più che di compromessi parliamo di rinunce. Per fare un esempio: se uno dei due ama il mare e l’altro la montagna e si decide di andare una volta al mare e una volta in montagna, questa situazione implica il fatto che uno dei due rinunci a qualcosa quella volta che non vede soddisfatti i propri piaceri. È, quindi, utile capire quanto ci si discosta troppo da quello che si vorrebbe davvero. Non è vero che gli opposti si attraggono.
Come capirlo prima che sia troppo tardi?
Spesso succede che, soprattutto all’inizio di una relazione, si idealizzi la persona ma c’è un indizio per capire se è questo il caso oppure no: in una relazione stabile, la persona risponde in modo prevedibile alle aspettative, in una disfunzionale accade il contrario. E poi sarebbe fondamentale non esitare a chiedere aiuto ai professionisti quando ci si sente nel limbo o quando certi segnali non sono del tutto chiari. Avere un parere di un professionista non può che essere utile, indipendentemente dalle decisioni che poi si prenderanno.