All’Istituto Galilei Costa di Lecce Daniele Manni insegna informatica. «Ma ci dedico il 30% del tempo». Nel restante aiuta gli studenti a lanciare startup. «La lezione frontale perde rispetto a tutti gli stimoli a cui i ragazzi sono esposti»
Nella settimana che segna il ritorno a scuola per milioni di studenti, su StartupItalia iniziamo un viaggio per raccontare i protagonisti: studenti, insegnanti, presidi, genitori. Ma lo facciamo – come è ormai nostro stile – raccontando storie visionarie e innovative. Storie coraggiose e plurali. Storie di quelle persone in grado di fare la differenza. Ecco tutti i protagonisti della nuova riapertura della scuola nella nostra programmazione speciale. Buona lettura e buon viaggio!
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Come a ogni ripartenza, questi sono i giorni dei buoni propositi, di nuove amicizie (alcune destinate a durare tutta la vita) e dell’impegno per migliorarsi e imparare. StartupItalia, che da sempre tiene un occhio attento su quel che accade nel mondo della scuola, ha per questo deciso di intervistare un docente, Daniele Manni, che insegna informatica e auto-imprenditorialità all’Istituto Galilei Costa di Lecce. Tra le novità più interessanti di quest’anno scolastico ricordiamo l’introduzione del docente tutor, figura di cui abbiamo avuto modo di parlare con Manni, che nel 2020 ha vinto il Global Teacher Award insieme ad altri docenti di tutto il mondo. «Noi adulti, noi docenti, dobbiamo credere nei giovani. Ma siamo ancora in pochi a dare loro carta bianca».
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Partiamo da lei, professore. Quando era ragazzo come trascorreva le vacanze estive?
Chi è della mia generazione spesso passava l’estate a lavorare. Andavamo dal maestro piastrellista, dal meccanico, dall’elettrauto. Mio padre faceva il falegname e infatti quello sono andato a fare. Devo dire che non mi è dispiaciuta come esperienza. La sostengo anzi. Ci permetteva di entrare in contatto con una persona adulta che non fosse un genitore. Non eravamo lì per farci coccolare, ma per imparare. Sono originario del Canada e quando ci sono tornato qualche anno ho notato che appena finita la scuola molti ragazzi andavano a lavorare. Mi hanno spiegato che lo Stato paga le assicurazioni per i giovani e in questo modo l’azienda li accoglie, li paga e li fa lavorare in sicurezza.
Che compiti per le vacanze ha dato ai suoi alunni?
La mia è una materia un po’ particolare. Sono insegnante di informatica, ma ci dedico il 30% del tempo. Nel restante insegno l’auto-imprenditorialità da oltre 20 anni. Il primo giorno di scuola mi prendo 15 minuti per presentarmi e poi dico ai ragazzi che dobbiamo inventarci qualcosa, una startup. È una micro idea imprenditoriale, che bisogna fare senza spendere partendo dal brainstorming. Uno degli ultimi progetti si chiama MaBasta (acronimo che sta per Movimento Anti Bullismo Animato Da Studenti Adolescenti, ndr).
Le rivolgiamo la stessa domanda che abbiamo fatto a Salvatore Giuliano, dirigente scolastico all’Istituto Majorana di Brindisi. Cosa non deve mancare nella cartella degli studenti?
Consigli da dare ai ragazzi? Mi verrebbe da dare piuttosto consigli ai docenti. Auguro ai ragazzi di trovare una scuola che sia sempre più studente-centrica, una scuola che sia attenta ai loro interessi, passioni, motivazioni, talenti. Oggi purtroppo la scuola non fa questo perché abbiamo scuole classe-centriche. Ogni docente, almeno questo è quel che vorrei, dovrebbe dare a ciascuno studente la possibilità di esprimersi al meglio. Poniamo il caso: un ragazzo non è bravo in informatica, ma anziché dargli banalmente due provo a capire le sue passioni. Se ama lo skateboard cerco di fargli fare un sito internet su quell’argomento.
Cosa pensa del fenomeno dei prof content creator?
Non riesco a dare un parere unico. Va visto caso per caso. Se chi lo fa riesce a trasmettere passione a chi lo segue, allora benissimo. Noi prof dobbiamo trovare nuovi modi per comunicare con i ragazzi perché se è vero che i contenuti della scuola italiana sono eccezionali, d’altra parte le modalità di trasmissione sono antiquate. La lezione frontale perde rispetto a tutti gli stimoli a cui i ragazzi sono esposti. Dovremmo fare uno sforzo ed entrare nei loro linguaggi. Poi, certo, se il prof content creator si fa influenzare troppo dai follower e comincia a dare al pubblico ciò che il pubblico vuole allora c’è un problema.
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La scuola deve preparare alla vita o al lavoro?
A entrambi, credo. Dobbiamo essere genitori, pediatri, psicologi, pedagogisti. Non solo insegnanti. Nelle nostre mani abbiamo le vite dei ragazzi. Dobbiamo farli crescere come persone. Fortunatamente qualcosa sta cambiando: mi riferisco ad esempio ai docenti tutor (la novità è stata istituzionalizzata in questo anno scolastico, ndr). Quest’estate abbiamo fatto un corso di formazione e mi è piaciuto. Sono docenti che aiuteranno i ragazzi a trovare la propria strada.
A Cortina d’Ampezzo un istituto ha fatto il primo collegio docenti in una baita ad alta quota. Nel mondo del lavoro si chiamerebbe smart working. La scuola evolverà in questo senso?
Sono a favore dei cambiamenti. Cambiare il luogo in cui si fanno le solite cose aiuta a farle cambiare. Lo approvo totalmente. Se facciamo da 20 anni un collegio docenti sempre nello stesso posto il rischio è che perda valore. Se diamo elementi nuovi permettiamo al docente di aver più attenzione e a di cogliere nuovi aspetti.
Un altro tema di cui si è parlato relativo alla scuola è l’intelligenza artificiale. Un docente deve temerla?
Serve la giusta misura. È da stupidi temerla, anche perché non possiamo frenarla. Dobbiamo usare la nostra intelligenza: parliamo di strumenti utili, in grado di farci raggiungere risultati.
In chiusura, perché in Italia quando si parla di giovani si scade spesso nei paternalismi?
È un atteggiamento che ha riguardato tutte le generazioni. Io ho cominciato a credere nei giovani e a dargli l’opportunità di sbagliare. Mi piacerebbe che noi adulti abbandonassimo questa sfera paternalista e cominciassimo a dare loro fiducia, non a parole. Crediamo nei giovani, lo diciamo tutti. Ma siamo ancora in pochi a dare loro carta bianca».