Tra le voci più originali e lucide della storiografia contemporanea, Daniel Immerwahr si distingue per la capacità di intrecciare analisi storica, riflessione politica e critica culturale. Professore di Studi umanistici alla Northwestern University e autore, tra i tanti, del saggio L’Impero nascosto: Breve storia dei Grandi Stati Uniti d’America (giunto in Italia con Einaudi), è noto per un approccio che decostruisce i miti nazionali e mette in luce le logiche imperiali celate dietro la narrazione ufficiale degli Stati Uniti.

Nel gennaio 2025, Immerwahr ha pubblicato su The New Yorker un articolo dedicato al bestseller The Siren’s Call dell’anchorman Chris Hayes, cogliendo l’occasione per una riflessione più ampia sullo stato dell’attenzione nella società contemporanea. In un’epoca segnata dalla pervasività digitale e dalla dispersione cognitiva, Immerwahr individua nella trasformazione del paesaggio mediatico e nella crisi della concentrazione alcuni dei tratti più significativi del nostro tempo. Il suo sguardo, al tempo stesso storico e critico, offre strumenti non convenzionali per interpretare il presente, sollevando interrogativi profondi sul futuro della democrazia. StartupItalia ha raggiunto Daniel Immerwahr per approfondire il tema della distrazione e contribuire a smontare alcuni dei luoghi comuni che circondano il dibattito sull’attenzione.

Intervista a Daniel Immerwahr
Nel suo articolo sul New Yorker, scrive che l’attenzione è diventata non solo una risorsa economica, ma anche politica. Quali sono le implicazioni più urgenti per l’educazione dei cittadini digitali? La distrazione serve interessi politici?
Non è una novità, ma sì: la distrazione è una forza politica potente. Le cose a cui prestiamo più facilmente attenzione raramente coincidono con quelle di cui dovremmo davvero preoccuparci. Per me, l’esempio più chiaro è il cambiamento climatico. Non riesco a pensare a qualcosa di più importante. Eppure, non è un tema che cattura facilmente l’attenzione delle persone, almeno non finché non si manifesta sotto forma di catastrofi, quando ormai è troppo tardi.
Quindi quanto è utile “l’alfabetizzazione dell’attenzione”, che insegni non solo a usare gli strumenti digitali, ma anche a distinguere ciò che nutre la mente da ciò che la cattura soltanto?
Penso che le persone siano abbastanza brave a cogliere questa differenza. Riusciamo a percepire, quasi subito, come un’attività o un contenuto ci fa sentire: curiosi? attivi? passivi? entusiasti? Ed è evidente che molti cercano di concentrarsi su ciò che li fa sentire realizzati. L’interesse crescente per attività come il birdwatching o i dischi in vinile sembra proprio rispondere a questo bisogno.
Nell’articolo lei cita due allarmisti d’eccezione, Socrate che era diffidente verso la scrittura (avrebbe peggiorato la memoria) e Jefferson diffidente verso i romanzi (avrebbero distolto l’attenzione dalle cose importanti). Siamo anche oggi troppo allarmisti?
Chi studia la storia dell’attenzione sa che le lamentele di oggi non sono nuove. Le stesse cose che oggi si dicono dei social media, in passato si dicevano dei romanzi, dei pianoforti, dei manifesti colorati. La domanda è se le sfide odierne siano fondamentalmente diverse. Un motivo per pensarlo è la capacità adattiva dei social media. TikTok si adatta al tuo comportamento per offrirti il contenuto perfetto per tenerti agganciato. Questo potrebbe renderli più pericolosi rispetto ai media del passato. Ma non ne sono sicuro. Nonostante si parli molto di attenzione “frammentata”, sembriamo ancora capaci di concentrarci su ciò che ci interessa.
«Non esistono solo i contenuti brevi, la società ci manda altri segnali»
Chris Hayes paragona la capacità di concentrarsi oggi a come fare meditazione in uno strip club. Il pensiero profondo è ancora essenziale oggi?
Il pensiero profondo è importante oggi quanto lo è sempre stato. La domanda è, stiamo peggiorando nel praticarlo? È vero che alcuni media, come TikTok, favoriscono contenuti brevi. Ma altri, come i podcast, vanno nella direzione opposta. Il podcaster più seguito negli Stati Uniti è Joe Rogan, le cui interviste, anche su temi molto di nicchia, durano regolarmente più di quattro ore. Le persone fanno binge-watching, guardando serie per ore, e questo ha portato a trame televisive più complesse. Anche gli audiolibri, spesso molto lunghi, sono popolari. Quindi ricordiamoci che TikTok è solo una parte del paesaggio mediale.
«Quando gli adulti dicono che i giovani “non prestano attenzione”, stanno solo dicendo che non prestano attenzione a noi»
Molti adulti accusano i giovani di essere “meno attenti”. Ma non si tratta forse di una forma diversa, più distribuita, di attenzione?
Non credo abbia senso dire che oggi siamo più o meno attenti rispetto al passato. È evidente che prestiamo attenzione, solo che forse non lo facciamo alle cose “giuste”. Quando qualcuno si distrae da un libro per guardare il telefono, sta comunque prestando attenzione al telefono.
Temo che spesso, quando gli adulti dicono che i giovani “non prestano attenzione”, stiano solo dicendo che non prestano attenzione a noi.

Lei stesso assegna meno lavoro ai suoi studenti rispetto a quanto ne riceveva lei. È un abbassamento degli standard o un adattamento necessario?
Ho frequentato la stessa università dei miei studenti. Eppure, assegno loro solo metà della lettura che veniva assegnata a me. Se provo ad assegnarne di più, si lamentano (il che va bene) e non la fanno (il che mi dispiace). Non so bene perché.
Che idea si è fatto?
Una teoria è che stiano perdendo la capacità di leggere. Forse è vero. Ma è anche vero che passano molto tempo a leggere sul telefono. Un’altra ipotesi è che siano semplicemente sovraccarichi, frequentano più corsi, partecipano a più attività, sentono di dover eccellere in tutti questi ambiti in cui io, alla loro età, non dovevo fare. I loro curriculum sono molto più ricchi del mio, quando avevo la loro età. Una terza teoria è che anche quando io ero studente, pochi facevano davvero tutte le letture assegnate.
Quindi sta dicendo che non è la concentrazione dei suoi studenti ad essere peggiorata?
Forse non è la lettura a essere peggiorata, ma la didattica a essere migliorata, assegnando oggi compiti più realistici. Non so quale teoria sia corretta. Ma proprio per questo non mi sento di concludere che gli studenti siano peggiorati nella lettura.
Eppure, stiamo assistendo a un aumento delle diagnosi di ADHD tra i bambini.
Si dice che la capacità di attenzione stia peggiorando. Ma non esiste una “capacità di attenzione” astratta e indipendente dal contesto, che si possa misurare nel tempo e tra individui. Non possiamo dire: “Anna ha una soglia d’attenzione di tre minuti, mentre Maria ha solo tre minuti di attenzione.” Questo rende difficile fare le valutazioni che alcuni vorrebbero, per dimostrare un presunto declino dell’attenzione.

Rimane il fatto che sussiste il problema
È vero, le diagnosi di ADHD sono in forte aumento. Ma è perché più persone hanno problemi funzionali relativi all’attenzione? O perché quei problemi ci sono sempre stati e ora li riconosciamo? O perché la diagnosi di ADHD è diventata una moda e stiamo esagerando? Probabilmente è una combinazione dei tre fattori.
Ho un’amica che ha scelto di crescere sua figlia senza internet, in montagna. Come si può resistere a un sistema di distrazione strutturale restando però dentro la società digitale?
Lo capisco. Per anni ho vissuto senza wi-fi in casa, a volte senza accesso a internet. Ho preso uno smartphone solo di recente. È allettante stare offline. Ma è difficile farlo restando cittadini pienamente attivi. Senza smartphone è difficile ordinare al ristorante, fare acquisti, dividere un conto. Senza controllare regolarmente la mail, è complicato mantenere certi lavori. Ci ho provato, e non è facile.
«Internet ci ha dato nuove distrazioni, è vero, ma ha eliminato anche molte di quelle vecchie»
Oggi chi comunica deve scegliere: adattarsi alla logica dell’algoritmo o rischiare l’irrilevanza. Se pubblico un contenuto di 5 minuti su TikTok invece che da 1 minuto, sto compiendo una micro-ribellione?
I creatori di contenuti hanno sempre dovuto adattarsi ai media che utilizzano. TikTok favorisce le forme brevi. È un male? Non so. Anche la conversazione favorisce forme brevi piuttosto che monologhi. Come nella conversazione, se fai un discorso di cinque minuti, sei un pessimo interlocutore. E probabilmente non andrai bene nemmeno su TikTok con video così lunghi.
Ma ci sono altri media. Su YouTube i video lunghi funzionano. I libri, che la gente continua a comprare e leggere, sono per eccellenza una forma lunga.
«I catastrofisti dell’attenzione sbagliano. Non abbiamo perso la capacità di prestare attenzione»
Infatti, nell’articolo segnala fenomeni contrastanti. Da un lato vincono Oscar film lunghissimi, dall’altro le serie TV accorciano la durata degli episodi. Siamo in una transizione culturale nel modo in cui consumiamo attenzione?
Sono più ottimista di certi catastrofisti. Innanzitutto, abbiamo una lunga storia di lotta contro la distrazione. Alcuni stimoli che una volta ci distraevano, ora non ci colpiscono più, perché abbiamo imparato a ignorarli. In altri casi, siamo riusciti a trovare soluzioni. Si ricorda com’era la posta elettronica prima dei filtri antispam? Mezza casella era pubblicità per pillole miracolose. E i siti erano invasi da popup. Oggi le cose sono cambiate perché abbiamo voluto tecnologie per migliorarle. Poi, molte cose oggi sono più facili di un tempo come prenotare un viaggio, organizzarsi, trovare informazioni, tutte cose che una volta richiedevano molto più tempo. Internet ci ha dato nuove distrazioni, è vero, ma ha eliminato anche molte di quelle vecchie.

Quindi lei è ottimista sul futuro dell’attenzione della nostra società?
Non è affatto detto che siamo diventati meno attenti. Prestiamo meno attenzione ad alcune cose, ma più ad altre. Il teorico dei media Neil Verma ha definito la nostra epoca “l’età dell’ossessione” e ha ragione. Molti aspetti dei media, della politica e della cultura attuali favoriscono una mentalità ossessiva. Non so se questo sia positivo, perché anche l’ossessione ha i suoi rischi. Ma suggerisce che i catastrofisti dell’attenzione sbagliano. Non abbiamo perso la capacità di prestare attenzione. Possiamo ancora recuperarla.