“La medicina di genere troppo spesso è considerata come la ‘medicina delle donne’, ma non è così, anche gli uomini a volte sono trascurati”. Lo racconta Giovannella Baggio tra le maggiori esperte di medicina di genere in Italia
L’osteoporosi non è un problema che riguarda solo le donne. Ne soffrono anche gli uomini, anche se a volte la malattia si manifesta più tardi e la mortalità da frattura è molto più alta nel “sesso forte”. Le donne sono più depresse, ma a ben guardare i dati dei tassi di suicidio anche internazionali, gli uomini si suicidano da 3 a 5 volte più delle donne. L’infarto – come è ormai ben noto – si manifesta in maniera diversa a seconda del genere e acquisire questa informazione negli anni è servito per diagnosticare in maniera più tempestiva e precisa i problemi cardiaci femminili, permettendo di salvare vite umane.
Ancora, il tumore della mammella non è solo un problema femminile: quello maschile rappresenta lo 0,5-1% di tutti i casi, secondo le Linee guida neoplasie della mammella 2019, stilate dell’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom), ma in pochi lo sanno con la conseguenza che le attività preventive sono pressoché assenti e soprattutto al momento per questa neoplasia, non esistono farmaci validati anche sugli uomini. Infine Covid-19: sebbene tra le donne si siano registrati più casi, il tasso di mortalità è maggiore tra gli uomini, soprattutto tra i 50-90 anni.
La medicina di genere “non esiste”
Tutti questi esempi dimostrano che la medicina di genere non solo esiste, ma che è essenziale ora più che mai ed è fondamentale che tutti gli operatori della salute ne siano sensibilizzati. “La medicina di genere troppo spesso è considerata come la ‘medicina delle donne’, ma non è così, anche gli uomini a volte sono trascurati” spiega Giovannella Baggio, cattedra di Medicina di genere all’Università di Padova, tra le maggiori esperte di medicina di genere in Italia e tra le prime a essersene occupata.
Sbagagliato poi immaginarla come una disciplina a sé con specialisti appositamente formati e dedicati: “Si tratta di una dimensione trasversale a tutte le specialità della medicina che studia l’influenza del sesso e del genere sulle malattie, sulla fisiologia, sulla fisiopatologia, sulle patologie e così via” continua. “Per questo mi piace dire che la medicina di genere non esiste come specialità a se stante e soprattutto che è meglio chiamarla ‘medicina genere specifica’”.
La rete italiana
C’è voluto un po’, ma dal 2008 in poi in Italia sono stati fatti grandi passi avanti e la sensibilità sul tema è cresciuta, arrivando a creare infine una bella rete che, come precisa l’esperta, non si ritrova nemmeno in altri Paesi europei. Il punto di partenza è stata la cosiddetta “triade” come la chiama Baggio, costituita dal Centro studi nazionale su salute e medicina di genere, di cui è presidente la stessa Baggio, il Gruppo italiano salute e genere (Giseg), e il Centro di riferimento per la medicina di genere dell’Istituto superiore di sanità (ISS), che si è espanso fino a contare oltre 60 ricercatori. A questa negli anni si sono aggregate diverse società scientifiche italiane.
Un primo passo ulteriormente rafforzato dalla promulgazione della Legge dell’11 gennaio 2018, nota come “Legge Lorenzin”, che ha disciplinato l’applicazione e diffusione della medicina di genere nel Servizio sanitario nazionale, prevedendo, tra l’altro, l’adozione di un Piano volto alla diffusione della medicina di genere e l’istituzione di un Osservatorio dedicato alla medicina di genere.
Un percorso che si è ulteriormente finalizzato lo scorso settembre, con il decreto firmato dalla sottosegretaria di Stato alla Salute Sandra Zampa, con cui veniva istituito presso l’ISS, il tanto atteso Osservatorio dedicato alla Medicina di Genere. “Si tratta di un gruppo di persone che ogni anno deve rendere conto al Parlamento di come sta andando la medicina di genere in Italia” commenta Baggio. “Siamo abbastanza ben messi. Ora sta alle Regioni attivarsi, perché l’organizzazione della sanità con il titolo V dà loro un’autonomia che ha portato a una differente sensibilità e attività sulla medicina di genere. Ma ora con la legge e l’Osservatorio dovranno mettersi al passo”.
I nodi da sciogliere
Certo tutto questo non significa essere arrivati, come precisa l’esperta che ricorda come i punti su cui lavorare siano ancora tanti. “Da una parte è necessario far arrivare le conoscenze acquisite a tutti i medici e farle ricadere nella pratica medica là dove è importante che arrivino” precisa. “Dall’altra è importante continuare a studiare le differenze tra generi e approfondire la ricerca in tutti i campi”. Per tornare a Covid-19 per esempio, i clinici hanno visto che il “long covid”, cioè lo strascico dei sintomi della malattia per molto mesi a seguire, fino a 60 anni è più comune fra le donne, mentre gli uomini sembrano quasi non soffrirne. “Il motivo sembra essere collegato a un processo autoimmunitario, che nelle donne è più spiccato” aggiunge Baggio.
Covid e le differenze di genere
Durante la pandemia infatti, sono emerse differenze tra i generi particolarmente spiccate. Dovute prima di tutto al fatto che uomo e donna differiscono per il sistema immunitario. Nelle donne questo è più attivo – per fattori legati al cromosoma X che nel “gentil sesso” è doppio e anche se uno è parzialmente inattivo contiene però geni protettivi contro il Covid-19 – il che se da una parte è un bene, perché fornire una protezione maggiore contro virus e altri patogeni, dall’altra è causa di un maggior numero di malattie autoimmuni, come artrite reumatoide, asma, lupus ecc.
Le donne quindi più spesso sono trasportatrici del Sars-Cov-2 – anche per via del loro ruolo sociale, come precisa Baggio, perché più spesso lavorano negli ospedali o come badanti o si prendono cura dei genitori – ma la mortalità è stata più del doppio negli uomini, soprattutto nella fascia tra i tra 50-60 anni. Poi sopra i 90 è maggiore la mortalità femminile, ma perché le donne sopravvivono di più. “Stiamo studiando il perché” aggiunge Baggio. “Oltre alle differenze immunologiche, esistono meccanismi biochimici differenti a seconda del sesso, legati ai recettori e alle proteine che sono coinvolti nell’ingresso del virus nell’organismo. Infine altri fattori sono legati al genere, come il fatto le donne seguono maggiormente le regole, o fumano e bevono alcol in misura minore”.
Ma, al di là di Covid-19, “in tutte in tutte le malattie ci sono delle grosse differenze di genere finora trascurate” conclude Baggio. “Conoscerle è importante perché hanno un riverbero su diagnosi precoce, terapia e prevenzione. Per questo stiamo lavorando per cercare di riempire questi vuoti”.