Il digitale ha creato una pluralità di informazioni che può essere controproducente in ambito sanitario. Compito delle istituzioni è presidiare i canali comunicativi per essere sempre più “a servizio del cittadino” e creare un solido rapporto di fiducia con essi. L’autore dell’articolo è consulente della Comunicazione Assessorato alla Sanità e all’Integrazione Socio Sanitaria della Regione Lazio
“Ok Google, cerca i vaccini provocano l’autismo?”. A questa domanda Google risponde rilanciando link ad alcuni siti e social community sul tema no-vax e pro-vax. Fino a trent’anni fa l’ambiente comunicativo ruotava intorno a cerchie abbastanza ristrette, quella dei familiari, quella degli amici, quella dei colleghi di lavoro; prima di andare da medico curante i nostri nonni davanti a un dubbio inerente la salute provavano i rimedi della saggia “zia Rosina” tramandati di generazione in generazione. I giornali e la televisione hanno contribuito alla diffusione di conoscenze, anche in ambito scientifico, ma sempre in una direzione a senso unico: il giornalista argomenta e il lettore o lo spettatore riceve l’informazione senza alcun contatto o relazione reciproca con chi scrive o parla.
Accorciare le distanze
Oggi siamo abituati a pensare la società come rete, il web è sia un mezzo che un ambiente di scambi comunicativi e, per dirla con il sociologo Manuel Castells, ridefinisce anche le forme e articolazioni del potere tra i diversi soggetti dello spazio pubblico. Le piattaforme digitali e i social network hanno contribuito in maniera significativa al mutamento del nostro modo di entrare in relazione con gli altri: si sono accorciate le distanze tra di noi e tutti, o quasi, possiamo essere sia produttori di informazione che fruitori, senza apparentemente essere controllati da nessuno. Ma non è solo questa la novità nelle relazioni dell’epoca social: adesso tutti abbiamo la possibilità di partecipare al dibattito pubblico liberamente, quotidianamente e senza filtri. Il digitale ha quindi, in un certo senso, cambiato i rapporti interpersonali perché ha accorciato le distanze tra le persone.
Il “Zero Moment of Truth”
Una decina di anni fa nel mondo del marketing è stato introdotto il concetto di Zero Moment of Truth – ZMOT, il momento di verità zero, per spiegare quanto i comportamenti di consumo siano ormai condizionati dai media digitali. Prima dell’avvento di internet e del web, infatti, il momento dell’”esperienza” di un prodotto o di un servizio avveniva solo dopo l’acquisto del bene stesso (momento di verità uno). Dovevamo fidarci del fatto che il prodotto/servizio rispettasse gli elementi descritti sull’etichetta o il marketing dell’azienda o, al massimo, il passaparola di qualche amico, conoscente o parente.
Oggi, invece, tramite i social network i singoli utenti possono non solo creare contenuti ma soprattutto, possono interagire “lasciando” in rete un proprio commento/giudizio/opinione su prodotti e servizi, anticipando così il momento dell’esperienza, che precede l’acquisto (momento della verità zero). Ad esempio questa è stata la carta vincente di piattaforme come TripAdvisor: oggi sono poche le persone che provano un nuovo ristorante senza leggere i commenti degli altri avventori.
Diffidare dei non esperti
Bisogna però fare attenzione e non applicare il cosiddetto metodo tripadvisor alle questioni di salute, perché il commento di un semplice utente, non competente in material sanitaria, è sempre un’esperienza personale, parziale, e dipendente da più fattori non determinabili. È dunque di fondamentale importanza, nella comunicazione sanitaria attraverso i social media, affidarsi esclusivamente a persone ben qualificate in ambito sanitario e scientifico.
Una pluralità di informazioni
Oggi i contenuti comunicativi che hanno come oggetto la salute e la cura della persona coinvolgono una pluralità di soggetti, dalla sanità pubblica alle varie strutture cliniche, ai digital influencer e alle associazioni di pazienti: una pluralità di voci che determina sia un allargamento dello spazio pubblico, sia la crescita di una maggiore opacità nella trasmissione di informazioni. Un recente studio condotto dall’Osservatorio nazionale sulla comunicazione digitale di PA Social e dell’Istituto Piepoli ha fatto emergere che circa l’80% degli italiani considera molto utile l’utilizzo dei social network e delle chat per comunicare con le istituzioni e ricevere informazioni e servizi. È inevitabile che si crei un enorme flusso di informazioni e che esso vada gestito.
Le istituzioni sono sempre più attive sui social network
Le istituzioni stanno implementando sempre di più i loro canali comunicativi per essere sempre più “a servizio del cittadino” e infatti sono sempre più attive sui social network come Facebook, Instagram, Twitter, LinkedIn, TikTok, YouTube, WhatsApp e Telegram…per trasformarsi in strumenti di lavoro e per acquisire e condividere conoscenza e informazione. La comunicazione svolge un ruolo di formazione e supporto al cittadino, come sottolineaaccuratamente Alessandro Lovari nel suo manuale indirizzato ai comunicatori scientifici (Social Media e Comunicazione della Salute, Guerini, 2019). Ancora di più la comunicazione scientifica perché oggi il concetto di salute non è definito in relazione al singolo cittadino, ma è anche in riferimento alla collettività dei soggetti e nel rapporto tra questi ultimi con i media digitali e le strutture sanitarie.
Educazione digitale
I social hanno creato una vera e propria svolta nella comunicazione istituzionale ma sappiamo quanti dati vengono prodotti e scambiati nella rete? La società statunitense Domo.com ogni anno conduce la ricerca dal titolo “Data Never Sleeps” e pubblica un’infografica che sintetizza tutto ciò che in un minuto accade nel web. Nel 2020, ad aprile, gli utenti della rete sono stati 4,5 miliardi e la quantità di dati generati ha raggiunto picchi mai visti, complice sicuramente il periodo di lockdown. Basta dare un’occhiata all’infografica per rendersi conto dei numeri: nell’arco di soli 60 secondi i frequentatori del web scambiano 41 milioni di messaggi su WhatsApp, pubblicano 350 mila storie su Instagram, caricano 500 ore di filmati su Youtube.
L’enorme quantità di dati che circola online porta da un lato a un sovraccarico informativo e dall’altro al rischio di diffusione di notizie false, le famose “fake news”.
La credibilità dei social network
La pandemia da Covid-19 ha mostrato il fenomeno in tutta la sua gravità, come ha analizzato dettagliatamente Francesco Pira, docente di comunicazione all’Università degli Studi di Messina e membro dell’Osservatorio nazionale sulla comunicazione digitale di PA Social e dell’Istituto Piepoli. “Il problema principale è che le fake news, immesse nel vortice della nuova comunicazione, hanno un peso, una capacità di produrre danni destrutturando anche la credibilità dei social network”, afferma Pira. Anche il Presidente di PA Social, Francesco Di Costanzo, ha dichiarato che la recente “emergenza ha acceso un faro enorme sul digitale, sugli strumenti di comunicazione e informazione come social e chat, l’attenzione si è spostata su tante tematiche che, purtroppo, non sempre sono state messe al centro dell’agenda e delle politiche del Paese”.
L’alfabetizzazione digitale
È quindi necessario imparare a saper riconoscere ciò che è attendibile da ciò che non lo è e in quale grado. Per far fronte al fenomeno dilagante delle fake news si deve pensare all’alfabetizzazione digitale per evitare di essere manipolati o fuorviati dai sistemi di comunicazione. Non si tratta però di lavorare su un atteggiamento di difesa, piuttosto diventa prioritario un atteggiamento di costruzione: costruzione di relazioni in rete e di percorsi di informazione in cui il cittadino sia partecipante e non esclusivamente spettatore.
Investire tempo ed energie per far maturare tali competenze, che ormai non sono soltanto ambito dei giornalisti e dei comunicatori istituzionali, ma capacità basilari per capire il mondo e per farsi capire, appare più che mai urgente. L’alfabetizzazione digitale non riguarda solo il saper utilizzare i mezzi tecnici ma ha a che fare con la nostra capacità di vivere all’interno del “mondo digitale”: si tratta, pertanto, di un’azione culturale. Azione che ha tre punti di partenza, come spiegano molto bene gli esperti di comunicazione social Bruno Mastroianni e Vera Gheno (Tienilo acceso, Longanesi, 2018): la capacità di valutare l’attendibilità delle informazioni, la possibilità di uscire dalle bolle di opinioni omogenee e l’opportunità di imparare a discutere e a confrontarsi in modo produttivo ed efficace.
Il controllo delle fonti
Il controllo delle fonti, oggi ribattezzato “fact cheking”, è sempre stato il primo passo di qualsiasi ricerca storica e scientifica. Ed è soprattutto una regola rigorosa dei media tradizionali fondamentale per contrastare l’industria delle fake news. Riconoscere le fonti, cercare di risalire il più possibile a quelle dirette e primarie, confrontare diverse versioni sono competenze richieste a chiunque nel momento storico contemporaneo, perché potenzialmente siamo tutti abilitati all’accesso non filtrato alle informazioni. È chiaramente altrettanto importante la formazione dei comunicatori che per primi devono saper gestire e selezionare le informazioni all’interno del mare magnum digitale. Accanto ai percorsi formativi rivolti ai giornalisti e ai comunicatori istituzionali occorre anche pensare e realizzare percorsi di educazione e sensibilizzazione in grado di coinvolgere sia i giovani che gli anziani.
Il percorso conoscitivo si sviluppa attraverso l’interpretazione personale di una serie di indizi che orientano verso una consapevolezza che da implicita o tacita si fa esplicita. Non è solo questione di disinformazione nei contenuti ma è spesso presente nel cittadino medio un atteggiamento di chi superficialmente dà per buone delle notizie, le condivide e alimentando, di conseguenza, la disinformazione.
“Certo”, commenta Vera Gheno, “non si potrà andare a fondo su ogni questione (il ruolo degli esperti e dei giornalisti rimane cruciale) ma perlomeno si potrà maturare una certa capacità di riconoscere ciò che è provvisorio, incompleto, parziale. Il punto infatti non è tanto tecnico quanto culturale: abbiamo l’umiltà di mettere in dubbio ciò che asseconda le nostre certezze? Sappiamo non aderire al primo istinto in base a ciò che leggiamo?”.
Il ruolo delle istituzioni
Qual è allora il ruolo delle istituzioni sanitarie nell’ambito dell’alfabetizzazione digitale dei cittadini? Bisogna creare un solido rapporto di fiducia tra cittadini e istituzioni; innanzitutto creare un piano editoriale tale da mettere al centro la salute del cittadino, veicolare in maniera chiara esemplice le informazioni di cui un cittadino ha bisogno e sviluppare i propri canali di comunicazione digitale per promuovere l’aggiornamento per i medici e gli operatori sanitari, e un’adeguata informazione su malattie, stili di vita, cure per i fruitori dei servizi sanitari. È dimostrato scientificamente che le community, costruite sui Social Network, portano con più facilità il cittadino a modificare il comportamento e lo stile di vita. È accaduto così per le campagne volte a prevenire l’obesità e a contrastare il fumo. Oggi si prova a fare lo stesso lavoro per i vaccini.
Educazione alla vaccinazione
Sappiamo bene come la storia di una presunta correlazione tra vaccini e autismo sia molto diffusa e affondi le sue radici negli anni Novanta. Uno studio inglese sosteneva che il vaccino trivalente potesse provocare un’infiammazione della parete intestinale, responsabile del passaggio in circolo di peptidi encefalo-tossici che causerebbero alcune forme di autismo. Ciò che si conosce di meno è che tale studio condotto da Andrew Wakefield fu smentito dalle principali autorità sanitarie: nel 2010 il General Medical Council inglese scoprì che i dati della ricerca erano stati falsificati e dopo due anni Wakefiel venne definitivamente radiato dall’Ordine dei medici. Ciò che ebbe più risonanza fu l’erronea associazione tra vaccini e autismo tale per cui si svilupparono sul web numerose campagne anti-vaccino, pseudo pubblicazioni che mettevano in dubbio la sicurezza e il valore delle vaccinazioni, soprattutto quelle dei bambini. Il risultato è che ad oggi si registra una preoccupante resistenza di molti genitori nel vaccinare i propri figli.
Negli ultimi anni si sta cercando di fare chiarezza su questo tipo di comunicazioni e molti esponenti del mondo scientifico hanno deciso di esporsi in prima persona per contrastare la disinformazione. Un esempio tra i tanti è Roberto Burioni che attraverso la rivista online Medical Fact promuove la corretta informazione scientifica con contenuti che possano essere facilmente comprensibili dai cittadini.
L’attività delle ASL
Anche le Asl sparse nel territorio italiano stanno provvedendo alla creazione e diffusione di campagne informative pro vaccini. Roberta Mochi, che gestisce i canali social della Asl Roma 1 risponde così alla domanda sul ruolo dei media digitali nella comunicazione della salute: “I social hanno creato una vera e propria svolta nella comunicazione istituzionale. La forza della condivisione delle informazioni ha spinto il cittadino a reclamare risposte in tempi strettissimi, ma ha anche ‘obbligato’ gli operatori della comunicazione sanitaria a cambiare modalità di gestione delle informazioni, utilizzando strumenti e piattaforme diverse anche per gestire le emergenze o le direttive ministeriali, come nel caso delle vaccinazioni obbligatorie”.
Distinguere il vero dal falso
I vaccini sono senza dubbio tra le scoperte scientifiche più importanti per il genere umano perché hanno determinato un’ingente riduzione della mortalità nel mondo e ha il duplice effetto di proteggere la persona che si vaccina e di proteggere le persone con cui la stessa entra in relazione. È di pochi giorni fa la notizia data dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che è stata definitivamente sconfitta la poliomielite in Africa. Dal 1996, sono state distribuite 9 miliardi di dosi di vaccino orale, si è evitato che 1,8 milioni di bambini rimanessero paralizzati e si sono salvate 180.000 vite. Tutto ciò evidenzia come alcuni pregiudizi e falsi miti in medicina possano mettere a rischio la salute dell’umanità. È quindi importante informarsi bene e imparare a distinguere il vero dal falso. Su questo il nostro Ministero della Salute e l’OMS stanno lavorando rigorosamente per consentire l’accesso, per ogni cittadino, a un’informazione fatta a misura di ognuno.
Cosa occorre fare
Possiamo dunque concludere, in sintesi, che per rendere ben fruibile e corretta la comunicazione in ambito sanitario occorra, in ambito scolastico, programmare un’alfabetizzazione digitale degli studenti, stabilire tra comunicatori e scienziati percorsi di interrelazione che portino a un patto tra le due figure professionali, introdurre all’interno dei programmi universitari un percorso formativo per la figura di comunicatore e divulgatore scientifico. Inoltre, le Istituzioni Scientifiche e Sanitarie dovranno destinare risorse per presidiare i propri canali di comunicazione digitale e, infine, appare assolutamente indispensabile la creazione di un Servizio di Coordinamento per la Comunicazione Scientifica e Sanitaria in Capo al Ministero della Salute.
Sanofi Pasteur e StartupItalia dichiarano che gli autori dei post e gli speaker che prendono parte alle dirette hanno ottemperato agli adempimenti previsti in tema di conflitto di interesse.