Vi è mai capito di finire su una pagina con Errore 404? Il pensiero che si ha quasi all’istante è: ho sbagliato qualcosa! Ma cosa? La pagina 404 è un messaggio di errore che appare quando un utente vuole accedere a una pagina web che non esiste o non è più disponibile. Anche StartupItalia ha il suo.
Cos’è l’Errore 404?
La pagina richiesta non può essere trovata, da voi ma neanche da loro. Così il protocollo informativo 404 risponde con una pagina informativa priva di contenuto (“page not found”) che non permette di capire l’errore, ma neanche da chi è stato commesso. In questo modo, tre semplici numeri si sono trasformati nel più riconoscibile degli errori.
Robert Cailliau, uno dei co-sviluppatori del World Wide Web intervistato sul famigerato Errore 404, sostenne che fu un programmatore ad assegnare gli errori del cliente alla serie di protocolli 400, tra cui il 404. Se l’errore, invece, è dovuto al server e non all’utente, la serie di riferimento è 500. Se la ricerca ha successo, allora la serie giusta è 200, ma è un numero che non vedremo mai comparire sullo schermo.
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Non c’è solo l’Errore 404
Torniamo alle serie 400. L’ultimo numero si riferisce al problema specifico all’interno della categoria degli errori 400. Renny Gleeson nel suo Ted talk dal titolo 404, the story of a page not found paragona le diverse tipologie di errori a una check list sulle dinamiche e i problemi relazionali stilata da un ipotetico consulente di coppia: Bad Request (400); Payment Required (402); Forbidden (403); Request Timeout (408); Conflict (409); Gone (410), Precondition failed (412); Expectation failed (417); Too Early (415).
Tra questi, il Not found (404), ovvero l’Errore 404, è un numero così familiare che è entrato nella cultura popolare diventando l’abbreviazione internazionale per tutto ciò che manca, è perduto o non può essere trovato. In alcuni Paesi di lingua inglese viene utilizzato nel linguaggio colloquiale come sinonimo di «Non ne ho idea». E a volte, di fronte a un Errore 404, di idee sul perché compaiano quei numeri non ne abbiamo neanche noi.
L’errore 418 «I’m a teapot»
Larry Masinter è uno dei pionieri di Internet. Ha ricoperto ruoli di prestigio in Xerox PARC, AT&T Labs, Adobe. E faceva parte dell’Internet Engineering Task Force (IETF) un gruppo che definisce gli standard di internet tra cui i protocolli come quelli delle serie sopra citati. Masinter rilasciò 26 protocolli, tra cui il Protocollo di Controllo delle Caffettiere Ipertestuali (HTCPCP).
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Il protocollo conteneva queste strane informazioni: Il caffè è presente in tutto il mondo. Gli informatici vogliono fare il caffè e i consumatori desiderano il controllo remoto di dispositivi come le caffettiere in modo da poter svegliarsi con il caffè appena fatto, o preparare il caffè in un momento preciso dopo la cena. Se le caffettiere sono collegate in rete allora è necessario un protocollo di controllo. Le caffettiere riscaldano l’acqua utilizzando meccanismi elettronici, quindi non c’è fuoco.
Di conseguenza, non sono necessarie protezioni da firewall. Se insieme al caffè viene offerto il latte, è necessario che chi tiene il contenitore del latte dica quando il latte sia stato versato a sufficienza. A tale scopo, è stato aggiunto il metodo WHEN al protocollo. Ogni tentativo di preparare il caffè con una teiera dovrebbe causare l’errore, generando l’informazione 418 Sono una teiera. Il risultato POTREBBE essere corto e robusto. Le future versioni di questo protocollo potrebbero includere estensioni per macchine da caffè espresso e dispositivi simili.
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Il sarcasmo è un’arma a doppio taglio e può sfuggire anche se pubblichi il documento il primo di aprile del 1998. Infatti, si trattava di un Pesce d’Aprile. L’intento dell’autore era di commentare sarcasticamente la proliferazione di estensioni di protocolli errati o privi di senso. Ma quel che Masinter non poteva immaginare che alcuni hanno iniziato ad utilizzare questo codice nei loro progetti. E che il tentativo di eliminarlo dalle librerie HTTP avrebbe generato un movimento di protesta con a capo uno sviluppatore di 15 anni.
Shane Brunswick infatti creò un sito web, save418.com, ed istituì un movimento chiamato Save 418 Movement. Secondo Brunswick «Sono una teiera è un promemoria fondamentale. Ci ricorda che i processi sottostanti ai computer sono ancora fatti dagli umani». Il sito di Brunswick è diventato virale nelle ore successive alla pubblicazione, come virale è diventato l’hashtag #save418 sull’ex Twitter. Grazie alla protesta pubblica il protocollo non è stato rimosso.
Alcuni siti web utilizzano Sono una teiera come risposta per le richieste a cui non desiderano o non possono rispondere, come ad esempio le query automatiche. Google ha persino la sua versione dell’errore 418: Teapot Easter Egg. In gergo informatico l’Easter Egg è un piccolo elemento nascosto, una sorpresa, un messaggio inserito deliberatamente dagli sviluppatori all’interno di un software, un sito web, un’applicazione per intrattenere gli utenti, premiare la curiosità o rendere omaggio a eventi, persone o cultura popolare. A volte la realtà supera la fantasia e il sarcasmo.
Quando l’errore è informazione
Se ogni clic è un passo verso la conoscenza, talvolta, un clic può condurre verso l’ignoto. Ma l’Errore 404 è un ottimo feedback. La pagina 404 è un confine digitale, un punto di incontro tra l’aspettativa e la realtà. In questa terra di nessuno cibernetica, ci troviamo di fronte a un’esperienza che va oltre la semplice mancanza di contenuto. È un momento di riflessione su ciò che ci aspettavamo di trovare e su ciò che effettivamente abbiamo trovato. Spesso niente, se non un messaggio di errore.
La pagina 404 non dice mai esplicitamente che errore avete commesso, ma che quello che cercate non si trova lì. Che qualcosa è stato eliminato, spostato altrove o rinominato, e allora l’errore misura la vostra caparbietà nell’ottenere quello che cercavate. Il not found può essere dovuto a una svista, a un’imprecisione di battitura della URL. Quindi l’invito è di prestare maggiore attenzione.
Può indicare che il nome di dominio richiesto non è più in uso. O che quel contenuto non ha più ragione di esistere per cui andava cancellato. Insomma qualcosa è cambiato e voi non ne eravate informati. Quindi bene la nuova conoscenza.
Ma indica anche che ciò che cercavate non esiste ora, ma potrebbe esserci in futuro. E allora perché non prendere spunto da una deviazione inattesa per rendere possibile, domani, quello che ancora non c’è? Magari utilizzando un pizzico di fantasia e del sano sarcasmo.
Le 3 regole d’oro
Nella filosofia dell’errore, ogni pagina 404 è una lezione e una regola. La prima regola e accettare l’imperfezione: gli errori 404 ci ricordano che nessuno è perfetto e che fare errori è parte integrante dell’esperienza umana. E che come qualsiasi idea, prodotto, servizio anche la tecnologia, il web, l’AI è creata da esseri umani, ed è quindi fallibile.
La seconda regola è adattarsi al cambiamento: gli errori 404 spesso si verificano quando una risorsa web viene rimossa o spostata. Ci insegna a non dare nulla per scontato e di essere flessibili di fronte alle nuove circostanze del web, del business e della vita.
La terza regola è persistere nella risoluzione dei problemi. Di fronte a un breve messaggio di risposta in HTTP su uno sfondo bianco, la reazione istintiva è quella di interrompere la ricerca e lasciare il sito, arrendendoci alla prima difficoltà. Ma solo dedicando ulteriore tempo alla nostra ricerca troveremo ciò che stavamo cercando.
E voi che lezione avete appreso? Se volete raccontarmi la vostra storia di fallimenti e lezioni apprese, scrivetemi qui: redazione -chiocciola – startupitalia.eu