Gli strumenti per arginare l’hate speech ci sono
Sette omosessuali o bisessuali su dieci sono stati molestati e insultati sui social. Questo dato, ripreso da una recente ricerca condotta dal Pew Research Center su un campione rappresentativo negli Stati Uniti, mostra in maniera inequivocabile quanto ancora le piattaforme debbano fare per rendere i social network un luogo sicuro per tutti. In occasione della Giornata internazionale contro l’omofobia, la transfobia e la bifobia, sono tante le iniziative lanciate per sensibilizzare l’opinione pubblica. Negli scorsi mesi, anche sull’onda dei fatti di Capitol Hill del 6 gennaio a Washington, è nato un dibattito attorno al ruolo attivo delle piattaforme nella formazione dell’opinione pubblica. Per quel particolare fatto di cronaca, molti hanno puntato il dito contro i social network colpevoli di non monitorare le fake news che circolano ogni giorno. Il discorso si potrebbe allargare anche al linguaggio d’odio – hate speech – contro omosessuali e minoranze che spesso sui social non viene punito.
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«I social media hanno avuto anni, anche decenni, per mettere in pratica la cura e la moderazione responsabile dei contenuti. Ma non hanno raccolto la sfida, scegliendo di dare priorità al profitto rispetto alla sicurezza pubblica», si legge nelle conclusioni di un report che analizza quanto efficaci siano le policy dei Big Tech per contrastare l’omofobia.
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Come vi abbiamo già raccontato la Silicon Valley, terra promessa dell’innovazione, ha diverse questioni aperte con discriminazioni e razzismo. Molto è stato fatto per far sì che le piattaforme smettessero di ritenersi semplici distributori di contenuti, andando invece a svolgere un ruolo più attivo nella moderazione dei contenuti. Le tecnologia di intelligenza artificiale, che sfruttano strumenti più o meno sofisticati (si va dal dizionario delle parole proibite fino al deep learning), sono alla portata di questi giganti che, ogni giorno, hanno il compito di arginare un fiume in piena di odio e intolleranza.