Genitori si diventa. La genitorialità non è un’abilità innata, ma un processo che si costruisce nel tempo. È questo il messaggio al centro della Giornata Mondiale dei Genitori, che si celebra il 1° giugno e quest’anno ha per tema “Raising Parents”: l’attenzione si sposta dalla crescita dei figli a quella di chi li educa. Perché anche i genitori hanno bisogno di crescere, di imparare competenze giorno per giorno, con il sostegno e le risorse giuste.
Istituita nel 2012 dall’Assemblea generale dell’Onu, la Giornata è un’occasione per riconoscere il ruolo fondamentale di madri e padri, ma anche per riflettere sulle difficoltà dell’essere genitori e sulla responsabilità di accompagnare nella crescita gli adulti di domani.
Tra le tappe del percorso c’è l’adolescenza, una fase di grande cambiamento che oggi si confronta con la complessità di un mondo sempre più veloce e iperconnesso. Ne abbiamo parlato con Alberto Pellai, psicoterapeuta dell’età evolutiva, ricercatore all’Università degli Studi di Milano e scrittore. Padre di quattro figli, Pellai è autore di numerosi libri sulla genitorialità, bestseller come L’età dello tsunami (De Agostini), scritto con la moglie Barbara Tamborini, e Allenare alla vita (Mondadori).
Quali sono le principali sfide per i genitori?
Oggi molti vogliono essere i garanti della felicità dei figli: se potessero, la comprerebbero al supermercato. Le generazioni passate sostenevano la crescita, senza preoccuparsi troppo della felicità. Ora si cerca di evitare ai figli ogni fatica. Un’immagine emblematica? Lo zaino sulle spalle del genitore fuori dalla scuola media. In questo modo diventa difficile per i ragazzi confrontarsi con il principio di realtà, che non è così accogliente e accomodante. Crescendo, si ritrovano affaticati, disorientati, impreparati ad affrontare le richieste della vita. Un’altra sfida è la solitudine. Un tempo c’erano grandi famiglie allargate, mentre oggi i genitori devono cavarsela spesso da soli. E poi siamo i primi genitori nella storia a crescere figli che hanno due vite: reale e virtuale.
Bisogna prestare più attenzione a smartphone e social?
Tanti genitori sono iperprotettivi nella vita reale, ma non esercitano alcuna protezione in quella virtuale. La preadolescenza è una fase in cui ragazzi e ragazze hanno un surplus di energia emotiva e bisogno di esplorazione. La sfida per gli adulti è direzionare questo surplus verso nuove esperienze funzionali alla crescita. Associazioni sportive, gruppi scout, laboratori teatrali, parrocchie sono ambienti che permettono di mettersi alla prova in situazioni sfidanti, responsabilizzanti e gratificanti, all’interno di una cornice educativa. Se invece questa energia finisce online, l’adolescente si ritrova in un territorio enorme di possibilità esplorative, dove tutto è accessibile: chat con sconosciuti, pornografia, gioco d’azzardo. Nella vita reale, metteremmo delle transenne.
La soluzione è regolare l’uso della tecnologia?
C’è un libro che ha fatto il giro del mondo, La generazione ansiosa di Jonathan Haidt, che affronta bene il tema. Dopo aver analizzato l’impatto del digitale sull’età evolutiva, l’autore indica alcune azioni fondamentali: ritardare il possesso dello smartphone ai 14 anni e l’accesso ai social a 16, rendere le scuole “smartphone free” fino ai 18 e favorire il gioco libero, relazionale e all’aria aperta fin da piccoli.
Oltre all’iperprotezione a fasi alterne, quali sono gli errori comuni tra i genitori?
Non si alleano: prevale il meccanismo del tutti contro tutti. Molti assecondano la logica della gratificazione istantanea. Il genitore con l’ansia di essere amabile e di diventare il miglior amico del figlio diventa un promotore più del “mi piace” che del “mi serve”, dà al ragazzo ciò che vuole invece di quello che gli è utile per diventare grande. È la cosiddetta adultescenza: adulti che si comportano come adolescenti, rinunciando all’autorevolezza.
Cosa significa essere un genitore autorevole?
Significa assumere il ruolo dell’allenatore: non teme che il figlio o la figlia provi fatica e sa qual è lo spazio di crescita. È una figura esemplare, non perfetta, ma capace di rendere desiderabile l’età adulta. Se mio figlio mi vede soddisfatto della mia vita adulta, perché ho autonomia e potere d’azione, allora vorrà crescere. Se tutte le sere mi vede stanco, infastidito e arrabbiato, preferirà restare piccolo.
Come si “allena” un adolescente alla vita?
Insegnandogli a perdere. Il bravo allenatore non punta a farti vincere, ma a farti crescere, strutturare e acquisire abilità attraverso la fatica. Non si sostituisce mai nelle prove, ma osserva, commenta, guida. Non è preoccupato né della tua vittoria né della tua sconfitta, perché è prima di tutto un garante del percorso. Gli adulti del terzo millennio sono molto più attenti al traguardo, pronti a tutto pur di far vincere i figli. Ma l’età evolutiva non è un tempo di vittorie, è un tempo di costruzione di abilità e competenze.
Come restare allenatori saldi anche nell’età dello tsunami?
Nella preadolescenza il compito dei figli non è più obbedire al genitore, ma conquistare autonomia. Non bisogna temere le richieste di autonomia, ma piuttosto imparare a dire i “no” che aiutano a crescere. Molti divieti sono sbagliati, perché servono più ai genitori per difendersi dalla propria ansia che ai figli per diventare grandi, come quando si proibisce di andare in bici al parco perché “è pericoloso”. La crescita è proprio la capacità di assumersi dosi crescenti di rischio. Il genitore, quindi, deve essere un promotore di autonomia nella vita dei figli.
In che modo?
Consentendo ai ragazzi di fare esperienze, viaggi, incontrare amici, di uscire dalla bolla di solitudine e isolamento che sempre più spesso avvolge gli adolescenti ma anche le famiglie. Un consiglio che do ai genitori è di coltivare la socialità. Quando è stata l’ultima volta che avete invitato a cena un’altra famiglia con figli? Bisogna ricostruire queste reti sociali, riconnettersi con gli altri.
È vero quindi che dobbiamo pensare anche alla crescita di madri e padri…
“Raising parents” è un messaggio necessario. Non ci si può improvvisare genitori. I compiti evolutivi dei nostri figli sono gli stessi che abbiamo affrontato noi, ma oggi il contesto è più complesso. È importante che i genitori siano competenti e facciano squadra, in modo che le buone pratiche non siano agite da singoli che nuotano come salmoni controcorrente. Siamo i primi genitori di una comunità educante immersa in una comunità di mercato potentissima, che guarda i ragazzi con gli occhi del Gatto e della Volpe: ne capisce la fragilità e, invece di proteggerla, la sfrutta per sottrarre gli “zecchini d’oro” che hanno in tasca. In una realtà così pervasiva, l’alleanza è fondamentale.
Immagine in alto: photo credit @Sforza