Street artist di formazione, ha vissuto da bambino a New York. Ha conosciuto i grandi del Novecento. Appassionato di innovazione, non teme l’intelligenza artificiale. «Il mondo non lo puoi cambiare. O lo cavalchi o ci vai contro». Una nuova puntata della rubrica Italiani dell’altro mondo
Artisti si diventa, con lo studio e l’esperienza. Ma c’è anche chi cresce in mezzo all’arte. Federico Pongo, nato a Piacenza nel 1976 e trasferitosi subito a Milano, è capitato in una famiglia dove il papà e la nonna l’hanno introdotto alla creatività, mettendolo a contatto con alcuni dei giganti del Novecento. «Mio padre ha collaborato con Campari e per un po’ di tempo ho vissuto a New York, a fine anni Ottanta. Lì mi ha fatto conoscere Andy Warhol. Avevo 9 anni, ai miei occhi era estroverso, ma da bambino non potevo immaginare chi avessi di fronte». Oggi, venerdì 21 aprile, si celebra la Giornata mondiale della creatività. Non è la prima volta che ci capita di intervistare uno street artist. Nel 2022 vi abbiamo raccontato il profilo di Alice Pasquini. Quest’anno partiremo ancora dai graffiti, brodo primordiale di tantissimi creativi, per spostarci su un’arte decisamente più concettuale in una nuova puntata della nostra rubrica Italiani dell’altro mondo.
Lessico famigliare
L’arte ha sempre fatto parte della quotidianità e del lessico familiare di Federico Pongo. «Fin da piccolo ho ricevuto un’influenza pittorica e artistica concettuale. Ricordo che ero sempre in viaggio con mio padre per musei». Così ha imparato la storia dell’arte, le correnti e i periodi con i suoi protagonisti. Con la stessa passione con cui i suoi coetanei si ricordavano le formazioni delle squadre di calcio. Anche se a Pongo il calcio non è che sia mai piaciuto. «La mia routine, e me ne rendo conto oggi, consisteva nell’incontrare i grandi artisti del Novecento. Papà, ad esempio, mi ha portato a conoscere Mario Schifano».
A 47 anni e con decenni di esperienza alle spalle passando dalla street art fino alle collaborazioni con brand importanti, Federico Pongo si porta dietro un insegnamento che spesso i grandi sono in grado di trasmettere. «Di tutti loro ricordo l’umiltà. Erano fuoriclasse, che si approcciavano con grande semplicità». Questo è stato il suo background. Ma dove è partita la storia di Federico Pongo?
New York, anni Ottanta
New York è capitale di tante cose. Vale anche per i graffiti. Pongo ha vissuto la Grande Mela in un periodo storico particolare, che ha profondamente segnato la sua impronta artistica. «Era il 1986, il tempo dei graffiti sui treni. Io all’epoca non avevo nessun interesse a riguardo. Era la New York prima dell’amministrazione Giuliani. Oggi, con gli occhi dello street artist, posso dire di aver vissuto un periodo storico che difficilmente si rivivrà». I murales e i graffiti si portano dietro una storia troppo ricca e frizzante per essere banalizzati come atti di vandalismo.
Ancora una volta è stato il padre ad accompagnarlo nella scoperta autonoma di un’inclinazione artistica. «Eravamo al MoMa di New York. Mi prese un libro, Subway art, uno dei testi di riferimento. Una volta tornato in Italia è a quello che mi sono ispirato iniziando con la street art». Fatto il liceo artistico ha continuato su questa strada, affermandosi come una delle figure di riferimento del panorama italiano. Poi, come accade in tante vite, si cambia. «Era il 2010. Non aveva più senso fare graffiti per me. Così ho iniziato a portare avanti un discorso di arte concettuale, basata sul concetto di inganno». Un inganno che non manipola, ma vuole far riflettere sulle proprie convinzioni ed emozioni.
Arte e (AI)nganno
«La mia è pittura ingannevole, in 3D: punta a mostrare la falsità. Basta indossare gli occhiali blu e rossi e cambia tutto. Può avvenire su tela, su street art, su digitale o installazioni». Ecco perché abbiamo scelto di inserire diverse opere di Federico Pongo, per accompagnare lettori e lettrici alla scoperta del suo lavoro in un periodo storico dove il tempo è veloce, perfino per l’arte. «Viviamo un’epoca di superficialità, bombardati da mille notizie. Una foto nel feed dura qualche ora. C’è meno voglia di indagare. Ricordo che, negli anni Novanta, un’opera poteva girare per oltre un anno grazie alla circolazione di una semplice rivista».
Ciononostante l’artista non è affatto nemico dell’innovazione. «Sono una persona a cui piace l’innovazione anche se non la utilizzo». Parlando sempre di inganno, sono anni che la creazione di contenuti è tanto potenziata quanto insidiata da mezzi sempre più potenti in grado di falsificare volti, voci, filmati e immagini. «L’AI è un ottimo strumento per limare parti del lavoro. In fondo queste intelligenze artificiali, senza l’apporto degli artisti, non potrebbero esistere. I tool che fanno foto si appoggiano a database di immagini di artisti».
Con ChatGPT e le migliaia di altre AI che promettono di cambiare (o stravolgere) determinate mansioni le alternative quali sono? Senz’altro studiare e conoscere sono le più complesse e sfidanti. «Credo che la differenza la faccia il personal brand. Non potrai mai sostituire il personal brand con l’AI. Non lo puoi rubare». Se ciascuno coltiva le proprie capacità, rendendosi utile e talvolta indispensabile, è difficile che alla personalità si vada a preferire una macchina. «Anche Canva ha tolto lavoro. Ma il mondo non lo puoi cambiare, perché va in quella direzione. L’unico modo è cavalcarlo piuttosto che andarci contro».