La formatrice e pedagogista Annalisa Falcone, seguitissima sui social e Cristina Favini, chief designer officer di Logotel, quest’oggi alle 17 negli spazi di Casa Emergency a Milano, presenteranno il progetto Webecome. Tra i relatori anche: Mauro Moreno, Direttore Sanitario Grande Ospedale Metropolitano Niguarda, Silvia De Francia, professoressa associata in Farmacologia dell’Università di Torino, Paola Mascaro, Marketing & Communications Director di Accenture ed Elisa Zambito Marsala, Responsabile Social Development and University Relations, Intesa Sanpaolo
È possibile immaginare un’educazione delle nuove generazioni che sia priva di pregiudizi? Con questa domanda apriremo uno dei contributi di Unstoppable Women, il 24 maggio alle 17 negli spazi di Casa Emergency a Milano, un appuntamento organizzato grazie ad Intesa Sanpaolo. A confrontarsi sul tema, con diverse esperienze e approcci, saranno la formatrice e pedagogista Annalisa Falcone e Cristina Favini, chief designer officer di Logotel, che presenterà il progetto Webecome.
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Per preparare il terreno alla conversazione partiamo dall’approccio di Maria Montessori: “Per educare i bambini bisogna partire dagli adulti”. Se la cultura influenza ciò che siamo, sono i modelli che osserviamo a dirci chi possiamo essere. È Annalisa Falcone – sui social @diariodiuneducatrice, qui il suo blog – a parlarci dell’importanza della formazione rivolta agli adulti, che a più livelli sono moltiplicatori di metodi e competenze tipici di ogni società complessa.
L’importanza del saper ascoltare
“Innanzitutto impariamo ad osservare e a mettiamoci in ascolto. So che è difficile, in un mondo che mette tutti, adulti e bambini, sotto la pressione di una società performante. È chiamata “genitorialità intensiva” ed abitua anche i più piccoli a rispondere agli obiettivi sociali dei grandi. Scegliamo un linguaggio che sia adeguato allo sviluppo del bambino o della bambina, che non sono piccoli adulti, perché vivono un momento specifico con competenze uniche di quella fase”.
Proprio il linguaggio ha il potere di allargare il campo d’azione – e di educazione – a diverse modalità di gioco e di esplorazione, di espressione di sè. “Frasi come “stai composta”, rivolta in prevalenza alle bambine e molto meno ai bambini, impongono ruoli e modalità differenti di relazione. Come lo è “non ti sporcare” durante il gioco, mentre la sessualizzazione precoce impone alle bambine gonne eleganti anche quando dovrebbero solo sentirsi libere”.
Il mondo degli adulti è quello delle scelte, troppo spesso erroneamente attribuite ai piccoli. “Ci sono mamme convinte che le figlie vogliono a tutti i costi il rosa. Ma siamo sicuri che sia il colore che la bambina sceglierebbe o è il mondo attorno a lei ad imporle uno standard? Ricordiamoci sempre che i piccoli tendono ad assecondare gli adulti per conquistarli, soprattutto quando da loro arriva il suggerimento”. Pensiamo a quante bambine si vestono da principesse a Carnevale, ispirate dai modelli a cui attingono. “Ho fatto un’esperienza con con una classe, coinvolgendo bambini e bambine in un percorso di conoscenza di professioni assolutamente trasversali tra i sessi, dal make up artist alla donna pilota o pompiere. L’anno successivo a carnevale c’erano molte meno principesse, e alcune si sono sentite libere di indossare gonne di tulle con l’elmetto del pompiere. Questo ci dice una cosa fondamentale: dobbiamo ampliare le loro possibilità di scelta e gli orizzonti, dobbiamo aiutarli ad alimentare la fiducia in se stessi e fidarci a nostra volta delle loro scelte”.
Ampliare gli orizzonti non è solo un obiettivo educativo ma anche un metodo. Un libro che include le diversità culturali, religiose o fisiche, è efficace se non è didascalico – ad esempio un bambino disabile che parla della disabilità – ma se quei personaggi li coinvolge nella narrazione. Ma non solo.
“Accogliere il nuovo, aprirsi alla possibilità di mettere in campo anche le competenze dei genitori per vivere esperienze insieme è un ottimo modo per coinvolgere i piccoli in una rete di scambio e di stimoli, che fanno bene anche agli adulti. La conoscenza e la curiosità permettono anche agli adulti di uscire da stereotipi radicati. Ho sentito una mamma dire che “Pinocchio” di Collodi è un libro per maschi, un’altra era convinta che la figlia fosse inorridita dagli insetti, poi l’ha vista tenere in mano una mantide religiosa e ha capito che stava riversando su di lei una sua paura personale”.
I figli non sono contenuti social
Poi c’è la tecnologia, con la quale il tema delle relazioni fra adulti e degli adulti con il mondo esterno dà ulteriori modelli di riferimento a bambini e bambine, oggetto ancora troppo spesso di sovraesposizione mascherata da divulgazione. “Non voglio demonizzare l’uso di app, smartphone e tecnologie – continua Falcone – ma vedo quanto sono attratti dallo smartphone , soprattutto per fare foto e video: sembra esser diventato il mezzo di relazione tra figli e genitori in un tempo in cui la condivisione istantanea è una regola consolidata”. Si aprono i temi dell’assenza di consenso, di violazione della privacy, di mancata tutela dell’immagine del bambino.
Oltre la legislazione, per restare in campo educativo, “Dobbiamo chiederci: ma a noi piacerebbe se qualcuno, senza il nostro permesso, pubblicasse un contenuto come foto o video di un nostro momento di fragilità e quotidianità? La privacy è un diritto non solo degli adulti, ma anche per i bambini e le bambine, soprattutto se la telecamera accesa riprende il loro processo di crescita in modo ossessivo, come se esser ripresi in continuazione sia la regola basilare del rapporto con la società”.