Quando un comico del calibro di Jimmy Kimmel viene sospeso a tempo indeterminato, non è mai solo una questione di battute. È un sintomo. Un indicatore che qualcosa, nel delicato equilibrio tra potere, media e libertà di parola, si è incrinato. Quello a cui abbiamo assistito non è un semplice episodio di cronaca televisiva, ma la manifestazione plastica di un fenomeno studiato e temuto nelle democrazie liberali: il Chilling Effect.

Cos’è il Chilling Effect?
Si chiama “effetto raggelante”, ed è una delle armi più potenti e subdole contro la libertà di espressione. Non è la censura esplicita, quella con il timbro e la firma di un regime. È qualcosa di più sottile e, per questo, più insidioso. Il Chilling Effect, come teorizzato in decenni di giurisprudenza soprattutto americana, si verifica quando un’autorità (in questo caso politica) non vieta direttamente un discorso, ma crea un’atmosfera di tale intimidazione e paura di ritorsioni che individui e organizzazioni iniziano ad autocensurarsi per evitare problemi.
Il caso Kimmel ne è l’anatomia perfetta: la ABC non ha ricevuto un ordine diretto dalla Casa Bianca. Ha però subito una pressione calcolata e multifattoriale che l’ha portata a una decisione drastica. La minaccia non era una legge, ma qualcosa di più concreto per un broadcaster: la revoca delle licenze di trasmissione. Quando Brendan Carr, il presidente dell’autorità di regolamentazione dei media (FCC), nominato da Trump, va su un podcast di destra e “suggerisce” che la sospensione di Kimmel sarebbe un’azione appropriata, non sta esprimendo un’opinione. Sta brandendo un’arma. Sta dicendo, tra le righe: “Siamo il governo, controlliamo le vostre licenze per operare, e questa è la nostra volontà”.

Anatomia di una pressione calcolata
Quello che è successo ad ABC non è stato un fulmine a ciel sereno, ma una tempesta perfetta, orchestrata con la precisione di una campagna. Analizziamone i pezzi:
- La Leva Regolamentare: Il commento di Carr è stato il colpo da maestro. Ha trasformato una polemica politica in una questione di sopravvivenza aziendale. Come ha poi rivendicato con orgoglio l’intervistatore Benny Johnson, si chiama “soft power“. Un potere morbido, non dichiarato, ma tremendamente efficace.
- La Pressione Economica: La decisione del Nexstar Communications Group, uno dei maggiori gruppi di stazioni affiliate, di non trasmettere più lo show ha rappresentato la minaccia economica diretta. La paura di un’emorragia di affiliati e, di conseguenza, di ricavi pubblicitari, ha messo l’azienda di fronte a un bivio puramente commerciale.
- La Mobilitazione Politica: Le dichiarazioni di giubilo di Donald Trump (“Great News for America”) e l’appello del suo vice JD Vance a “chiamare i datori di lavoro” di chiunque non mostrasse il dovuto cordoglio per la morte di Charlie Kirk hanno creato il contesto. Hanno legittimato l’attacco, trasformando la critica in un atto di slealtà da punire, anche sul posto di lavoro.
ABC, stretta in questa morsa, ha scelto la via apparentemente più sicura nel breve termine: sacrificare una pedina, per quanto importante, per placare il potere. Ma è una vittoria di Pirro, che erode la credibilità del brand e, soprattutto, crea un precedente terrificante.
L’effetto contagio
L’errore più grande sarebbe pensare che questa sia una storia che riguarda solo star milionarie della TV. Il caso Kimmel è la punta dell’iceberg, il segnale più visibile di un fenomeno che, come riporta la cronaca, sta già colpendo insegnanti, pompieri, infermieri e impiegati. Quando un’istituzione come ABC capitola, il messaggio che arriva a tutti gli altri, dal piccolo giornale locale al singolo cittadino che posta su un social network, è devastante e chiaro: se può succedere a lui, figurati a te.
Questo è il vero cuore del Chilling Effect. Non serve una polizia politica che bussi alla porta di ogni critico. Basta rendere l’esempio di uno abbastanza forte da indurre mille altri al silenzio. Si crea così quella che la nonprofit Truth Wins Out ha definito una “nuova era McCarthyista”, dove l’arma è l’indignazione selettiva e lo scopo è silenziare il dissenso.
Coltivare una “spina dorsale collettiva”
Come se ne esce? La Fondazione per i Diritti e l’Espressione Individuale ha usato una metafora perfetta: le istituzioni devono “farsi crescere una spina dorsale”. Ma una spina dorsale non si improvvisa nel mezzo di una crisi; si coltiva con una cultura aziendale e una mission chiare, dove l’integrità giornalistica e la difesa dei propri talenti sono considerate un asset strategico, non un costo sacrificabile.
Per noi, come cittadini, la prima linea di difesa è la consapevolezza. Dobbiamo imparare a riconoscere questi meccanismi di pressione per quello che sono: non legittime critiche, ma attacchi strategici alla libertà di parola. Dobbiamo chiamare il “soft power” con il suo vero nome: abuso di potere. E dobbiamo capire che la difesa della libertà di parola di un comico con cui magari non siamo nemmeno d’accordo è, in ultima analisi, la difesa della nostra. Perché il freddo, una volta che inizia a soffiare, non si ferma mai alla prima porta.