Secondo la ricerca presentata al Festival del Giornalismo Culturale, il 30% delle persone che fruiscono di informazioni culturali le trova per caso, navigando in rete. Metaverso e web 3.0 apriranno nuovi scenari, ma siamo lenti a capire il futuro.
Il pubblico c’è, ma bisogna cercarlo: questo è il lavoro del buon comunicatore, setacciare le audience, scoprire cosa cercano sul web e quali formati prediligono. È tutta una questione di velocità, se insegui, resti sempre indietro, perdi senso della prospettiva, non orienti la fruizione dei contenuti, cumuli ritardo, ma il futuro (e i lettori) non aspettano. Il risultato? Una caotica e vorticosa ricerca di qualità, senza sapere come trovarla, un pubblico altamente digitalizzato che c’è, esiste, con il quale non si riesce a entrare in contatto. I dati della ricerca dell’Osservatorio News Italia e Ipsos “l’innovazione tecnologica nell’informazione culturale: pubblici e fruitori a confronto” presentati al Festival del Giornalismo Culturale di Urbino, sono sorprendenti. Ne abbiamo parlato con Andrea Fagnoni, Chief Client Officer di Ipsos.
Fagnoni, c’è un dato della ricerca che l’ha stupita?
Sì, è emerso un dato sorprendente: il 30% delle persone che fruisce di informazioni culturali non le cerca attivamente ma le trova per caso, navigando in rete. Una percentuale molto rilevante, quasi un terzo del campione, che deve spingerci a riflettere.
Che interpretazione propone?
Quando si lascia al caso l’orientamento delle tendenze in rete, non è mai una buona cosa. Questo 30% ci dice che il pubblico adatto e curioso per le informazioni di tipo culturale c’è, la domanda di contenuti di qualità è rilevante, ma evidentemente i comunicatori non sono abbastanza bravi a intercettare queste persone, non ne riconoscono i linguaggi e le modalità di fruizione. Un rammarico e uno spreco.
“Il 30% delle persone che fruisce di informazioni culturali non le cerca attivamente ma le trova per caso, navigando in rete. Quando è il caso a decidere, non è mai una buona cosa”
Responsabilità dei comunicatori o pigrizia di chi legge?
Quando il pubblico non capisce un contenuto o non lo trova agevolmente, la colpa è sempre del comunicatore. Questo è un princìpio cardine della comunicazione, a tutti i livelli. Oggi si producono tantissimi contenuti, ma forse si sbagliano formati, target, tecniche. Bisogna ragionare su come entrare in contatto con questa ampia fascia di persone interessate alla cultura. La ricerca in rete non dovrebbe essere episodica e casuale. Se non ci fosse la rete non avremmo accesso a buona parte dei contenuti culturali. Bisogna provare a capire questa trasformazione, accettando di entrare in paradigmi diversi in termini di accesso, stimoli e linguaggi.
Se tutti i contenuti fosse fruibili solo a pagamento, gli utenti in rete orienterebbero le ricerche sui contenuti di loro interesse?
Oggi per un determinato tipo di informazione come quella culturale è scontato per tantissimi utenti ottenerla gratis. Molti sono disposti a pagare una serie tv in streaming o un evento sportivo sul satellite, ma non sono disposti a pagare per informazioni e approfondimenti di qualità. Questa democratizzazione della fruizione priva di mediazione è molto rischiosa, perché non c’è alcun tipo di controllo. Non si riconoscono più autorevolezza e gerarchia delle fonti, ognuno si costruisce il suo mondo che non necessariamente è aderente alla realtà. Se il set informativo è solo gratis e manca la mediazione delle persone competenti, il lettore deve saper scegliere cosa è vero o falso, cosa è importante e cosa è superficiale. L’opinione della persona qualunque diventa uguale a quella del grande scienziato. Disintermediazione e immediatezza rappresentano, quindi, un grosso problema, ma la competenza e l’esperienza andrebbero pagate.
“Quando il pubblico non capisce o non trova i contenuti, la colpa è sempre del comunicatore, ma disintermediazione e immediatezza rappresentano un grosso problema”
Quali sono le piattaforme digitale che insidiano il primato di Facebook, nella fruizione dei contenuti culturali online?
Facebook è ancora molto forte in persone dai 35 anni in avanti, ma le nuove generazioni preferiscono senza dubbio Instagram e TikTok.
Come immagina il Festival e la ricerca Ipsos del prossimo anno?
Suppongo che saremo concentrati su metaverso e web 3.0 che potrebbero aprire scenari molto interessanti e grosse opportunità per l’informazione culturale. Ma dobbiamo fare attenzione alla lentezza delle istituzioni.
Istituzioni e addetti al lavori troppo lenti a capire il futuro?
Esatto, la maturazione tecnologica è velocissima, spesso siamo in ritardo quando discutiamo di trend e problemi. La vera sfida delle istituzione e degli addetti ai lavori e di restare agganciati al treno dell’innovazione. Il prossimo anno potremmo parlare di metaverso e web 3.0 ma all’orizzonte potrebbe già definirsi qualcosa di nuovo. Mi rendo conto che i processi democratici hanno tempi da rispettare, gli approfondimenti devono sedimentarsi con calma, ma serve un punto di incontro per non restare troppo indietro. Se si insegue sempre, si finisce per non gestire mai i fenomeni complessi, non traendone pienamente i benefici.