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Oggi la lingua che parliamo sta cambiando. Emergono nuove voci nel dibattito pubblico, cambiano le sensibilità su temi come genere, minoranze, salute mentale, disabilità. Come gestire il cambiamento? Come trasformare, adattare, plasmare le parole che usiamo e i modi in cui si articolano? Esistono parole più giuste di altre per essere inclusivi? E soprattutto, chi stabilisce, se una parola si può o non si può più dire? 

“Scelte con cura”

A queste domande, e a tante altre, hanno provato a rispondere, con il coinvolgimento del pubblico, Vera Gheno, sociolinguista e divulgatrice, e Paolo Bovio, voce e autore di Will Media, durante il panel “Scelte con cura – Un dialogo sulle parole del linguaggio inclusivo” all’evento Chora Volume 1.

words bovio gheno

Linguaggio inclusivo o ampio?

«Fare cultura sul linguaggio è attivismo», ha esordito Paolo Bovio. «Significa offrire punti d’ingresso alla complessità, mettendo le persone nelle condizioni di formarsi una propria opinione, di accedere a una conoscenza o a un dibattito in corso, di ricevere dei criteri per potersi esprimere in modo più consapevole e inclusivo». 

A questo proposito, proprio l’uso stesso del termine inclusività andrebbe ripensato: questa parola indica la capacità di includere e non discriminare, ma considera solo il punto di vista di chi accoglie, escludendo quello di chi sta dall’altra parte. (Zingarelli, 2024).

A questo proposito lo scrittore Fabrizio Acanfora nel saggio “La diversità è negli occhi di chi guarda” ha suggerito che dovremmo cominciare a pensare in termini di convivenza delle differenze, sottolineando che esiste una parità tra le parti. 

Ed è ispirandosi a questo concetto che Vera Gheno ha spiegato come sarebbe meglio parlare di “linguaggio ampio” e non solo di linguaggio inclusivo: «La lingua non è una memoria con un numero limitato di gigabyte. Al contrario la conoscenza linguistica si può espandere all’infinito, includendo tante soluzioni, perché quello che prima si considerava universale in realtà è solo uno dei punti di vista possibili. Le nuove espressioni si aggiungono, senza sostituire quelle esistenti». 

D’altra parte, la lingua è un codice che funziona per convenzioni: «Ognuno di noi le utilizza per esprimere le proprie idee e confrontarsi con gli altri, pronunciando in media circa 16.000 parole al giorno, secondo alcune stime», ha sottolineato Paolo Bovio. 

Se le norme sono il centro del nostro cosmo linguistico, tutt’intorno ci sono le aree satellitari, che sono quelle dove la lingua si contamina e dove nascono le sfumature. «Oggi sempre di più stanno emergendo voci e comunità a cui per tanto tempo non è stata data la giusta attenzione e la lingua che parliamo è attraversata da spinte di cambiamento come mai prima», ha proseguito Bovio. 

Il risultato? Bisogna essere elastici, in un’alternanza di regole ed eccezioni, imparando ad adeguare l’uso di registri diversi in base alle situazioni. 

“Si abita una lingua” 

Come sosteneva il filosofo rumeno Emil Cioran, “non si abita un paese, si abita una lingua”: bisogna sempre considerare il contesto sociale e culturale in cui si vive, inevitabilmente popolato anche da bias e pregiudizi che possono influenzare l’uso delle parole, così come vanno rispettati i tempi di ognuno di fronte al cambiamento. 

«Spesso le persone fanno fatica a modificare il loro modo di parlare, come dimostra una certa resistenza linguistica da parte delle stesse donne ad utilizzare i nomi delle professioni al femminile, per esempio ingegnera, arbitra o architetta», ha fatto notare Vera Gheno. «Il linguaggio ampio, in questo come in altri casi, può servire non tanto a cambiare la realtà, quanto a ri-narrarla, favorendo un atteggiamento diverso nei confronti delle cose». 

Un percorso di consapevolezza individuale e collettiva, che può essere incoraggiato facendo divulgazione, più che attivismo vero e proprio. «L’importante, anche da parte istituzionale, è spiegare come si possono dire le cose, non come si devono dire, utilizzando molto buon senso sociale e mettendo da parte le interpretazioni delle parti politiche, che spesso si accaparrano anche il dibattito sul linguaggio», ha concluso la sociolinguista.  

Credits: videomaker e montaggio – Tommaso Pasi

«Words. Cosa significa parlare inclusivo»

Durante l’evento è stato presentato in anteprima anche WORDS, il primo podcast di Mediobanca dedicato al linguaggio inclusivo. Un percorso di esplorazione e di conoscenza con numerosi ospiti provenienti dal mondo della linguistica, della scrittura, della divulgazione, della cura, della formazione e dell’attivismo. Dieci puntate per offrire un punto d’ingresso alle complessità della trasformazione del linguaggio. 

I primi sei episodi del podcast sono online sulle principali piattaforme di podcasting, i nuovi appuntamenti saranno disponibili ogni sabato alle 12.

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