La potenza delle metafore nel discorso pubblico per allargare la community, emozionare, generare appartenenza. E raccontare bene la verità. Abbiamo incontrato l’ex magistrato, scrittore di successo, al Festival del giornalismo culturale di Urbino
Metafore al servizio dell’innovazione per condurre il giornalismo culturale sui nuovi sentieri della comunicazione transmediale, accendere l’interesse e allargare la community dei lettori. Come ha detto Gianrico Carofiglio nella sua lectio magistralis al Festival del Giornalismo Culturale di Urbino, del quale StartupItalia è stata media partner: “Le parole sono pistole cariche, anche il giornalismo culturale deve essere in grado di saperle usare bene”. Non sono banalmente solo dei suoni vibrati nell’aria, le parole sono generative, attivano connessioni chimiche nel cervello, condizioni emotive e orientano le scelte. Ma il potenziale va orientato, servono talento, studio e manutenzione. “Il problema della comunicazione, anche quella politica, è dire bene la verità. Se non la si dice bene, gli altri non la sentiranno e se gli altri non capiranno è solo colpa nostra”.
Carofiglio, qual è lo stato di salute delle metafore nel nostro Paese?
Le metafore sono spesso utilizzate male, ma restano uno strumento potentissimo nella comunicazione umana, attivano strutture mentali preesistenti, affinano il pensiero. Dal punto di vista etico le metafore sono di due tipi: le prime cambiano il mondo e la nostra prospettiva, le seconde ci manipolano e riducono il nostro senso critico.
Il giornalismo culturale può utilizzare nuove metafore per allargare il suo pubblico?
George Orwell suggeriva di domandarci se le metafore che utilizziamo sono abbastanza attuali, fresche, per consentirci di dire quello che vogliamo comunicare. Non esiste un algoritmo o un pc che ci forniranno la risposta giusta, ma servono molti tentativi. In tal senso le metafore sono fondamentali per allargare il pubblico del giornalismo culturale, provocare nuovo interesse e curiosità.
“Le metafore sono responsabili di trasformazioni culturali. Devono essere comprensibile ed emozionare producendo un effetto di appartenenza condiviso”
Qual è il rapporto tra metafore e discorso pubblico, nuovi linguaggi, comunicazione di massa?
C’è un rapporto molto stretto tra la qualità del discorso politico, le metafore utilizzate, e quindi la qualità delle nostre democrazie. Le metafore sono responsabili di trasformazioni culturali, condizionano la politica. Devono essere comprensibili ed emozionare producendo un effetto di appartenenza condiviso.
Spesso le metafore vengono associate alla cosiddetta cultura alta, strumenti retorici non sempre comprensibili. Eppure, nel discorso pubblico non possiamo farne a meno…
Non è sufficiente dire la verità da sola. Bisogna saperla dire molto bene, e le metafore servono anche a questo. Ma bisogna prestare attenzione: se la verità non la dici bene, gli altri non la sentiranno. E se gli altri non capiscono ciò che diciamo, è colpa nostra. Non è colpa chi ha scarsi strumenti culturali.
Cosa suggerisce ai comunicatori?
Serve talento, ma la tecnica, la consapevolezza e lo studio sono strumenti che mettono il talento nelle condizioni di esprimersi, e di usare correttamente le metafore.