I lavori, anche quelli tech, a sorpresa non premiano solo le facoltà scientifiche. Nel nostro longform Giovanna Cosenza ci accompagna in un viaggio tra ciò che cercano le aziende e quel capitale umano che esce dai percorsi accademici umanistici. Scardinando pregiudizi e luoghi comuni
Professoressa ordinaria in filosofia e teoria dei linguaggi all’Università di Bologna, consulente nell’area della comunicazione strategica e una delle prime blogger in Italia. Con questo post d’esordio e con altri post che comporranno la serie, Giovanna Cosenza scardina pregiudizi e luoghi comuni sulle facoltà umanistiche e ci aiuta a orientarci nel mondo del lavoro del domani. Un viaggio in quell’umanesimo che oggi riesce a interpretare al meglio anche tecnologia e digitale.
***
Secondo uno stereotipo sugli studi umanistici, molto diffuso in Italia da tanti anni, chi si laurea in questo ambito ha grosse difficoltà nel trovare un’occupazione stabile, coerente con ciò che ha studiato e ben retribuita. Cerchiamo di capire se questo vale ancora oggi.
I pregiudizi negativi
Non solo le lauree più tradizionali, come Lettere o Filosofia, ma anche quelle più recenti, come Scienze della comunicazione, sono spesso considerate utili non per il mercato del lavoro, ma solo per “farsi una cultura”, o perché troppo astratte e poco professionalizzanti, o perché rivolte più al passato che al futuro. Le lauree umanistiche sono bollate anche come “più facili” di quelle tecnico-scientifiche, per cui sarebbero scelte o dai giovani meno capaci, o da quelli che, avendo “poca voglia di studiare”, vedono l’università più come un passatempo che come un investimento strategico per il futuro. Negli ultimi vent’anni, poi, i pregiudizi negativi sono via via peggiorati, perché la diffusione crescente delle tecnologie informatiche ha alimentato, da un lato, la credenza che le lauree più utili a trovare lavoro siano quelle di area informatica, dall’altro l’idea che gli studi umanistici siano lontani dal digitale.
Stereotipi e statistiche
Come la psicologia sociale insegna, le credenze che formano gli stereotipi e i pregiudizi nascono sempre da alcuni dati reali e hanno in questi un fondamento di verità, che può essere più o meno ampio e solido, ma comunque c’è. Il problema è che, mentre la realtà cambia anche rapidamente, gli stereotipi spesso sopravvivono per decenni ai mutamenti reali, per cui il loro fondamento di verità diventa nel tempo sempre più esiguo e a volte persino sparisce. Per verificare quanto i pregiudizi sugli studi umanistici siano fondati, confrontiamoli con dati attendibili. Nelle ultime rilevazioni di Almalaurea, che dal 1994 elabora statistiche sul rapporto fra le lauree italiane e il mercato del lavoro, troviamo che, a un anno dalla laurea triennale della classe di Lettere, lavora il 54,7% di giovani, con una retribuzione netta media di 1.101 euro al mese, mentre a un anno da quella in Filosofia lavora il 54,8%, con uno stipendio netto mensile di 1404 euro. Vediamo infine Scienze della comunicazione, una laurea contro cui da oltre vent’anni l’accanimento a colpi di “scienze delle merendine” è stato esagerato: a un anno dal titolo lavora il 64,9% di loro e lo stipendio medio mensile è 1220 euro. Ben diversa è la percentuale di laureati in Scienze e tecnologie informatiche che lavorano dopo un anno: l’89,8%. Il pregiudizio pare dunque confermato. Ma il loro guadagno medio mensile è 1455 euro netti al mese: molto più vicino di quanto gli stereotipi facciano pensare a quello di chi si laurea in Filosofia (1404 euro). E le percentuali di Scienze della comunicazione, su cui i giudizi dispregiativi si sprecano, sono più vicine a Informatica di quanto molti pensino.
I numeri sono parziali e relativi
Ma leggiamo meglio. Precisa Almalaurea che i numeri sulle triennali sono calcolati “solo su quanti non si sono iscritti a un altro corso di laurea”, per cui bisogna “prestare attenzione nel caso in cui siano pochi i laureati che non si sono iscritti a un altro corso di laurea”. L’allerta è dunque massima, fino a vanificare l’indagine, per Lettere e Filosofia, perché le percentuali di chi non si iscrive a nessun altro corso sono troppo basse per essere rilevanti: per Lettere solo l’11,1% e per Filosofia il 20,4%. È diverso per Informatica, dove il 41,6% di neolaureati decide di non proseguire gli studi, e per Comunicazione, dove lo decide una percentuale maggiore, il 48,5%. Insomma, a rileggere bene i numeri, qualche pregiudizio è almeno ridimensionato, se non sfatato. Che le statistiche vadano prese con le molle fa parte del senso comune fin dalla celebre poesia di Trilussa, che parafrasata dice: “Se qualcuno mangia due polli e qualcun altro nessuno, per la statistica hanno mangiato un pollo a testa”. Ma poiché oggi fa parte del senso comune anche brandire i numeri come fossero una rappresentazione oggettiva del mondo, occorre ribadire la cautela con cui invece vanno letti, se non per insinuare che le statistiche possano essere usate per mentire, almeno per ricordare che anch’esse sono una rappresentazione approssimativa – e variamente interpretabile – della realtà, per cui vanno sempre integrate con una riflessione sul metodo che le ha prodotte e con altre indagini.
Le professioni del futuro
In questa direzione le possibili integrazioni sono molte. Menziono solo, per ora, la ricerca del 2020 “Jobs of The Future” di Hays, multinazionale specializzata nel reclutamento. La ricerca ha coinvolto in Italia 700 professionisti/e, chiedendo loro come il settore Sales & Marketing cambierà di qui al 2030. Secondo il campione, i profili più richiesti nei prossimi anni saranno Digital Analyst con il 91,6% delle preferenze, Digital Strategist (88,5%), Web Content Strategist (84,1%), Digital Content Manager (82,2%), Digital Customer Relationship Manager (82,7%), E-commerce Manager (81,6%).
E gli studi umanistici?
Anche se la ricerca riguardava solo il settore Sales & Marketing, è rilevante anche più in generale, perché dà conto di quanto la digitalizzazione sia da un lato pervasiva, dall’altro più vicina all’ambito umanistico di quanto si pensi. Infatti, anche se comprendere tutte le caratteristiche dei profili emersi merita un approfondimento a parte, è evidente la centralità di concetti come contenuto, analisi, strategia, relazione, gestione, che presuppongono competenze insegnate al meglio nei percorsi umanistici. Se a questa indagine aggiungiamo la continua ricerca, da parte delle aziende, in quasi qualunque settore e per quasi qualunque ruolo, delle cosiddette soft skills (creatività, capacità di adattamento, empatia, pensiero laterale, capacità di lavorare in gruppo, e così via), è chiaro fino a che punto oggi il mercato chieda competenze che si acquisiscono nelle lauree umanistiche, senza però cercarle dove si trovano. Come rimediare? Lo vedremo nelle prossime puntate.