Su 28 paesi, l’Italia è quart’ultima per parità digitale di genere in Europa. Lo studio Bocconi in tandem con Plan International Italia e Unicredit Foundation fotografa il divario di genere tra donne e uomini in tecnologia. Un’occasione persa per il talento femminile
La parità digitale di genere, questa sconosciuta. Secondo il punteggio Women in Digital, l’Italia è 25ma tra 28 paesi europei per parità di genere digitale, ben 12 posizioni sotto la media europea e davanti soltanto a Grecia, Romania e Bulgaria. Questo pessimo risultato è contenuto nello studio “Il divario digitale di genere”, che ha fotografato e analizzato la situazione del nostro paese, rilevando gli ostacoli alla promozione dell’accesso femminile alla tecnologia e alle discipline Stem (Scienza, tecnologia, ingegneria, matematica). Il report, che ha anche analizzato la percezione comune e i pregiudizi legati al rapporto tra donne e tecnologia, è stato realizzato da Università Bocconi e Plan International con il supporto di UniCredit Foundation, la fondazione d’impresa del Gruppo, impegnata a promuovere studi e ricerche in ambito economico finanziario.
“Il divario digitale di genere non è solo una violazione del diritto delle ragazze e delle donne all’informazione, alla partecipazione e all’empowerment economico attraverso le tecnologie, ma anche un’opportunità persa per sviluppare il potenziale delle donne e delle ragazze nel mondo del digitale. Il cambiamento può essere promosso solo affrontando le cause alla radice: abbattere le barriere di genere e gli stereotipi a partire dalla famiglia, alla scuola fino al mercato del lavoro”. Afferma Concha López, Ceo della ONG Plan International Italia, organizzazione che promuove i diritti dei bambini e l’uguaglianza di genere.
Le donne continuano ad avere un accesso limitato al settore digitale
Nonostante le nuove tecnologie siano uno dei più forti driver della nostra società, le donne continuano ad avere un accesso limitato al settore digitale in termini di educazione, carriera e opportunità, con conseguenze non solo in termini di parità di genere ma anche di produttività e perdita finanziaria, rileva lo studio. E poiché si stima che oltre il 60% delle professioni del futuro oggi non esistano ancora e che saranno fortemente legate alla tecnologia, il report lancia l’allarme sulla situazione occupazionale italiana relativa alle materie Stem. Nelle professioni legate al cloud computing sono uomini l’83% dei lavoratori, nell’ingegneria l’81% e nel data engeneering il 69%. Ciò benché sia gli uomini che, soprattutto, le donne percepiscano la tecnologia come un’opportunità, rileva la ricerca.
Le donne incontrano barriere innanzitutto in famiglia
Lo studio rivela che il 93% dei partecipanti ha imparato da solo a usare le tecnologie, questo dato è importante perché mostra che le donne partecipanti hanno le capacità per imparare ma incontrano barriere sociali all’uso delle tecnologie.
“Lo scollamento tra una percezione positiva nei confronti della tecnologia e la tendenza che porta le ragazze ad essere cinque volte meno propense dei ragazzi a intraprendere una carriera in ambito tecnologico inizia in famiglia, dove culturalmente è sottovalutata la capacità delle ragazze in ambito scientifico, e continua a scuola, che non svolge un’adeguata azione di promozione della cultura scientifica tra le donne. Dalla nostra analisi emerge infatti che sono proprio le ragazze ad associare più di frequente l’emozione della paura allo studio della matematica”, spiega Paola Profeta, direttrice dell’AXA Research Lab on Gender Equality dell’Università Bocconi, tra i curatori dello studio.
E anche quando le donne intraprendono la carriera nelle materie Stem, la disparità di genere tende a non diminuire, anzi: stando ai dati Almalaurea, infatti, a cinque anni dalla laurea solo il 45% delle donne ha una professione stabile, rispetto al 62% degli uomini.
Le competenze delle ragazze sono superiori
Tuttavia, tornando all’uso della tecnologia e guardando alle competenze digitali di base, emerge un dato interessante e controcorrente rispetto agli altri: considerando la Generazione Z, nella fascia di età 16-24 le competenze delle ragazze sono maggiori di quelle dei ragazzi. Anche se nell’immaginario collettivo italiano la tecnologia è ancora “cosa da ragazzi”, la realtà è diversa, per le nuove leve. Come si arriva allora al quel gender gap tecnologico che si rileva nelle fasce di età successive?
La differenza è data dal fatto che l’apprendimento della tecnologia è figlio del learning by doing, oltre che dello studio, sottolinea lo studio. Ciò significa che, al crescere dell’età, quando le donne diventano adulte e creano una famiglia, hanno meno tempo a disposizione degli uomini per sviluppare la propria conoscenza tecnologica. Il 74% delle donne italiane dichiara infatti di non condividere le faccende di casa con il proprio compagno.
Donne digitali al tempo del Covid
Su questo fronte, la pandemia da Covid-19 ha mostrato al mondo quanto contino l’accesso alla tecnologia e le competenze digitali. Ma, allo stesso tempo, ha mostrato che il lavoro a distanza può rappresentare un potente mezzo di empowerment femminile. I dati mostrano infatti che modalità di lavoro più flessibili consentono di ripartire meglio il carico di lavoro famigliare tra uomini e donne. Per annullare anche questo tipo di gender gap, conclude lo studio, è necessario lavorare su più fronti, partendo dalla famiglia e dalla scuola e arrivando a una seria politica di promozione dell’empowerment digitale femminile nelle aziende e nella società tutta.
“Siamo lieti di aver sostenuto questa ricerca realizzata da Plan International Italia e dall’Università Bocconi perché ne condividiamo gli obiettivi – ha dichiarato Roberta Marracino, Responsabile ESG Strategy & Impact Banking UniCredit – UniCredit è costantemente impegnata a promuovere e valorizzare il talento femminile, oltre a una più ampia cultura dell’inclusione, non solo verso le proprie persone attraverso programmi di crescita globali, ma anche supportando le imprese femminili e tutte le attività che offrono servizi alle famiglie. Perché una società più equa e inclusiva, che dà valore alle competenze e alla professionalità delle donne, può generare maggiore crescita e benessere per tutti”.