È tra i 50 finalisti al premio e fin da adolescente lavora su progetti per migliorare il mondo. La sua startup propone capi etnici per i figli di migranti. «Aiuto la mia comunità a non sentirsi sola. Perché porsi limiti?». Per Venti di Futuro la nuova storia di Eleonora Chioda
È una dei 50 finalisti del Global Student Prize 2023, un premio internazionale per studenti straordinari. Si chiama Maty Gning ed è un’italiana nata in Senegal. È tra i finalisti grazie alla sua startup che propone capi etnici per i figli di migranti, rivisti in chiave occidentale, e l’hijab. «Aiuto la mia comunità a non sentirsi sola». In palio ci sono 100mila dollari che saranno destinati a chi ha un impatto reale sulla vita dei coetanei e sulla società. Quella di Maty, che oggi ha 20 anni, è la storia di una ragazza che ha vissuto esperienze che l’hanno segnata. È arrivata in Italia a 4 anni per ricongiungersi con il padre. Siamo a Bergamo, nel quartiere Celadina. Qui cresce, frequenta le scuole e si iscrive alla prima liceo scientifico. Quell’anno viene rimandata con due materie. Matematica e fisica. A settembre viene bocciata. «Ho guardato per anni a quella bocciatura come a una sconfitta. Invece è stata la molla che mi ha permesso di prendere in mano la mia vita». Cambia istituto e la sua vita arriva a una svolta. «Mi sono iscritta al Liceo delle Scienze Umane Maria Grazia Mamoli di Bergamo. Qui ho trovato insegnanti fantastici perché mi hanno aiutato a studiare».
A scuola di impresa
Durante l’anno scolastico 2021/22 partecipa con la sua classe al programma di educazione imprenditoriale per gli studenti dai 16 ai 19 anni, “Impresa in Azione”, promosso da Junior Achievement Italia. Gli studenti creano mini-imprese a scopo formativo e curano tutto: dal concept di un’idea al lancio sul mercato. Maty crea, con la sua compagna di classe pakistana Navera Naveed, Escape room- l’arte della fuga, una piattaforma per visitare i musei virtualmente e vince il Premio “Girls in Stem”, promosso da Coca Cola HBC Italia e volto a premiare l’intraprendenza delle ragazze.
In seguito a questo percorso, le due amiche frequentano la Summer School della Start Cup dell’Università di Bergamo. È qui che nasce l’idea imprenditoriale ValeU. Il brand si rivolge ai giovani, in particolare migranti e figli di migranti. Grazie a questa competizione le ragazze vincono il secondo premio (5mila euro) e il primo premio per impatto sociale (2500 euro). «Abbiamo registrato la nostra impresa e stiamo lavorando sull’e-commerce che progettiamo di aprire a settembre. Le difficoltà sono infinite». Intanto Maty si è iscritta all’Università di Torino, facoltà Business and Management. Un professore le consiglia di candidarsi al Global Student Prize. Creato da Chegg.org in collaborazione con la Varkey Foundation, il premio è gemello del Global Teacher Prize da 1 milione di dollari. È stato istituito per creare una nuova potente piattaforma che faccia luce sugli sforzi di studenti di tutto il mondo che stanno rimodellando in meglio la società e l’economia.
Ciascuno può cambiare il mondo
«Lo scorso anno il premio è stato vinto da Igor Klymenko, uno studente ucraino di 17enne che aveva costruito il drone per il rilevamento delle mine. Io non ho competenze tech ma cerco di avere un impatto sul mio mondo. Sto cercando di dare il mio tutto perché i giovani africani non rinneghino le loro origini». Secondo la giovane imprenditrice non è facile recuperare gli abiti in Italia. «E il rischio è che noi figli di migranti perdiamo la nostra identità, dimentichiamo le origini e la nostra cultura che si esprime anche con l’abbigliamento. Certo, ho mille dubbi. Tante volte mi chiedo: quello che sto facendo è davvero necessario? Voglio provare a fare la differenza. Non voglio essere un treno di passaggio».
Ma come è nata questa idea? «A 13 anni sono tornata in Senegal per la prima volta e ho notato la profonda differenza tra ricchi e poveri. Allora mi aveva colpito moltissimo la condizione dei bambini abbandonati in strada o in orfanatrofio, dove comunque devono procurarsi tutto. A 15 anni sono stata bocciata e ho capito che è importante non dare nulla per scontato». Quel confronto con la realtà è stato utile a Maty Gning anche per ridimensionare l’accaduto e non smettere di impegnarsi. «A 18 anni sono ritornata di nuovo in Senegal e mi sono accorta che, in quanto ragazza privilegiata, potevo apportare un cambiamento. Anche se piccolo. Amo il Senegal e sono fiera di essere africana. Spesso i miei coetanei a scuola mi dicono: cambiare il mondo è un’utopia. Da sola non puoi niente. Serve l’aiuto di qualcuno. Invece non è cosi. Io rispondo: quel qualcuno potete essere voi. Tutti possiamo avere delle idee e agire. Perché dobbiamo porci dei limiti e non sfruttare le opportunità che abbiamo? Non tornerò in Senegal. Ma questo non vuol dire che io non possa fare la mia parte restando in Italia».