Mi trovavo in America quando erano usciti in sala i film Oppenheimer (che si è appena aggiudicato sette Oscar su un totale di 13 nomination) e Barbie. Per il primo avevo ricevuto l’invito all’anteprima, quindi l’avevo visto prima di tutti e avevo un mio solido giudizio (avevo appena finito il mio viaggio a Los Alamos, Chicago e Princeton, per fare le ricerche per scrivere il mio nuovo libro proprio su quell’argomento), per il secondo no, l’ho visto dopo tutti. Questo delay nella visione di Barbie ha fatto sí che fosse preceduta da molti commenti di donne entusiaste e di uomini arrabbiati (americani, come ho detto mi trovavo in America). Il giudizio dei detrattori si puó riassumere in “un film di propaganda femminista anti-uomini”.
Da donna di scienza, prima di vedere entrambi i film e con l’ingente battage pubblicitario che li ha preceduti, mi ero fatta una mia idea e non so perché mi aspettavo di entrare e uscire dal cinema disprezzando Barbie e ammirando Oppenheimer. Dopo la visione di entrambi la mia idea è stata totalmente capovolta. Barbie mi ha entusiasmato e quei commenti americani che avevano definito “anti-uomini” il capolavoro di Greta Gerwig mi sono sembrati molto comici. Quello che invece ho provato dalla visione di Oppenheimer è che ancora una volta – e in maniera plateale – era stato fatto un film totalmente anti-donne.
Quelle “fette di scienza” in Oppenheimer
Il fatto veramente eclatante è che Oppenheimer non è diverso dalla maggior parte dei film, dei libri, dei racconti che sono basati su ricostruzioni storiche di fette di scienza (di fisica, in particolare). Perché la maggior parte dei film, dei libri, degli scienziati, dei fisici che raccontano la fisica quantistica come anche il nucleare, le bombe atomiche e addirittura la Seconda Guerra Mondiale in generale, sono contro le donne e sono fatti da uomini che raccontano esclusivamente le gesta di altri uomini.
Siamo abituati, siamo desensibilizzati e quindi nessuno ha detto quello che sto dicendo io, perché per decenni abbiamo visto solo donne al cinema che esistono esclusivamente per dare agli importanti protagonisti maschili qualcosa con cui svagarsi. Dopo decenni di film realizzati così ne arriva un altro così quindi nessuno se ne accorge. Anzi, ottiene sette Oscar. Ma mentre Barbie ha oscurato e messo da parte solo personaggi maschili di gomma, Ken su tutti, un film anti-donne come Oppenheimer ha messo da parte e cancellato completamente donne molto reali, in carne e ossa, che hanno vissuto vite intere e hanno dato un contributo significativo alla fisica e al nostro mondo.
Chi era Leona Woods, dimenticata dal film
Quel povero Ken messo da parte dal film su Barbie non è Leona Woods, che a 23 anni aveva ottenuto il dottorato in fisica ed è stata assunta a lavorare al progetto Manhattan, perché ritenuta un asso nella rilevazione delle particelle nel vuoto con il trifluoruro di boro. Ken, a differenza di Leona, non era presente alla prima reazione nucleare a catena e Ken non fece quello che fece Leona, ovvero passare anni interi della sua vita sulla costruzione della pila atomica, divisa tra Hanford, Chicago, l’Argonna Foresta e Los Alamos.
Leona Woods non compare in Oppenheimer ma il film, come tante pellicole anti-donne, riesce ad assumere una tale aria di autorità a farci supporre che la sua sorprendente mancanza di rappresentanza femminile sia dovuta all’ammirevole impegno per l’accuratezza storica.
A Leona Woods ho dedicato il mio nuovo libro, La donna della bomba atomica, edito da Mondadori. Noi dobbiamo e dovremmo pretendere che un film del genere rappresenti in modo accurato ed equo le scienziate che erano proprio lì, insieme a Oppenheimer e ai suoi uomini, a garantire il successo del Progetto Manhattan.
Nel film la prima donna parla dopo 35 minuti dall’inizio della visione ed è una cameriera. Le altre che compaiono sono tutte mogli, amanti o in secondo piano e sfocate dietro agli uomini. Forse sarebbe stato appropriato se gli spettatori avessero lasciato la sala del cinema sapendo che Kitty Oppenheimer non si limitava a bere fino a ubriacarsi mentre si prendeva cura dei bambini ma era anche una botanica qualificata che lavorava a Los Alamos per prelevare il sangue e testare i livelli di esposizione alle radiazioni dei suoi colleghi.
A tutte queste donne di scienza dimenticate o ridotte dalla sceneggiatura a meri comprimari dedico il mio libro, appena uscito in tutte le librerie per Mondadori – e lo trovate anche su Audible letto da me. Da questo testo ho tratto anche uno spettacolo teatrale, regia Alessio Tagliento, musiche Francesco Baccini, distribuzione Imarts: per tutte le date del tour c’è il mio sito: non vedo l’ora ascoltiate questa mia nuova storia!
Più di 600 donne hanno lavorato al Progetto Manhattan solo a Los Alamos, ma l’unica scienziata citata da Nolan è Lilli Hornig (per dieci secondi totali, sulle tre ore di film) che parla solo brevemente, poi viene zittita e infine serve solo come piccolo elemento di opposizione all’uso della bomba-. In una scena durata tre secondi, il regista ha pure sbagliato: l’ha messa con Fermi vicino alla pila e le ha fatto fare le cose che in realtà faceva Leona Woods! Quelle donne erano fisiche, ingegnere, chimiche, matematiche. Esistevano. Ma come sempre accade, molti dei loro successi sono stati dimenticati e rimangono non riconosciuti, sia dalla storia sia dal cinema. Anche per il bisogno di riequilibrare la realtà esistono i miei libri, per questo vi invito a vedere lo spettacolo che porto in teatro.