«Presento la mia collezione di abiti il quinto giorno del quinto mese dell’anno: gli lasceremo questo numero e il 5 gli porterà fortuna». È con queste parole che Gabrielle Chanel, meglio conosciuta come Coco, lancia il suo iconico profumo Chanel n.5. Cinque come il numero preferito di Coco. Cinque come il numero del campione che Coco scelse tra i 10 proposti da Ernest Beaux, il naso degli zar.
È la tarda estate del 1920, Coco Chanel è in vacanza sulla Costa Azzurra con il granduca Dimitrij Pavlovic Romanov, cugino dell’ultimo zar. Durante questa gita il granduca le presenta Ernest Beaux, profumiere di origine russa, un tempo a capo del fornitore di corte Alphonse Rallet & Co. a Mosca. Questo incontro non è forse dovuto solo al caso. Coco cerca da tempo di realizzare un profumo e ha bisogno di un esperto riconosciuto e apprezzato nel suo campo per poterlo realizzare. Il granduca ne conosce uno e organizza un incontro a Grasse. A causa della rivoluzione e della guerra civile, Beaux si era rifugiato in Francia, assunto nella filiale del produttore di profumi francese Chiris.
A fine incontro Coco commissiona a Beaux un profumo diverso dagli altri, che non fosse monofloreale come era di tendenza all’epoca. «Non voglio nessun olezzo di rose o mughetto», aveva precisato. A Coco non interessava se il suo profumo piacesse o meno. «Voglio un profumo che sappia di donna», una fragranza che avesse l’odore della pelle delle mani di sua madre, lavandaia della Provenza. Beaux si mise al lavoro.
Beaux nasce a Mosca da padre francese, in una casa situata nei pressi dell’azienda Rallet specializzata in acqua profumata, eau de cologne, sapone, rossetto e cipria per il mercato del lusso. Suo fratello, a capo della Rallet, lo recluta. Finì prima nel reparto saponi e poi in quello dei profumi dove ottenne il suo primo successo nel 1912 con il lancio del Bouquet de Napoléon. Una fragranza floreale che commemorava il centenario della battaglia di Borodino o della Moscova. Un successo inaspettato tra i clienti russi se pensiamo che il nome del profumo rievoca quella sanguinosa sconfitta della Russia in battaglia, in cui persero la vita oltre 50.000 uomini.
L’anno successivo, per celebrare il terzo centenario della dinastia Romanov, Beaux ideò il Bouquet de Catherine in onore dell’imperatrice Caterina II. Un profumo innovativo per l’epoca perché utilizzava le aldeidi, composti organici che hanno la capacità di rendere più duratura una fragranza. Le aldeidi erano state isolate dal chimico tedesco, barone Justus von Liebig, nel 1835. Nessuno seppe fare buon uso di questa scoperta finché due profumieri, tra cui il visionario Robert Bienaimé, chimico di professione, non li utilizzò nella realizzazione del profumo Quelques Fleurs per la casa Houbigant, a cui Beaux si ispirò. Beaux condusse alcuni esperimenti di dosaggio, impiegando un complesso di nuove aldeidi, che rese Bouquet de Catherine molto più audace dei profumi dell’epoca.
A causa però di un time to market sbagliato, la nuova fragranza non riuscì a ottenere il successo commerciale sperato. Il sentimento anti-tedesco in Russia, a quel tempo, era tale che tutto ciò che avesse origini tedesche, come Caterina la Grande, suscitava rabbia tra i russi. A nulla servì ribattezzarlò Le N° 1 de Rallet. Siamo nel 1914, anno di inizio della prima guerra mondiale. Di questo insuccesso, Beaux non farà riferimento alcuno nella sua biografia.
Come tutti quelli che erano fuggiti dalla Russia, a seguito della rivoluzione d’ottobre, anche Beaux aveva portato con sé gioielli, monete d’oro ma anche la ricetta di quel profumo che conteneva una nuova e audace molecola che rendeva la fragranza all’avanguardia rispetto ai canoni della profumeria moderna. È nel 1920, 6 anni dopo, che gli ingredienti di quella ricetta tornarono utili a Beaux. Consapevole di avere in mano una fragranza che sapeva di capolavoro. E non ci avrebbe rinunciato.
Lo spirito dei ruggenti anni Venti racchiuso in un flacone
Dopo 2 mesi dal loro primo incontro a Grasse, patria del profumo dove si coltivano piante da profumo da oltre 3 secoli, Beaux rincontrò Coco a Parigi in Rue Cambon 31. Si presentò da Chanel con 10 boccette. Su un tavolo ordinò le dieci fialette di vetro, numerate da 1 a 5 e da 20 a 24. La numerazione era interrotta perché i campioni provenivano da due serie diverse ma complementari della nuova fragranza.
Un errore di miscelazione da parte di un assistente di laboratorio, che confuse una diluizione che conteneva il 10% di aldeidi con la sostanza pura, portarono a un risultato inatteso contenuto nella fiala numero 5. Tilar J. Mazzeo, storica della cultura e scrittrice, descrive quello che accade quel giorno, in quella stanza. «Coco Chanel annusava e valutava, attorniata da file di bilancini da profumi, fiale di vetro temprato e bottigliette farmaceutiche. Lentamente, avvicinò ciascun campione al naso, e in tutta la stanza non si sentiva altro suono che il suo calmo inspirare ed espirare. Il volto non lasciava trapelare nulla».
Alla fine sorrise e disse, senza alcuna esitazione, «numero 5». «Sì,» aggiunse poi «è esattamente ciò che stavo aspettando. Scelse la fiala da cui sprigionava un sentore simile a quello del sapone. Non ebbe il minimo dubbio nemmeno sul nome. «Presento la mia collezione il 5 di maggio, il quinto mese dell’anno» raccontò Ernest anni dopo durante un discorso pubblico, «e quindi lasceremo a questo campione il nome che ha già». Non importa se Chanel presentasse le sue collezioni il 5 febbraio e il 5 di agosto di ogni anno. La memoria a volte inganna. «Il numero 5 non era solo una preferenza, ma un richiamo simbolico che racchiudeva la sua visione e la sua personalità», afferma Maurizio Predieri, Ceo di Ephèmera ed esperto di identità olfattive.
Siamo la storia che raccontiamo
Tutti, inclusi i profumieri, sono un po’ romanzieri. La storia vuole che sia stata Chanel a volere realizzare un profumo. Ma approfondendo si scopre che a persuaderla nel lanciare il profumo sia stato il direttore di Chiris, Paul Pléneau, che scrive: «Lei era del tutto contraria all’idea, ma accettò di visitare la fabbrica Rallet». Se non fu sua l’idea certamente bisogna riconoscerle la capacità di cambiare opinione.
Alla domanda su come sia riuscito a creare Chanel N° 5, Beaux rispose «Ideai questo profumo nel 1920, quando tornai dalla guerra». Dal 1914 al 1919 rimase infatti in servizio militare. «Avevo trascorso parte del servizio militare nei Paesi dell’Europa settentrionale, al di là del Circolo polare, nella stagione del sole di mezzanotte, quando laghi e fiumi emanano una particolare freschezza. Conservai il ricordo di quell’odore caratteristico e, non senza sforzi, riuscii a riprodurlo benché le prime aldeidi fossero instabili». Secondo questa versione della storia, Beaux voleva ricreare la fragranza che aveva inalato mentre attraversava la penisola di Kola, al di là del Circolo polare, laddove l’aria e il ghiaccio sono più intensi e odorosi di quelli di altre parti del mondo.
Un’altra storia, più scientifica, racconta che Beaux cercò di adattare la formula del Bouquet de Catherine alla richiesta di Coco. Nella primavera del 2007, un team di ricerca guidato dal Dott. Philip Kraft, analizzò e ricostruì la formula di quel profumo. I risultati di questo studio sono stati pubblicati in From Rallet No.1 to Chanel No.5 versus Mademoiselle Chanel No.1 e rivelarono la relazione stretta tra le tre fragranze. Beaux non utilizzò l’estrema freschezza dell’aria polare ma le aldeidi contenute nel Bouquet préferé de l’Impératrice già nel 1913. Perciò la supposizione più verosimile è che Chanel N° 5 sia una rivisitazione modificata del suo primo flop. «La profumeria è una scienza e un’arte», aggiunge Predieri. «La composizione di un profumo è viva, ed è naturale per noi esplorare nuove possibilità a partire da un’idea di base. Modificando i dosaggi, bilanciando diversamente le note o aggiungendo piccole variazioni. È un po’ come riarrangiare una melodia: lo spartito è lo stesso, ma il risultato cambia a seconda del tocco dell’artista».
A smentire inoltre la teoria dell’errore di miscelazione commesso dall’assistente è il fatto che l’accordo di rosa e gelsomino era in equilibrio perfetto con il gruppo aldeidico, e dunque rappresentava il risultato di studi ed esperimenti. Un prodotto nato per prove ed errori e non dal caso fortuito. È molto probabile infatti che lo stesso Beaux, nei suoi esperimenti, avesse usato un dosaggio molto alto di aldeide a cui aggiunse una grande quantità di eccellente gelsomino che aveva reperito a Grasse, per ottenere una fragranza opulenta con un prezzo abbordabile.
«Un profumiere non si ferma a uno o due campioni, ma sperimenta su molteplici varianti- confida Predieri- poiché ogni piccolo cambiamento nella composizione può alterare profondamente il risultato finale. Bisogna scartare molte opzioni per raggiungere l’equilibrio perfetto, in cui ogni nota si esprime senza sopraffare le altre. Su 10 scelte, 9 possono essere scartate, ma quella che rimane diventa un capolavoro. Solo attraverso innumerevoli tentativi che si arriva a creare una fragranza destinata a lasciare un segno».
Il profumo è una tassa imposta sulla vanità
Grazie al suo approccio minimalista e fedele al suo motto «sempre togliere, mai aggiungere», Coco adotta una grafia sobria e sceglie una non boccetta innovativa per l’epoca che riprendeva quelle da farmacia trasparenti.
Nel libro Coco Chanel, l’autore Claude Delay afferma che «Con un solo gesto Chanel elimina le orribili bottiglie di Lalique, quelle con le nappe, e inventa un flacone semplice, con un monogramma nero e netto, al servizio del senso più esclusivo al mondo, l’olfatto».
Si dice che per testare la fragranza, Coco scelse di non organizzare, come era da tradizione all’epoca, eventi o party di lancio, e non immaginò nessun tipo di pubblicità, piuttosto studiò una strategia di marketing alternativa. Un giorno diede appuntamento a Beaux in un ristorante di Cannes e quando, al tavolo, spruzzò nell’aria un po’ di Chanel n.5, le donne presenti in sala fecero la fila per sapere da dove arrivasse quella fragranza. Le prime 100 boccette di profumo le regalò ad amiche e clienti altolocate. E sparse la voce che quel prodotto unico nel suo genere fosse destinato solo a chi lo avrebbe capito. Affida il proprio successo esclusivamente al passaparola. Quando mise in vendita il profumo, le scorte terminarono. Il negozio di Rue Cambon, l’unico nel quale era possibile acquistare il profumo, fu preso d’assalto. Un successo dovuto anche alla capacità del prodotto di «catturare perfettamente lo spirito dei ruggenti anni Venti» dando vita a un nuovo modello nell’arte millenaria della profumeria.
Soprannominato le monstre (il mostro) dagli esperti del settore, il N°5 è stato esposto, nel 1959, al Museum of Modern Art di New York. Andy Warhol dedicò le sue famose 9 serigrafie al profumo, cementando il suo status di icona della cultura pop. Si stima che, ad oggi, siano stati venduti oltre 80 milioni di flaconi. La sua fortuna? Secondo M. D. Leliévre, giornalista e autrice, è dovuta all’opera di 3 geni: «Quello del naso, E. Beaux, che l’ha immaginato e concepito. Quello di Coco Chanel, che l’ha scelto e lanciato. Quello di Pierre Wertheimer, azionista e fondatore di Parfumes Chanel, che l’ha finanziato e abilmente commercializzato in America». Il successo è sempre relazionale e non il frutto di un unico talento.
Le 3 regole d’oro
Comprendi lo spirito del tempo. Innovare significa saper cogliere l’anima di un’epoca, le sue aspirazioni, le sue paure e le sue opportunità ancora prima che queste diventino mode ovvero patrimonio comune.
Segui il tuo intuito. Siamo ossessionati dal bisogno di assecondare i gusti del momento, modificando le nostre idee per appiattirle a quelle del consumatore. Il successo di molti prodotti è dovuto alla scelta, fatta in origine, di non lasciarsi influenzare da mode o pendoli. O dall’originalità a ogni costo.
Trova i giusti alleati. Il successo non è solo una questione di talento individuale ma di opportunità straordinarie e di incontri con altre menti brillanti. Il successo è il frutto di una rete complessa di eventi, spesso fortuiti, dove la determinazione incontra l’opportunità.