Miles Davis è considerato uno dei musicisti più originali e innovatori della musica jazz. Ed è senza dubbio uno dei più grandi musicisti del XX secolo. Nonostante un periodo difficile durato 5 anni nel quale Davis partecipò a tre sessioni di registrazione pressoché fallimentari che ne offuscarono, a parere altrui, per un breve istante il genio.
Il genio di Miles Davis
Quando decise di cambiare genere, fondendo per la prima volta alla perfezione il jazz con il rock e ponendo le basi della musica fusion molti critici, afferma Miles Davis, «mi stroncarono perché non capivano cosa stessi facendo. Ma i critici non hanno mai avuto molta importanza per me, e continuai per la mia strada, cercando di crescere come musicista».
A dimostrazione che a volte anche gli esperti del settore possono prendere delle cantonate. Il pianista Herbie Hancock, che ha composto alcuni dei dischi jazz più venduti di tutti i tempi, ebbe la fortuna di far parte del secondo grande quintetto di Miles Davis. In un’intervista Hancok racconta che durante un concerto in Germania negli anni ’60, commise un errore.
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«Era una notte calda a Stoccarda e la musica era tesa, potente, innovativa e divertente. (…) ero emozionato e nervoso all’idea di suonare con il maestro del jazz», ricorda Hancok. Mentre il gruppo suonava una canzone scritta da Davis, So What, nel bel mezzo di un incredibile assolo del maestro, Hancock sbagliò l’accordo. La nota era chiaramente sbagliata anche per un orecchio poco raffinato.
«Miles si è fermato per un attimo – ricorda il pianista – e poi ha ripreso a suonare delle note che correggevano la mia nota stonata. Era stato capace di trasformare qualcosa di sbagliato in qualcosa di giusto».
«Non temere gli errori, non ce ne sono»
Miles si è fermato per 2 soli secondi. Avrebbe potuto interrompere la musica, enfatizzando l’errore e il suo significato negativo perdendo di concentrazione. Invece nei 7 secondi successivi ha accolto la realtà per quella che era e si è adattato ad essa. Non considerando la nota stonata un errore ma un accadimento privo di ulteriori connotazioni. Perché, afferma Davis, «quando sbagli una nota, è la nota successiva che determina se andava bene oppure no».
Hancock era dispiaciuto per l’accaduto e turbato al punto da non riuscire a suonare per circa un minuto, paralizzato dalle sue stesse idee su cosa fosse giusto e cosa sbagliato. Ma Davis lo conforterà «non temere gli errori, non ce ne sono». Per Miles Davis non esistevano errori, ma eventi inaspettati che mettono alla prova le proprie preconcette nozioni su ciò che dovrebbe accadere. Spostando il focus dalla presunta colpa di chi ha commesso l’errore alla responsabilità di trovare qualcosa che andasse bene.
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Questi eventi possono diventare straordinarie opportunità nel momento in cui si sceglie di accogliere, accettare e abbracciare le sfide che quotidianamente si presentano. Anche se non ti interessa il jazz, questa storia è un esempio di leadership e un approccio estremamente utile nel business e nella vita.
Happy mistake
Anche il jazzista italiano più celebre nel mondo, Stefano Bollani, è convinto che un errore sia uno spunto per andare oltre. «Nel suonare il jazz vien fuori a volte una nota che non volevi, una nota sbagliata. Non devi cercare di correggerla. Al contrario, la devi ripetere e sviluppare. Perché l’esperienza insegna che spesso dall’intoppo, dall’imprevisto, dall’errore nascono le cose più belle».
Confrontarsi con la paura degli errori è inevitabile: mal intonare una nota o incappare in una nota sbagliata a causa di un dito che non si trova sul tasto giusto al momento giusto sono possibilità contemplate da ogni musicista. Se però un musicista si facesse distrarre dal pensiero di aver commesso un errore, perderebbe di concentrazione e questo passo falso lo farebbe precipitare. Mentre un errore apre all’inesplorato e alla creatività.
Brian Eno chiama Happy mistake – errori felici – quelle virianti impreviste di un brano che suggeriscono nuovi modi di suonare e arrangiamenti originali. Secondo Eno la tentazione che abbiamo è sempre di levigare ogni singolo dettaglio, sostituendo una nota meno precisa con una perfetta. Ma l’effetto che si produce è quello di peggiorare la musica.
«Senza accorgertene tu stai gradualmente omologando l’intera canzone anche se ogni singolo ritmo, o ogni singola parte di chitarra, ti sembrerà perfetta». Un errore può anche passare inosservato se la performance complessiva è stata di grande intensità. Se però l’interpretazione è stata eseguita rigidamente per paura di sbagliare, essa risulterà molto più “sbagliata” di una non impeccabile ma più naturale.
Ogni errore è un’opportunità
L’improvvisazione teatrale, ancora più del jazz, si basa sul principio che non ci sono errori e che niente è per principio sbagliato. Le eventuali imprecisioni o modificazioni nel corso dell’esecuzione sono parte integrante della storia. L’errore è quindi qualcosa che accade mentre si sta componendo. Evitando di etichettare come errore quello che sta accadendo possiamo ridefinire la parola stessa. E anche i momenti di indecisione, i silenzi, le reazioni agli stimoli saranno tutti parti integranti del testo finale.
Avere una mente dinamica e antifragile, per usare le parole di Nassim Taleb, significa quindi essere duttili per l’inaspettato, flessibili per gli errori che possono presentarsi, come la musica sbagliata in arrivo. Significa non solo avere la capacità di problem solving, di risolvere gli errori quando si presentano, ma anche di problem finder, la capacità di andare alla ricerca dell’errore prima che si palesi. Risolvere un problema può essere divertente ma anche meccanico e se abbiamo già delle soluzioni in mente, applicheremo una di queste al nostro problema.
Usare la curiosità, la creatività, l’immaginazione, pensare in modo non convenzionale e sistemico possono essere ottime qualità per cercare problemi laddove gli altri non percepiscono nulla. Il consiglio è dunque quello di rendere l’inciampo parte della danza, l’ingrediente sbagliato parte della ricetta, la nota stonata parte della musica, un errore di battitura parte della campagna di marketing. Senza perdere tempo a coprire i passi falsi, a nascondere la cantonata, a mascherare l’imprecisione. Continuando l’azione, senza permettere alla paura o alla vergogna di ostacolare il cammino.
Le 3 regole d’oro
Le 3 regole le possiamo desumere dalle stesse parole di Miles Davis. La prima regola è «non temere gli errori». Accettarli senza temerli considerandoli, come Davis, una sfida giocosa al suo intelletto e alla sua musica.
La seconda regola è non giudicare «qualcosa che è successo». Il giudizio aumenta il bagaglio emotivo e impedisce di vedere lucidamente e creativamente le possibili vie d’uscita o le soluzioni originali ai problemi, ad esempio, del nostro modello di business.
La terza regola è reagire perché «la nota successiva che suoni determina se è buona o cattiva». Possiamo scegliere come reagire agli eventi inaspettati. Ciò che si sceglie di fare dopo un errore determinerà se l’errore rimarrà tale o diventerà una nuova e diversa opportunità.
Come leader, come membri di un team, come Ceo di una startup abbiamo sempre una scelta quando vengono commessi errori. Si può scegliere di agire con rabbia, delusione, imbarazzo, frustrazione di fronte agli errori altrui. Oppure abbiamo la facoltà di comprendere e adattare le nostre azioni per rendere l’errore un vantaggio per noi e per gli altri. Ci vuole un leader speciale per cercare possibilità e opportunità negli errori. Chiediti se sei quel leader.
E voi che lezione avete appreso? Se volete raccontarmi la vostra storia di fallimenti e lezioni apprese, scrivetemi qui: redazione -chiocciola – startupitalia.eu