Mariana Mazzucato ne ha dato un’ottima definizione nel suo Lo Stato innovatore. Ricordarla non fa male oggi che nel venture si sta muovendo qualcosa in Italia.
Ne sentiamo parlare spesso. E’ la leva che fa crescere le startup. Ma cos’è il venture capital? Come lo definiamo? In rete si possono trovare centinaia di definizioni possibili. Quesi tutte in inglese (forse tutte, quelle trovate in italiano non so se possono definite tali). Ma c’è un libro molto noto e spesso citato che lo descrive in maniera precisa e puntuale. Per noi è la migliore definizione mai letta di venture capital. E’ quella che Mariana Mazzucato, tra i maggiori studiosi dell’innovazione al mondo e docente di economia allo Science and Technology Policy Research dell’Università di Sussex, ha dato nel suo «Lo Stato innovatore», edito da Laterza nel 2013.
a cura di Arcangelo Rociola
Cos’è il venture capital
«Il venture capital è un tipo di private equity che si concentra su aziende agli inizi dell’attività e con elevate potenzialità di crescita. Il finanziamento di regola arriva nella fase di avviamento, oppure, in una fase successiva, come sostegno alla crescita: l’obiettivo dei fondi di venture capital è ricavare un rendimento elevato collocando la società in borsa o attraverso una fusione o acquisizione da un’altra società. Il venture capital colma un vuoto di finanziamenti per le nuove imprese, che spesso fanno fatica ad ottenere credito dalle istituzioni finanziarie tradizionali come le banche e devono affidarsi ad altri tipi di finanziatori: i cosiddetti business angels (categoria che include soprattutto parenti e amici), i venture capitals, il private equity. Queste fonti di finanziamento alternative sono importanti soprattutto per le nuove imprese della conoscenza, che cercano di entrare in settori già esistenti, o per le nuove imprese che cercano di dar vita ad un nuovo settore».
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La valle della morte delle startup
«Il capitale di rischio scarseggia nella fase di avviamento di un’azienda perché il grado di rischio è molto più elevato, essendo del tutto incerte le potenzialità di una nuova idea e le sue condizioni tecnologiche e di domanda. Nelle fasi successive, il rischio cala drasticamente. Di solito il venture capital dovrebbe entrare in scena nella fase del processo di invenzione-innovazione. In realtà, la situazione è molto meno lineare e gli anelli di retroazione si sprecano. Molte aziende muoiono durante la transizione tra una nuova scoperta scientifica o ingegneristica e la sua trasformazione in applicazione commerciale: il passaggio tra la seconda e la terza fase è spesso soprannominato “la valle della morte”».
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Cosa fa guadagnare il fondo e il meccanismo delle exit
«I fondi di venture capital di solito puntano su aree con forti potenzialità di crescita, bassa complessità tecnologica e bassa intensità di capitale, poiché quest’ultimo fattore fa salire sensibilmente i costi. Considerando l’elevato numero di insuccessi nelle fasi ad alto rischio della crescita di un’azienda, i fondi di venture capital tendono ad avere un portafoglio di investimenti dove solo le “code” (gli estremi) fruttano rendimenti elevati: una distribuzione molto simmetrica. Anche se la maggior parte dei finanziamenti di venture capital di solito è strutturata su un arco temporale di dieci anni, la tendenza è di uscire dall’investimento molto prima, per via degli onorari di gestione e delle gratifiche incassate in caso di rendimenti elevati. Queste “uscite anticipate” sono viste con favore perché consentono di crearsi un curriculum vincente e creare altri fondi facendo leva su quei successi. Tutto ciò crea una situazione in cui i fondi di venture capital preferiscono investire su progetti in cui si prevede di arrivare alla fase di commercializzazione compreso tra i 3 e i 5 anni».