Si stima che nel 2025 il mercato mondiale della didattica digitale varrà 325 miliardi di dollari, quando ne valeva 107 nel 2015, ossia +203% in cinque anni
Il dibattito sulla didattica a distanza è sempre più acceso. Può apparire come una tematica piuttosto nuova, quando in realtà si trattava di un trend decisamente rilevante anche prima della pandemia. L’ente di ricerca EducationData.org ha stimato che già nel 2019 oltre 19 milioni di studenti in tutto il mondo hanno frequentato corsi online di livello universitario e post-universitario. I dati del “National Center for Education Statistics” riportano che – sempre nel 2019 – il 35% degli studenti universitari americani hanno sperimentato una qualche forma di didattica a distanza.
Tuttavia, l’accelerazione imposta dall’emergenza sanitaria è a dir poco esponenziale: secondo il World Economic Forum ci sono attualmente 1.2 miliardi di studenti in 186 paesi che hanno dovuto sospendere le lezioni in presenza. Si stima che nel 2025 il mercato mondiale della didattica digitale varrà 325 miliardi di dollari (fonte: Research and Markets, 2020), quando ne valeva 107 nel 2015 (fonte: Forbes, 2016), ossia +203% in cinque anni.
Evidentemente, anche l’Italia si trova obbligata a correre/rincorrere su questi temi. La popolarità dell’argomento la si avverte anche nell’ecosistema dell’innovazione. Ad esempio, la startup WeSchool – che offre soluzioni per la trasformazione digitale dell’educazione scolastica – ha raggiunto i quasi due milioni di utenti e ha da poco raccolto un consistente round di investimento da 6.4 milioni.
Tuttavia, questi numeri delineano una visione molto parziale dalla situazione reale. Infatti, se da un lato l’ampiezza del fenomeno è palese, dall’altro molto meno chiaro è quanti studenti in Italia e nel mondo stiano vivendo un’esperienza di didattica a distanza davvero efficace. Limitarsi a mappare il numero di studenti seduti davanti ad un PC è inutile se non fuorviante. La vera domanda è: quanti stanno riuscendo con profitto a continuare a formarsi, sviluppando adeguatamente il proprio portafoglio di competenze nel corso del ‘new normal’? Non è la stessa cosa.
Tale considerazione fa emergere due ordini di problematiche, la quali impattano pesantemente anche sul mondo della formazione professionale per manager e imprenditori.
Il primo problema evidente: il modello formativo deve cambiare
IBM ha risparmiato circa $200 milioni introducendo forme di e-learning tra i dipendenti, migliorando al contempo i livelli di soddisfazione dei propri dipendenti. Non è l’unico caso. Tuttavia, certi risultati si ottengono solo se si comprende a fondo che l’online learning non è la didattica tradizionale semplicemente trasposta su una piattaforma digitale di conference call. E’ un qualcosa di completamente diverso. Tanti lo dicono, pochi hanno chiaro cosa significhi. Si passa ad un ambiente di apprendimento con specificità ben precise, che utilizza strumenti, contenuti e metodologie differenti e consente di superare vincoli di tempo e spazio. Quindi occorre progettare ad hoc una nuova didattica e nuovi materiali, senza compromessi sulla qualità e passando da un approccio didattico tradizionale ad una metodologia stimolante in cui si lavora tutti insieme, dove – ad esempio – ci si diverte con la gamification, oppure si porta il design thinking nella progettazione dei corsi.
Un esempio concreto: secondo OWL Labs, il 67% di chi accede a didattica online, prima o dopo l’ha fruita da un dispositivo mobile. Siamo sinceri: se ormai praticamente ogni sito web è ben ottimizzato per smartphone o tablet, ciò avviene anche per le esperienze di didattica online? Solo in rari casi. Se però accettiamo che pure la formazione a distanza viene fruita tramite dispositivi mobili, dobbiamo progettarla immaginando di essere nei panni di qualcuno in movimento. Occorre evolvere verso un paradigma in cui il progetto formativo si sviluppa in modo distribuito nel tempo e nello spazio, oltre un ristretto focus d’attenzione vissuto su un banco di scuola e/o su una scrivania. E così via.
Il secondo problema latente: cambiare senza aver tempo per farlo
Se la precedente questione è già oggetto di vivo dibattito, vi è una seconda problematica a cui non è stata assegnata abbastanza attenzione: non c’è stato tempo per gestire questo cambiamento. Il COVID-19 ha spinto a cambiare tutto “in una notte”, a pretendere che docenti e discenti dominassero strumenti nuovi senza un periodo di adattamento, esigendo una cultura digitale evoluta che tuttavia non si improvvisa.
Questo non solo perché a molti manca una cultura digitale: nel mondo della formazione non è neppure diffusa una cultura della sperimentazione. Spesso ci si fa belli con buzzwords come “agile management” o “lean startup”, ma poi se questi metodi non sono ben radicati in mentalità e abitudini di tutte le persone coinvolte i risultati sono scadenti. Un progetto didattico non fa eccezione. Il passaggio alla formazione a distanza ha posto l’attenzione specie sulla dimensione tecnologica: così ci si è focalizzati troppo sulla trasformazione digitale, mettendo in secondo piano il fatto che servono pure altre attitudini, come appunto quella alla “sperimentazione”.
Quest’ultima richiede anch’essa competenze ben specifiche e metodo, in un certo senso pure ‘rigore’. Il sistema dell’istruzione e della formazione doveva sviluppare degli MVP (Minimum Viable Product), dei progetti formativi pilota, per testarli e farli evolvere alla ricerca di un modello vincente, secondo iterazioni successive, in ambienti protetti e misurando i risultati per apprendere come migliorare. E’ stato invece perseguito un approccio al cambiamento più tradizionale, con ben poche realtà che hanno fatto “lean learning”.
DAD nel post-laurea: a che punto siamo?
Si potrebbe essere tentati di credere che tali problematiche riguardino solo – o quasi – il ‘vecchio’ sistema scolastico (giovani studenti). La modalità a distanza parrebbe già da tempo utilizzata dalle grandi aziende, soprattutto multinazionali, che possono assicurare corsi omogenei, valutati nello stesso modo, a tutti i dipendenti e in tutte le sedi. Ad esempio, già nel 2019 il 77% delle grandi imprese statunitensi faceva ampio ricorso ad online learning (fonte: NCES, 2019). Secondo Gartner e KPMG, già nel 2018 il 90% delle imprese nel mondo offrivano qualche forma di e-learning ai propri dipendenti, quando tale percentuale era solo pari al 4% nel 1995.
Non facciamoci ingannare da questi dati: sicuramente molte Business School e Corporate Academy fornivano ottimi programmi formativi in forma digitale, ma solo pochi di questi possono dirsi allineati rispetto alle sfide emerse nel 2020 e adeguati rispetto al new normal. Queste nuove sfide affondano le radici nei due stessi ‘peccati originali’ sopra richiamati.
Chi crede che il modello dell’e-learning pre-pandemico fosse già più o meno pronto per il ‘new normal’ compie un grossolano errore in cui spesso si inciampa cercando di dominare la trasformazione digitale. Lo abbiamo vissuto anche noi in prima persona con il nostro Executive MBA Ticinensis all’Università di Pavia, dove ci siamo scontrati con un cambiamento epocale, che ci ha portato a qualche errore, ma anche a tanto apprendimento per evolvere. Cambia la relazione con una agenda lavorativa che oggigiorno segue logiche diverse, cambia il feeling psicologo dovendo già svolgere il lavoro routinario in remoto, cambiano le aspettative di sviluppo personale, cambiano priorità e valori, e così via.
In sintesi, la formazione aziendale e post-laurea ha creduto di essere già pronta, o quasi, visto che già faceva un po’ di e-learning, mentre non è così. Chi sa di dover cambiare può cadere in errore, ma chi deve cambiare e non se ne rende conto rischia molto di più….
La formazione manageriale a distanza è già da ripensare
Servono modelli evoluti per la didattica a distanza, anche e soprattutto nel long-life learning, ossia nei programmi formativi per chi lavora e ha agende complesse.
Nello specifico, serve progettare modelli didattici ad hoc, attorno a tempi e ritmi che devono essere diversi e che devono integrarsi con una vita sociale e lavorativa in rapido cambiamento, nel pieno del new normal che stiamo imparando a conoscere.
Serve immaginare modelli personalizzati, cosa di fatto impossibile nella formazione tradizionale ma che – con un po’ di creatività, tanta competenza specifica e con la giusta conoscenza tecnologica – oggi si può fare.
Serve capire che in remoto si vive una situazione diversa: se dal vivo si utilizzano tutti i sensi, in remoto solo due vengono attivati (vista e udito). Con piccoli accorgimenti si può lavorare su questo aspetto aiutando il cervello a percepire la situazione come più naturale e quindi meno alienante, ad esempio stimolando a prendere appunti su carta facendo “disegni e grafici” così da attivare il tatto e sensazioni che si assopiscono nel mondo virtuale.
Serve valorizzare le nuove tecnologie, per esplorare tutte le loro potenzialità, ma soprattutto per abilitare possibilità che nella didattica tradizionale semplicemente non erano possibili.
Durante la lezione digitale serve anche un ‘Digital Producer’, ossia una nuova figura professionale che è specializzata nel supportare la lezione gestendo tutte le problematiche (es. persone in waiting room, messaggi ignorati in chat, problemi con video o audio, microfoni accesi solo quando necessario) e le opportunità (es. nuovi strumenti didattici digitali), così che docenti e discenti possano concentrarsi solo sulla lezione.
L’importanza dell’autovalutazione: un Flash Test su “Digital Transformation”
In un modello formativo come quello sopra auspicato, il discente è davvero al centro. In un’aula fisica la ‘cattedra’ segna una distanza fra chi insegna e chi apprende. Apparentemente il distance learning accresce tale distanza: al contrario, nei progetti digitali ben fatti avviene l’esatto contrario. Tutti devono sentirsi molto più coinvolti, si passa ad un concetto di rete fra i partecipanti alla lezione, di co-generazione della conoscenza, tutti devono fornire feedback continui, nonché chiarire le proprie esigenze e imparare ad interagire maggiormente. Il discente deve sentirsi co-producer del progetto formativo.
In questo contesto, diventa cruciale la capacità di autovalutarsi. Diversamente – visto il nuovo ruolo assunto dal discente – il modello fatica a funzionare. Per sensibilizzare sull’argomento, con il nostro Executive MBA Ticinensis abbiamo pensato ad un “flash quiz” aperto a tutti – dieci domande a scelta multipla – per dare a chiunque la possibilità di mettersi alla prova, quale pretesto per riflettere sulla considerazione appena formulata. Come argomento delle domande avremmo potuto puntare su diverse discipline fondamentali per un manager / imprenditore moderno, ma scegliamo quello della “digital transformation”, un po’ perché appassiona tanti, un po’ perché evidentemente si intreccia profondamente ai temi trattati in questo articolo.
Chissà, forse se tutti fossimo un pò più bravi ad autovalutarsi – e questo vale anche, forse soprattutto, per la classe dirigente italiana – molti dei processi di cambiamento che stiamo vivendo potrebbero essere più efficaci, non solo in tema di DAD.
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