Il cyberbullismo può rappresentare il tipo più dannoso di attacco online. Ecco cosa fanno i principali social network per prevenire il fenomeno
Il cyberbullismo può rappresentare il tipo più dannoso di attacco online, dato che sfrutta le insicurezze personali e le vulnerabilità delle vittime per causare loro umiliazioni e danni psicologici, mentre i responsabili si nascondono dietro avatar virtuali. Come spesso documentato nei fatti di cronaca, gli effetti del cyberbullismo possono essere devastanti e perfino mortali.
Le forme di bullismo sui social network e web riguardano circa un terzo del totale degli episodi di bullismo e comportano spesso elementi di pressione psicologica più invasivi, mortificanti e virali rispetto al bullismo tradizionale.
Il cyberbullo e la cybervittima
Uno degli aspetti che fa del cyberbullismo un fenomeno di così ampia portata è che essere un cyberbullo risulta più facile dell’essere un bullo fuori dal web. Il raggio virtualmente illimitato della comunicazione sui social, inoltre, comporta la possibilità che un messaggio umiliante o violento possa essere visto e condiviso da un numero potenzialmente illimitato di persone.
Qualsiasi messaggio offensivo, denigratorio o minaccioso inviato attraverso un mezzo elettronico rappresenta un esempio di cyberbullismo ed è inclusa la pubblicazione di foto o video umilianti su siti pubblici come Facebook o YouTube senza il consenso dell’interessato.
Sulla base delle differenti modalità in cui avviene l’aggressione, sono state individuate 8 diverse categorie di cyberbullismo, tra cui:
- Flaming: messaggi online violenti e volgari indirizzati con lo scopo di suscitare vere e proprie battaglie verbali, tra due o più soggetti, all’interno di forum, chatroom e gruppi online.
- Harassment: messaggi offensivi e molesti inviati ripetutamente alla stessa persona. In questo caso la persona che riceve gli insulti rientra a tutti gli effetti nella categoria di vittima, perché indifesa e del tutto incapace di reagire alle molestie subite;
- Cyberstalking: ripetuti tentativi di contatto che il molestatore tenta di instaurare con la sua vittima attraverso l’utilizzo dei media digitali.
- Denigration: diffusione, da parte del molestatore, di pettegolezzi, calunnie e offese all’interno di comunità virtuali allo scopo di danneggiare la reputazione della vittima.
- Impersonation: vera e propria sostituzione di persona che consiste nel violare l’identità virtuale della vittima con l’obiettivo di darle una cattiva immagine e danneggiarne la reputazione
- Outing and Trickery: pubblicazione e diffusione di informazioni riservate e/o imbarazzanti estorte alla vittima con l’inganno, dopo aver instaurato con lei un clima di fiducia al solo scopo di danneggiarla.
- Exclusion: esclusione deliberata di una persona da un gruppo online allo scopo di suscitare in essa un sentimento di emarginazione;
- Happy slapping: diffusione online di materiale video in cui la vittima viene picchiata da uno o più aggressori. Le immagini, pubblicate su Internet, possono assumere un carattere di diffusione virale, aprendo discussioni e alimentando così la condivisione in rete.
Bullismo sui social media
Il cyberbullismo, però, si può prevenire, bloccando gli account utilizzati da cyberbulli per diffondere il loro odio e segnalando i cyberbulli ai service provider, come Facebook, Twitter e Instagram. Ed è proprio il social network che permette agli utenti di scattare foto, applicarvi filtri e condividerle in Rete ad essere più colpito dal fenomeno. A confermarlo i dati del Centro Studi di ReputationUP, società specializzata nella gestione della reputazione online. Dal monitoraggio si evince che Instagram è il social più afflitto dagli episodi di cyberbullismo, con il 42% dei casi, a seguire Facebook con il 37% dei casi, Snapchat con il 31%, Whatsapp con il 12%, Youtube con i 10% e infine Twitter con il 9% degli episodi di bullismo online.
Non solo: in base alla ricerca EU Kids Online 2019, realizzata dal Centro di ricerca sui media e la comunicazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore in collaborazione con il Miur, i ragazzi, in Italia, presi di mira sul web sono passati dal 6% del 2010 al 13% nel 2017. Il 31% degli intervistati tra gli 11 e i 17 anni ha dichiarato di aver visto online messaggi d’odio o commenti offensivi contro un individuo o un gruppo. Di fronte a tali messaggi il sentimento più diffuso è la tristezza seguita da rabbia, disprezzo, vergogna.
Le azioni messe in atto dai social network
La situazione è seria e i social network corrono ai ripari. Nel 2016, Facebook ha sviluppato, in collaborazione con lo Yale Center for Emotional Intelligence, una piattaforma che intende aiutare i ragazzi, i genitori e gli insegnanti che cercano supporto in merito a problemi relativi a eventi di bullismo e altri conflitti. Offre programmi dettagliati e costruiti su misura per aiutare le persone che, in maniera diversa, sono entrare in contatto con episodi occasionali o continui di bullismo. La piattaforma contiene pdf scaricabili e indicazioni per chi è vittima dei bulli, per i genitori e insegnanti di ragazzi e ragazze che subiscono il bullismo, ma anche per genitori e docenti di adolescenti accusati di bullismo.
Su Instagram, invece, sempre nel 2016 è stato inserito un filtro che individua e oscura i bulli. L’ntelligenza artificiale che gestisce il filtro anti-haters è in grado di individuare le frasi che contengono attacchi all’aspetto o al carattere di una persona, oppure minacce al benessere e alla salute. Il filtro funziona sfruttando DeepText, la tecnologia di apprendimento profondo approntata da Facebook; si attiva in automatico e può essere disabilitato, andando nella sezione “Commenti” delle Impostazioni.
Google, invece, tramite l’App “Family Link” filtra parole e ricerche su internet non adeguate per i minori e fa un controllo anche sulle App che il bambino può scaricare.
Twitter, infine, nelle prossime settimane, rilascerà una nuova funzionalità, attualmente in fase di test, che consentirà, di spostare in una nuova cartella di “messaggi aggiuntivi”, tutti quei contenuti che saranno interpretati dall’intelligenza artificiale come offensivi e inopportuni. Grazie al nuovo algoritmo implementato Twitter è in grado di riconoscere, moltissime parole “offensive” e di classificarle in una categoria ad hoc in maniera tale che l’utente può decidere se aprire il messaggio o cancellarlo senza leggerne il contenuto.
Non bastano, però, solo le azioni dei social network. Occorre fare molta prevenzione ed è necessario aiutare le istituzioni scolastiche e le forze dell’ordine a contrastare questa assurda piaga sociale, le cui conseguenze sono spesso incontrollate e drammatiche.