Secondo l’ultimo rapporto del Politecnico di Milano gli studi professionali, pur affetti da storico nanismo, stanno scommettendo sulle tecnologie, dal cloud all’adeguamento dei vecchi servizi
Come stanno cambiando, in termini di investimenti nelle nuove tecnologie, alcune fra le professioni spesso legate alle logiche lavorative e organizzative del passato? Anzitutto, c’è da dire che i 150mila studi professionali di avvocati, commercialisti, consulenti del lavoro e multidisciplinari se la passano bene: redditività e fatturato nel 2015 sono aumentati. Così come la spesa per l’Ict, che ha toccato la soglia record di 1,1 miliardi di euro. In media, ogni singolo studio ha sborsato in questo ambito ben 9mila euro, il 50% in più rispetto ai 6mila dell’anno precedente. Insomma, la mutazione continua. E apre prospettive interessanti per le startup che vogliano impegnarsi nello sviluppo di servizi per aiutare il comparto in questa lenta ma inevitabile transizione.
Il 54% ha un reddito in crescita
Secondo i numeri della ricerca firmata dall’Osservatorio professionisti & innovazione della School of Management del Politecnico di Milano il 54% degli studi ha dichiarato una redditività in crescita. Rimane il nanismo del settore: gli studi italiani sono piccoli. Per il 54% il fatturato non supera infatti i 100mila euro e un portafoglio clienti di 50 nominativi. Il 73% è addirittura di natura individuale e l’organico medio vede due professionisti fra i 45 e i 57 anni e due dipendenti sotto i quarant’anni. Fra le mansioni, il 51% ha dichiarato interesse per la consulenza online per diverse ragioni: le principali sono la maggiore visibilità (44%), la possibilità d’intercettare nuova clientela (29%), la fidelizzazione (18%) e l’incremento del fatturato (9%).
1,1 miliardi investiti in tecnologia dai professionisti
La spesa, si diceva, ha superato 1,1 miliardi di euro. Se ne va in innovazione (12%), sviluppo di strumenti e servizi esistenti (16%), adeguamento tecnologico o normativo (29%) e gestione dell’esistente (53%). Per i prossimi due anni la previsione è di 1,2 miliardi ciascuno, con un’impennata dell’8%.
Fra le tecnologie attuali svettano
- firma digitale;
- banche dati;
- strumenti per la gestione dei flussi telematici.
Ma i professionisti puntano per il futuro a spendere qualcosa di più in software per la gestione elettronica documentale e la conservazione digitale a norma dei documenti dello studio ma anche su portali per la condivisione documentale nonché siti internet. Si parla insomma di efficienza interna con la smaterializzazione e l’eliminazione della carta, gli strumenti per il cosiddetto lavoro agile o in mobilità, la firma grafometrica ma anche applicazioni per gestire le scadenze contabili, formazione a distanza, pianificazione finanziaria.
Buona l’attenzione al cloud computing: il 79% usa la “nuvola” per la Pec, il 66% per la posta elettronica e il 62% per le banche dati. In termini hardware c’è chi lo usa per i server, un elemento che fa segnare un certo interesse per il prossimo anno. Solo il 3% degli studi ha dichiarato di non aver effettuato investimenti in tecnologie e fra chi, negli anni passati, aveva giurato che non ci avrebbe speso neanche un euro, non è rimasto nessuno: tutti hanno in qualche modo speso per seguire l’evoluzione digitale. Anche perché, ma questa non è una novità visto che si nota anche nel commercio, fatturato e digitalizzazione s’influenzano reciprocamente. Gli studi che dichiarano una crescita in doppia cifra di entrambe le variabili sfoggiano non a caso la più elevata incidenza di tecnologie evolute, superiore al 30%, sul totale degli strumenti presenti nello studio.
La formazione
Cresce anche la domanda di formazione. Se ai primi posti ci sono le materie di sostanza, quindi giuridiche e di aggiornamento normativo (87%), economiche e aziendali (59%), o sull’addestramento per applicativi (51%), nel 2016 salgono anche le cosiddette soft skills come team building o public speaking (10%) oltre alla comunicazione (9%) e all’uso dei social network (6%). In generale, il 33% degli intervistati in tutte le professioni ritiene utile puntare sull’adeguata gestione delle tecnologie Ict.
“È evidente il desiderio da parte degli studi professionali di interagire meglio con il mercato e di aumentare alcune abilità nell’ambito della comunicazione – ha spiegato Claudio Rorato, direttore dell’Osservatorio professionisti e innovazione digitale – si sta creando la consapevolezza che nuove abilità devono entrare nella ‘cassetta degli attrezzi’ del professionista, che non può trascurare le tendenze emergenti dal mercato”.
Le opportunità per le startup
Investimenti, formazione del personale, diversificazione del business, aggiornamenti. Per le startup che offrono servizi ai professionisti in grado di infilarsi in questo ambito, c’è molto spazio per crescere. Perché il settore, come spiegavamo, è caratterizzato da realtà molto piccole e dunque inadatte per natura ad assumere in pianta stabile forza lavoro specializzata nell’hi-tech. Si capisce anche dalla media degli investimenti: quest’anno 9mila euro, l’anno scorso 6.300. Fra quei 9mila, poco meno di mille sono destinati a soluzioni innovative e circa tremila allo sviluppo o aggiornamento normativo. I margini appaiono stretti. Le startup italiane possono (devono) tuttavia approfittare dell’enorme platea di avvocati & co sfruttando proprio quello che sembrerebbe un ostacolo: questi professionisti hanno bisogno di affidarsi a servizi leggeri, semplici ed economici. Non spenderanno molto, è vero, ma non potranno fare a meno di mettere in previsione queste voci, servono per potenziare il proprio giro d’affari. Un movimento duplice: non solo, dunque, l’assistenza alle startup che arriva dai professionisti (il 34% ha segnalato di essere interessato a lanciarsi verso questo genere di consulenza) ma anche le giovani imprese nostrane che devono utilizzare la loro naturale versatilità per ideare soluzioni da distribuire a migliaia di studi.
La diversificazione
L’altro aspetto che regge il ragionamento, e le opportunità per le startup, è che i professionisti viaggiano progressivamente verso l’abbandono dei tradizionali servizi legati agli obblighi di legge per virare verso altri più market oriented. Dalla finanza agevolata ai finanziamenti europei passando per il supporto allo sviluppo di nuovi mercati. In quel bacino di necessità s’innesta il bisogno di nuove idee.
“Tra le professioni giuridiche d’impresa cresce la consapevolezza che le Ict siano un alleato dello studio – ha concluso, non a caso, Rorato – oggi, pur in presenza di alcune zone d’ombra, una minoranza di professionisti più consistente del passato si sta muovendo, dimostrando capacità di autocritica e volontà di arricchire il bagaglio tecnico-specialistico di nuove competenze, per affrontare nuove sfide anche fuori delle aree tradizionali. Oltre alle prime avanguardie che hanno aperto la strada, il cambiamento coinvolge circa il 30% degli studi professionali nell’uso più intensivo delle tecnologie informatiche, che è sempre più frequente anche nel modello di business oltre che in quello organizzativo”.