L’Oxford Dictionaries ha scelto la parola dell’anno per il 2016: è “post-truth”, cioè “post-verità”. Termine che è stato sempre più usato nel corso dei mesi, soprattutto in concomitanza con particolari eventi politici
Descrivere un anno in una parola è difficile. Quest’anno, però, sembra esser stato più facile del solito per l’Oxford Dictionaries, che ogni anno elegge la “World of the year”. Per il 2016 la parola scelta è “post-truth”, in italiano “post verità”. La post verità è, da definizione oxfordiana, “qualcosa che definisce delle circostanze in cui fatti oggettivi influenzano l’opinione pubblica molto meno rispetto alle emozioni e alle credenze personali”. Il termine non è certo di nuovo conio, eppure l’Oxford Dictionaries ha rilevato quest’anno un picco nell’utilizzo, soprattutto in concomitanza con due eventi cruciali: il referendum per il “Brexit” (cioè per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea), e le elezioni presidenziali americane. Inoltre, da Oxford hanno rilevato come il termine post-truth sia stato usato sempre di più in relazione proprio alla politica.
Che cosa significa post-verità
Come scrivono dall’Oxford Dictionaries “post-verità esemplifica un’estensione del significato del prefisso post che è diventata sempre più prominente negli ultimi anni”: invece che riferirsi semplicemente al tempo successivo rispetto a un evento o situazione specifica – come, per esempio, in dopo-guerra o post-partita – il prefisso in post-verità assume il significato di “appartenente a un tempo nel quale il concetto specifico è diventato irrilevante o poco importante”. Secondo la famosa casa editrice, questo tipo di utilizzo è nato a metà del Novecento con le espressioni “post-nazionale” (1945) e “post-razziale” (1971). “Post-verità – continuano da Oxford – sembra esser stato usato nel suo significato attuale per la prima volta nel 1992 in un saggio del drammaturgo Steve Tesich nel giornale The Nation”.
La post-truth della politica
Nel 2016 “post verità” è stato usato sempre con maggior frequenza per indicare un preciso contesto di commento politico, soprattutto dai media, che l’hanno messo dentro titoli e sottotitoli senza sentire il bisogno di spiegare a cosa si riferissero (ma forse non a tutti era così chiaro). L’Oxford Dictionaries ha portato come esempi tweet e titoli da The Economist e da The Indepentent, ma effettivamente anche molti giornali italiani hanno usato la frase “post verità” per parlare di voci, credenze, opinioni, veicolate da notizie essenzialmente false, che tuttavia tendevano a spandersi a macchia d’olio più efficacemente e più velocemente della verità dei fatti.
Brexit, Trump, e l’emotività che diventa più importante dei fatti
Da giugno 2016 in poi, cioè dal primo grande fallimento di sondaggi, sondaggisti e opinionisti che non hanno previsto la volontà degli inglesi di uscire dall’Unione Europea, il termine post-verità ha occupato sempre di più le conversazioni sui media. Tant’è che il giorno dopo l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca tutti lo hanno usato senza il problema di spiegare a cosa si stavano riferendo. Non se lo aspettava nessuno Trump alla Casa Bianca. Per chi l’ha votato, il fatto che dicesse o meno la verità durante i congressi è stato secondario. Stessa cosa per quanto riguarda le conversazioni sui social: che fossero autentiche o veicolate da bot, che le notizie fossero vere o inventate, tutto è andato in secondo piano rispetto ai sentimenti, alla carica emotiva del singolo. E così siamo entrati nell’epoca della post-verità.