Sono stati parte fondamentale del programma di digitalizzazione della scuola del MIUR fra il 2012 e 2018. Dopo questa eseperienza hanno fondato startup nell’ambito EdTech. Una chiacchierata a tutto tondo sul mondo dell’innovazione scolastica tra pubblico e privato
L’anno scolastico è volto al termine e ci ha posto davanti a tante domande e richieste di cambiamento, ma soprattutto alla domanda: cos’è l’ ”innovazione” per la scuola italiana? E nel nostro caso: il settore dell’EdTech del Bel Paese può contribuire?
In Italia sono registrate circa 11.000 startup innovative, di queste, solo 136 sono attive nell’ EdTech (fonte Tracxn). Un peccato, considerato che, studi OCSE alla mano, la qualità della nostra istruzione risulta sopra la media in vari punti: vale per quanto riguarda la lettura, in cui siamo secondi solo a Singapore e alle province più industrializzate della Cina; per la matematica, in cui siamo allo stesso livello di paesi all’avanguardia come Israele, Svizzera e Irlanda; non vale invece per le scienze, in cui il punteggio è più basso rispetto alla media OCSE.
Stessa organizzazione, diverso studio: gli insegnanti italiani sono preparati ma impiegano il 79% del loro tempo nella spiegazione del programma. Significa che solo un quinto del tempo di ogni insegnante può essere dedicato a seguire progetti che vadano a scoprire i talenti dei singoli ragazzi e coltivarli. In un mondo in cui sono le soft skill personali spesso a fare la differenza, la didattica potrebbe già oggi essere considerata una “base” (importantissima) e l’insegnante potrebbe concentrarsi a fare anche da mentor dei ragazzi.
Le stime dicono che il mercato intorno al mondo dell’educazione vale 5.000 miliardi di dollari e il 2% di questo è da attribuire all’EdTech. Questi dati sono destinati a raddoppiare entro il 2030, trainati dalla crescita della classe media in paesi come il Brasile, la Cina e l’India. Mercati in sviluppo a parte, come si inserisce l’EdTech nel Vecchio Continente e soprattutto in Italia, un paese che fa della cultura uno dei punti chiave del proprio “branding” internazionale?
Parola agli esperti: Donatella Solda e Damien Lanfrey
Lo abbiamo chiesto a Donatella Solda e Damien Lanfrey, entrambi poco più che quarantenni e parte fondamentale del programma di digitalizzazione della scuola del MIUR fra il 2012 e 2018 (con 8 mesi di pausa durante il Governo Letta).
In particolare Donatella è stata Dirigente del Gabinetto del Ministro e Damien Chief Innovation Officer, primo e unico caso al MIUR. Dopo la loro esperienza a servizio dello Stato, hanno fondato insieme Wonderful Education nel 2018 e nel 2019 Future Education Modena, un progetto che ha incontrato l’interesse della Fondazione Modena che l’ha finanziato.
Donatella e Damien conoscono quindi perfettamente quelle che fino a due anni fa sono state le esigenze del MIUR e come funziona invece l’EdTech dal punto di vista dei privati e delle fondazioni.
Qual è la visione di “innovazione” della scuola secondo il Ministero dell’Istruzione?
Damien: attraverso la policy del 2015, Il Ministero si è mosso seguendo due grandi “filoni”: un’innovazione organizzativa e una di tipo formativo. Nel primo caso rientra l’individuazione dell’Animatore digitale e del team di innovazione in ogni scuola, e in generale l’emersione dei flussi di lavoro, di progettazione e l’esplicito riferimento al digitale come competenza necessaria interna alla scuola; nel secondo caso si è trattato di un grande investimento in formazione e corsi professionalizzanti per i docenti e per attività integrative per agli studenti (pensiamo al coding e al pensiero computazionale).
Quindi, in sostanza, serve un ecosistema – hardware, ambienti, contenuti, obiettivi di competenze e formazione
Donatella: il punto di svolta del Piano Nazionale Scuola Digitale rispetto al passato è stato prevedere degli obiettivi forti, con tempi e risorse determinati, su contenuti e cultura del digitale, e non solo concentrarsi su strumenti e tecnologia. La prima cosa di cui si ha bisogno quando si lancia un progetto è la prova “materiale” del cambio di passo. Pertanto va bene assicurarsi che le scuole siano dotate della strumentazione necessaria per avviare il percorso, va però poi creata la cultura organizzativa per arrivare all’integrazione del digitale, in cui viene compreso che gli ambienti di apprendimento aumentati dalle nuove tecnologie, possono e devono semplificare il lavoro dei docenti e degli studenti. Se non si fa questo, si avranno strumentazioni inutilizzate in ogni scuola che, dopo solo alcuni anni diventeranno già obsolete. Ecco il Piano aspirava a instaurare una mentalità di questo tipo. Non ci si rende molto conto del salto necessario, ma serve riflettere sui numeri enormi della scuola pubblica: si tratta di ribaltare il paradigma mentale e coinvolgere circa 750.000 docenti (oltre ai supplenti), di tutte le età, zone d’Italia, background socio-culturale.