Nel liceo linguistico Pascoli di Massa, gli studenti costretti a casa per lungo tempo dalla malattia hanno la possibilità di non rimanere indietro collegandosi via Skype con la loro classe
Sara (nome di fantasia) è in quinta al liceo linguistico Pascoli di Massa ma a causa di un terribile incidente stradale avvenuto a settembre non ha più messo piede in classe. Nonostante il dolore e le ferite, però, di giorni di scuola ne ha persi davvero pochi. Ad andare in soccorso della ragazza ci hanno pensato la tecnologia e la generosità dei compagni e degli insegnanti che hanno aperto la classe attraverso Skype. La svolta didattica per Sara è questa: la ragazza si collega da casa all’aula e può seguire tutte le lezioni che desidera senza muoversi e interagire con i professori e i suoi compagni. Non solo. Quest’ultimi hanno deciso di darle una mano in tutti i modi: qualcuno tra loro prende appunti per poi metterli sul portale d’istituto a disposizione dell’amica.
La didattica digitale arriva a casa
È la didattica digitale che si fa domiciliare attraverso la tecnologia: una rivoluzione che ha archiviato per sempre il passaggio del quaderno di casa in casa quando un alunno è in malattia. Grazie a questa strategia c’è la possibilità di non sentirsi tagliati fuori ma di continuare ad essere partecipi della vita in aula. Ancor più se si tratta di un anno particolare come quello della maturità dove è necessario prepararsi in maniera adeguata all’esame di Stato. Il progetto è seguito dalla professoressa Ivana Giordano, ma ha trovato il sostegno della dirigenza del liceo. L’iniziativa viene portata avanti in questa scuola già da qualche anno.
Collaborazione tra studenti e docenti
Nella pratica in aula il computer viene collegato quando inizia la lezione e inquadra solo la lavagna e l’insegnante che spiega per questioni di privacy. Sara da casa può intervenire in qualsiasi momento per chiedere una spiegazione, per portare una sua testimonianza, per dialogare con i compagni proprio come se fosse in aula. Il tutto avviene attraverso la “regia” della coordinatrice del progetto con la quale la giovane ha scelto le materie che possono essere più utili o quelle ove si ritiene necessario un recupero. Un gioco di squadra che funziona grazie alla disponibilità dei compagni che non possono certo fare lezione nel caos, ma anche grazie alla capacità e alle competenze dei professori che sanno impostare una lezione chiara che permette alla ragazza di comprendere ciò che viene illustrato in aula ogni mattina.
Aiutare il recupero
D’altro canto è chiaro che tenere il cervello in movimento contribuisce al recupero psicofisico e quindi entra a far parte del processo terapeutico: un modo per creare un’alleanza tra medicina e pedagogia che vale senz’altro la pena di osservare in queste sperimentazioni. Un approccio nuovo che ha già visto qualche progetto negli ospedali dove con il tablet i ragazzi riescono a collegarsi direttamente con le loro aule. Abbiamo chiesto alla vice preside Vita Daniele come funziona la didattica via Skype.
La sperimentazione
Professoressa ogni giorno la vostra scuola crea un ponte con l’abitazione di questa ragazza.
«Si tratta di una sperimentazione che abbiamo fatto anche altre volte anche se non è mai stata così lunga. Nel caso di ragazzi ospedalizzati usiamo questa metodologia che fa di Skype un’applicazione estremamente utile anche per le famiglie che non possono certo sostituirsi ai docenti di lettere, lingue o matematica».
È chiaro che per fare un progetto di questo tipo servono gli strumenti.
«In realtà basta un personal computer e una rete wifi. La nostra scuola è dotata di banda larga e siamo in grado di fornire un servizio all’altezza. I compagni della ragazza, quando è necessario, vengono a prendere in presidenza il portatile che è a loro disposizione per questo tipo di attività. Non tutte le mattine vengono filmate, ma solo quelle che si ritengono necessarie. Se vi sono ore di verifiche orali la ragazza può fare a meno di accendere il personal computer».
In questo processo educativo anche i docenti devono essere d’accordo a mettersi online.
«Ci dev’essere una famiglia responsabile, una ragazza o un ragazzo motivato nonostante la sofferenza e dei docenti che desiderino che la loro lezione venga trasmessa. Qualche anno fa un insegnante si era rifiutato e non eravamo riusciti a far partire il progetto per un altro alunno. Le questioni di privacy a volte prendono il sopravvento».
Tra virtuale e reale
Accanto al virtuale la scuola non dimentica il rapporto de visu.
«Esatto. Sia i professori che i compagni si sono resi disponibili ad andare a casa della ragazza per facilitarla ulteriormente e per mantenere un rapporto personale e fisico. Non basta, infatti, la lezione online».
Una prova per tutti quindi.
«La ragazza probabilmente rientrerà dopo le vacanze di Natale. Si tratta di un anno importante per lei e senza questa metodologia non so come avrebbe potuto fare. Siamo orgogliosi di questo progetto che stiamo portando avanti con grande professionalità e competenza».