L’esperimento in una scuola secondaria di primo grado di Monsummano Terme dove una professoressa ha pensato a una scuola che potesse trasformarsi in una “piccola università”
Marco ha il suo libretto universitario con tanto di foto, timbro, firma del docente del corso seguito e numero di matricola. Nulla di strano se fossimo al Politecnico o alla Bicocca ma siamo alla scuola secondaria di primo grado “Walter Iozzelli” di Monsummano Terme in provincia di Pistoia dove per il secondo anno gli studenti hanno la possibilità di frequentare la “piccola università” della scuola.
L’idea è nata ad una giovane docente, Mariangela Coppola, che crede nell’innovazione didattica e in un modo diverso di fare scuola. Un sogno? Per niente. La docente si è data da fare ed è riuscita a mettere in moto un progetto che oggi desta l’attenzione anche dei media e soprattutto ha trovato l’entusiasmo delle famiglie e dei ragazzi che si “allenano” alla vita futura da universitari quando avranno a che fare con vere e proprie sessioni d’esame.
Una scuola che fa sentire grandi
Una proposta che è stata condivisa dalla dirigente della scuola Roberta Tommei e da tutti i colleghi: una “squadra” di docenti capace di andare oltre la lezione tradizionale supportati da una preside che incentiva le attività alternative ed extracurriculari con fondi destinati a questi professori. Una sfida interessante per i ragazzi che si sono appassionati a questo progetto che li fa sentire grandi e in grado di scegliere le lezioni da seguire nelle ore pomeridiane.
Lo studio alla “piccola università” punta ad essere specialistico, ad approfondire, a fornire strumenti nuovi e diversi ai ragazzi che scelgono liberamente di frequentare le lezioni. Tutti i ragazzi hanno un piccolo “libretto” simile a quelli degli atenei: un documento che viene consegnato ad ogni studente che ha il compito di custodirlo e di portarlo con sé in occasione degli “esami”.
In questo modo i ragazzi si sentono “grandi” e responsabili di un percorso che viene fatto dalla scuola per migliorare i risultati degli studenti e per renderli protagonisti del loro percorso di studio. Un modo concreto per avvicinare i ragazzi al lavoro che svolgeranno quando si iscriveranno all’Università: al clima degli atenei arriveranno abituati e consapevoli di come dovranno comportarsi per gestire in maniera autonoma lo studio.
Abbiamo provato ad approfondire il progetto chiedendo qualche delucidazione proprio alla dirigente della scuola, Roberta Tommei che va particolarmente orgogliosa di questo progetto portato avanti dai suoi docenti. Una capo d’istituto che crede nel lavoro di team e punta sempre più a far crescere una squadra di insegnanti all’altezza del loro ruolo.
L’intervista
Da chi è nata quest’idea decisamente innovativa?
La piccola università è un progetto partito da un paio di anni grazie all’impegno di una professoressa di lettere giovane con una mentalità aperta e protesa a creare innovazione. Nasce come un’evoluzione dei vecchi corsi di recupero. Contro la tradizione ha avuto l’idea di creare questo piano per valorizzare le eccellenze e consolidare le competenze
Com’è strutturata la piccola università?
Hanno ideato una serie di corsi monotematici che hanno strutturato come corsi universitari: nell’area linguistica, ad esempio, aiutano i ragazzi a costruire schemi; in francese sviluppano le tecniche della traduzione; sullo studio si propone un metodo per prendere appunti o tecniche per la concentrazione così come si usa tecnologia per potenziare il disegno geometrico. Ogni alunno ha un numero di matricola, un libretto e alla termine di ogni corso svolge una piccola prova con tanto di giudizio. Le lezioni si svolgono di pomeriggio e hanno una durata variabile
A chi è destinata questa iniziativa?
Tutti i ragazzi possono partecipare, alcuni sono indirizzati dai docenti. Agli alunni delle classi terze viene proposto il ruolo di assistente universitario.
Come siete riusciti a coinvolgere gli insegnanti in questo impegno che va oltre le lezioni?
La nostra è una situazione particolare: siamo in una scuola che fino a qualche anno fa non aveva nemmeno un docente di ruolo. Pian piano nel corso di questi sei anni abbiamo una squadra di docenti di ruolo, un gruppo affiatato di docenti giovani che hanno indotto una forte motivazione tra i ragazzi. La nostra utenza è un po’ periferica, non ci sono alternative, la scuola si è conquistata un ruolo centrale, è diventata un punto di riferimento grazie a questi docenti e grazie alla proposta che rivolge agli studenti.
Quindi la risposta è stata positiva anche da parte delle famiglie?
Tenga conto che i corsi vengono tenuti in una frazione: Centolese. Eppure i genitori accompagnano i ragazzi in questo plesso e i bambini sono sempre numerosi.
In questo modo siete riusciti a sviluppare nei ragazzi anche una sana curiosità per il mondo degli atenei che si spera frequenteranno?
La nostra sperimentazione è un modo per abituarli all’università; grazie a questo metodo vengono incentivati a lavorare in maniera autonoma e consapevole. Sostengono degli esami che vengono certificati con tanto di timbro. I nostri ragazzi quando dovranno scegliere quale corso universitario affrontare dopo le superiori avranno meno timori e meno paure.